— Anton, come sta sua madre?
Ah, già. Io, il paziente Anton Gorodeckij, ho una vecchia madre che soffre di osteoporosi e di tutte le malattie tipiche degli anziani. Anche lei è una paziente di Svetlana.
— Bene, bene. Sono io che…
— Si sdrai.
Mi tolsi il maglione e la camicia, e mi sdraiai sul divano. Svetlana mi sedette accanto. Passava le sue calde dita sul mio stomaco, palpando per qualche ragione il fegato.
— Le fa male?
— No… ora no.
— Quanto ha bevuto?
Rispondevo alle domande, scovando le risposte nella memoria della ragazza. Non conveniva affatto far la parte di quello che stava per morire. Sì… dolori sordi, non forti… Dopo mangiato… Ecco, adesso si fa un pochino sentire…
— Per ora è solo una gastrite, Anton… — Svetlana aveva finito di visitarmi. — Non c'è da essere contenti, lo capisce anche lei. Adesso le scrivo la ricetta…
Si alzò, andò verso la porta, tolse dall'attaccapanni la borsetta. Per tutto il tempo io avevo controllato il vortice: non era accaduto niente, il mio arrivo non aveva provocato nessuna intensificazione infernale, ma non ero riuscito neppure a indebolirlo…
— Anton… - Dal Crepuscolo trapelò una voce, e io riconobbi Ol'ga. — Anton, il vortice si è ridotto di tre centimetri. Forse hai fatto la mossa giusta. Pensaci, Anton.
La mossa giusta? Quando? Eppure non avevo fatto nulla, avevo solo trovato il pretesto per la visita!
— Anton, ha ancora del Maalox in casa? — Svetlana mi guardò. Mi aggiustai la camicia e risposi: — Sì, ne ho ancora qualche compressa.
— Quando arriva a casa, ne prenda una. E domani ne comprerà dell'altro. Lo prenda per due settimane, la sera prima di andare a dormire.
Svetlana era evidentemente uno di quei dottori che credevano nelle medicine. Non mi turbava, anch'io ci credevo. Noi, gli Altri, proviamo di solito un entusiasmo irrazionale per la medicina, e persino nei casi in cui sono sufficienti degli elementari rimedi magici propendiamo per la Tachipirina e gli antibiotici.
— Svetlana… mi perdoni se glielo chiedo — dissi, distogliendo lo sguardo in modo colpevole. — Ma ha qualche problema?
— Come le viene in mente, Anton? — Non smise di scrivere e neppure alzò gli occhi. Ma s'irrigidì.
— Mi era sembrato. L'ho offesa in qualche modo?
La ragazza depose la penna e mi guardò con curiosità e una certa simpatia.
— Ma no, Anton, cosa dice? Forse è solo l'inverno. L'inverno troppo lungo.
Sorrise tesa e il vortice infernale ondeggiò sopra di lei, muovendo rapacemente il vertice…
— Il cielo è tutto grigio, il mondo è tutto grigio. E non si ha voglia di far niente. Sono stanca, Anton. Verrà la primavera e passerà.
— Lei è depressa, Svetlana — azzardai, prima di rendermi conto di aver ricavato questa diagnosi proprio dalla sua memoria. Ma la ragazza non vi fece caso.
— Sì, forse. Non fa niente, adesso comparirà il sole… Grazie per la sua premura, Anton.
Questa volta il sorriso era più sincero, anche se forzato.
Dal Crepuscolo giunse il sussurro di Ol'ga: — Anton, dieci centimetri in meno! Il vortice si affloscia. Gli analisti sono al lavoro, Anton, continua a dialogare!
Che cosa sto facendo di giusto?
Questa domanda era anche più terribile di "che cosa sto facendo di sbagliato?" Se sbagli, puoi cambiare abbastanza bruscamente la tua linea di condotta. Ma se hai centrato lo scopo, senza nemmeno saperlo, allora ti conviene gridare aiuto. È faticoso essere un pessimo arciere che ha colpito per sbaglio una mela e che si sforza di ricostruire il movimento delle braccia e la direzione dello sguardo, la tensione del dito che ha tirato… senza rendersi conto che ha colpito il bersaglio per merito di una folata impetuosa di vento.
Io ero conscio del fatto che me ne stavo lì a guardare Svetlana. E che lei a sua volta mi fissava, seria, in silenzio.
— Mi perdoni — le dissi. — Svetlana, mi perdoni, per amor del cielo. Sono piombato qui di sera e m'immischio in affari che non mi riguardano…
— Non fa niente. Anzi, mi fa piacere, Anton. Lo vuole un tè?
— Venti centimetri in meno, Anton! Accetta!
Persino questi centimetri di riduzione del vortice che s'era scatenato come l'inferno erano un dono del destino. Erano vite umane. Decine o addirittura centinaia di vite umane strappate a una catastrofe ineluttabile. Non sapevo come mai accadesse, ma aumentavo le difese di Svetlana contro l'inferno. E il vortice cominciava a dissolversi.
— Grazie, Svetlana, volentieri.
La ragazza si alzò e andò in cucina. E io la seguii. Ma che cosa accadeva?
— Anton, l'esame preliminare è pronto…
Mi sembrò che alla finestra, tra i tendoni scostati, balenasse la bianca figura di un uccello e che sfrecciasse lungo la parete, sulle tracce di Svetlana.
— Ignat ha agito secondo la procedura: complimenti, curiosità, seduzione, innamoramento. A lei piaceva, ma questo ha provocato l'estendersi del vortice. Anton, tu segui un altro percorso, quello della partecipazione. E per di più della partecipazione disinteressata, passiva.
Di raccomandazioni non ne erano arrivate, significava che non erano giunti ancora a nessuna conclusione analitica. Ma almeno sapevo come mi sarei dovuto comportare. Guardare con tristezza, sorridere con partecipazione, bere il tè e dire: "Hai gli occhi stanchi, Sveta…"
Perché di certo saremmo passati al "tu". Era inevitabile. Non avevo dubbi.
— Anton?
L'avevo fissata troppo a lungo. Svetlana era rimasta immobile davanti alla cucina a gas con la pesante teiera resa opaca dal vapore. Non è che si fosse spaventata, questo sentimento ormai le era inaccessibile, completamente assorbito dal vortice malefico. Più che altro sembrava contrariata.
— Qualcosa non va?
— Sì, mi sento in imbarazzo, Svetlana. Sono arrivato nel cuore della notte, mi sono lamentato dei miei problemi e ora mi sono anche fermato per un tè…
— Anton, la prego di restare. Sa, oggi ho avuto una giornata tanto strana che rimanere qui da sola… Facciamo così, questo sarà il mio onorario per la visita… Lei si siederà qui e converserà un po' con me — si affrettò ad aggiungere.
Annuii. Qualunque parola rischiava di essere sbagliata.
— Il vortice è diminuito ancora di quindici centimetri. Anton, hai scelto la tattica giusta!
Io non avevo scelto proprio nulla! Come facevano a non capirlo, analisti dei miei stivali? Avevo adoperato i miei poteri di Altro per entrare nella casa di un'estranea, penetrare nella sua memoria e prolungare così la mia permanenza là… e ora seguivo semplicemente la corrente.
E speravo che il fiume mi avrebbe condotto dove bisognava.
— Vuole marmellata?
— Sì…
Che follia questo tè! Altro che Carroll! I tè più folli non sono quelli nella tana del coniglio, al tavolo del cappellaio matto, della lepre marzolina e del ghiro! Una minuscola cucina di un minuscolo appartamento, l'infuso di tè del mattino a cui è stata aggiunta dell'acqua bollente, la marmellata di lamponi dal barattolo da tre litri, ecco dove attori incompresi recitavano la vera, folle scena del tè. Qui, e solo qui, avrebbero detto parole che mai avrebbero pronunciato altrimenti nella vita. Qui con un gesto da prestigiatore avrebbero estratto dal buio i loro piccoli ripugnanti segreti, dall'armadio i loro scheletri di famiglia, e rinvenuto nella zuccheriera cianuro di potassio. E nessuno avrebbe trovato un pretesto per alzarsi e andarsene perché nel frattempo avrebbero servito il tè, offerto la marmellata e avvicinato la zuccheriera aperta…
— Anton, è ormai da un anno che la conosco…
Un'ombra, una fuggevole ombra di smarrimento nello sguardo della ragazza. La memoria riempie diligentemente le lacune, suggerisce spiegazioni del perché io, un ragazzo così buono e simpatico, devo restare per lei solo un paziente.