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Dopo venti secondi capii che il viaggio precedente non era stato che un'allegra e tranquilla scampagnata.

— Semën, la possibilità di un incidente la escludi a priori? — gridai. La macchina sfrecciava nella notte, come se volesse superare la luce dei suoi stessi fari.

— Sono settant'anni che sto al volante — disse Semën sprezzante. — A Leningrado durante l'assedio guidavo i camion sulla "strada della vita"!

Non c'era motivo di dubitare delle sue parole, eppure io pensai che quei viaggi dovevano essere meno pericolosi. La velocità era diversa e prevedere la caduta di una bomba per un Altro è una cosa da niente. Ora, anche se di rado, s'incrociavano delle automobili, la strada era, a dirla con un eufemismo, pessima, e la nostra auto sportiva non era assolutamente adeguata a quelle condizioni…

— Il'ja, che è successo laggiù? — chiesi, cercando di distogliere lo sguardo da un camion che ci aveva evitato. — Sei al corrente?

— Intendi con la vampira e il ragazzino?

— Sì.

— Tutta colpa della nostra idiozia. — Il'ja imprecò. — Anche se è un'idiozia relativa. Tutto è stato fatto secondo la procedura. Andava tutto bene. Mangiate, bevute, assaggi di specialità… del supermercato vicino…

Rammentai la borsa pesante di Orso.

— Insomma, si stavano divertendo. — Nella voce di Il'ja non c'era odio, ma piuttosto la benevolenza del collega. — Luce, calore, le mosche che non ti mordono… Il ragazzino stava un po' con loro e un po' nella sua stanza… Chi poteva saperlo che era già capace di entrare nel Crepuscolo?

Rabbrividii.

Sì, davvero: come si poteva sapere?

Io non l'avevo detto. Né a loro, né al Capo. A nessuno. Ero tutto compiaciuto di aver trascinato fuori il ragazzino dal Crepuscolo, a prezzo di qualche goccia del mio sangue. Un eroe. Solo sul campo di battaglia.

Il'ja proseguì, senza sospettare nulla: — La vampira l'ha agganciato col suo Richiamo. Perfettamente mirato — i nostri ragazzi non avevano sentito nulla — e forte… Il ragazzino non ha neppure aperto bocca. È entrato nel Crepuscolo e si è diretto sul tetto.

— Come?

— Dai balconi al tetto ci sono solo tre piani. La vampira era già là ad aspettarlo. Per di più sapeva che il ragazzo stava in casa con la scorta, l'aveva subodorato e subito scoperto. Ora i genitori dormono pesantemente, la vampira sta abbracciata al ragazzino. Tigrotto e Orso sono lì accanto e impazziscono.

Tacevo. Non c'era niente da dire.

— È colpa della nostra idiozia — concluse Il'ja. — E del tragico evolversi delle circostanze. Il ragazzino non era neppure stato iniziato… Chi poteva sapere che sarebbe entrato nel Crepuscolo?

— Io lo sapevo.

Forse per i ricordi. Forse per la paura dopo la folle corsa in automobile sull'autostrada. Ma io guardai nel Crepuscolo.

Come sono fortunati gli umani che non possono vederlo! Come starebbero male… Non devono vederlo!

Un cupo cielo grigio dove non ci sono, né ci saranno mai, le stelle, un cielo vischioso come gelatina, illuminato da una luce fioca, sepolcrale. Tutti i profili si attenuano, dissolvendosi, e le case, i muri sono invasi da un muschio di colore blu. E poi gli alberi, i cui rami stormiscono, ma non per il vento; i fanali delle vie, sopra cui vorticano uccelli notturni, muovendo appena le corte ali. Le auto ci vengono incontro piano, piano, gli umani passano, battendo appena i piedi. Come attraverso un filtro grigio. E i suoni sono ovattati. Come il cinema in bianco e nero, l'effetto voluto da un annoiato regista. Il mondo da cui noi attingiamo la nostra forza. Il mondo che prosciuga la nostra vita. Il Crepuscolo. Come entri, così esci. Una grigia nebbia dissolve quella membrana che si è sviluppata su di te nel corso di una vita, strappa quel nucleo che gli uomini chiamano "anima" per testarlo. E quando ti sentirai frusciare tra le fauci del Crepuscolo e avvertirai un vento gelido pungente, velenoso come la saliva di un serpente… allora diventerai un Altro.

E sceglierai da che parte stare.

— Il ragazzo è ancora nel Crepuscolo?

— Sono tutti nel Crepuscolo… Anton, ma perché non l'hai detto? — mi chiese Il'ja.

— Non ci ho pensato. Non gli attribuivo nessun significato. Io non sono un operativo, Il'ja.

Lui scosse la testa.

Non riusciamo, proprio non riusciamo a biasimarci l'un l'altro. Soprattutto quando qualcuno ha davvero delle colpe. Non ce n'è bisogno, il nostro castigo è sempre intorno a noi. Il Crepuscolo ci dà una forza, inaccessibile agli umani, ci dà una vita, secondo la concezione degli uomini, quasi eterna. Ma poi ci toglie tutto, quando giunge l'ora.

In un certo senso siamo tutti indipendenti gli uni dagli altri. Non soltanto i vampiri e i mutantropi, che siamo costretti a uccidere per continuare la nostra strana esistenza. Le Forze delle Tenebre non possono permettersi il Bene. Noi, il contrario.

— Se non dovessi cavarmela… — Non terminai la frase. Anche così era tutto chiaro.

Capitolo 8

Attraverso il Crepuscolo sembrava addirittura bello. Sul tetto, il tetto piatto di quell'assurdo "casermone con le zampe", guizzavano luci variopinte. L'unica cosa a possedere qui un colore erano le nostre emozioni. Ora più che in eccesso.

A scintillare maggiormente era una colonna fiammeggiante e purpurea che perforava il cielo: la paura e la rabbia della vampira.

— È forte — disse Semën, guardando il tetto e chiudendo con un calcio lo sportello dell'auto. Sospirò e cominciò a spogliarsi.

— Cosa fai? — gli chiesi.

— Mi arrampico sul muro… lungo i balconi. E ti consiglio, Il'ja, di entrare solo tu nel Crepuscolo. È meglio.

— Tu, invece, che cosa intendi fare?

— Quello che faccio di solito. Ci sono meno probabilità di essere notati. Non preoccupatevi… pratico l'alpinismo da sessant'anni. Sono stato io a togliere la bandiera nazista sull'Elbrus.

Semën si spogliò e restò in camicia, gettando i vestiti sulla capote. Fece un veloce sortilegio protettivo, che colpì sia i vestiti sia il trabiccolo da esibizionista.

— Sei sicuro? — m'informai.

Semën sogghignò, fece qualche flessione, roteò le braccia come un atleta durante gli esercizi di riscaldamento. E saltellando corse verso l'edificio. Un nevischio sottile gli cadeva sulle spalle.

— Ce la farà ad arrampicarsi? — chiesi a Il'ja. Sapevo come ci si arrampica sul muro di un edificio nel Crepuscolo. Almeno in teoria. Ma un'ascensione nel mondo ordinario, per di più senza alcun equipaggiamento…

— Deve — affermò Il'ja senza troppa convinzione. — Quando ha nuotato sott'acqua per dieci minuti nel fiume Jauza… pensavo anch'io che non ce l'avrebbe fatta.

— Trent'anni di lezioni di nuoto subacqueo — dissi io tetro.

— Quaranta… Io vado, Anton. Prendi l'ascensore?

— Sì.

— Allora, forza. Non indugiare.

Attraversò il Crepuscolo, inseguendo di corsa Semën. Probabilmente si sarebbero arrampicati lungo pareti diverse, ma non volevo sapere quali. Avevo anch'io la mia missione da compiere e non doveva essere delle più facili.

— Perché il Capo mi sarà venuto incontro? — bisbigliai, correndo verso l'edificio. La neve scricchiolava sotto i miei piedi e il sangue mi pulsava nelle orecchie. Mentre correvo presi dalla fondina la pistola e tolsi la sicura. C'erano otto proiettili d'argento deflagranti. Sarebbero dovuti bastare. Se solo fossi riuscito a colpirla! Se solo avessi trovato il momento giusto per mirare alla vampira senza ferire il ragazzo!

— Prima o poi ti avremmo incontrato, Anton. Se non noi, i Guardiani del Giorno. E anche loro avevano tutte le probabilità di beccarti.

Non mi stupii che mi stesse seguendo. Innanzi tutto la questione era seria. E secondariamente lui era stato il mio maestro.

— Boris Ignat'evič, a proposito… - Mi sbottonai la giacca e mi ficcai la pistola dietro la schiena, infilando la canna nella cintura. — …Di Svetlana…