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Boris Ignat'evič riprese il suo aspetto di sempre. Di colpo, senza metamorfosi teatrali ed effetti di luci. Era in vestaglia e con in testa la tjubetejka, il berretto usbeco, solo che ai piedi aveva dei morbidi ičigi, e sopra questi stivali un paio di calosce.

Era piacevole guardare il volto di Zavulon.

Le oscure ali non erano scomparse, ma avevano cessato di crescere. Ora battevano incerte come se il mago avesse intenzione di volare via, ma esitasse.

— Chiudi l'operazione, Zavulon — disse il Capo. — Se ve ne andate all'istante da qui e dalla casa di Svetlana, non invieremo formale protesta.

Il mago delle Tenebre non esitò. — Ce ne andiamo.

Il Capo annuì, come se non si aspettasse nessun'altra risposta. Ma non abbandonò il bastone, e la barriera tra me e Zavulon svanì.

— Mi rammenterò del ruolo che hai avuto… — bisbigliò senza indugio il mago delle Tenebre. — Per sempre.

— Rammentalo — concordai io. — È utile.

Zavulon allargò le braccia, le possenti ali batterono all'unisono e lui scomparve. Ma prima lanciò un'occhiata alla strega e lei sputò.

Come fu spiacevole! Uno sputo non è un segno fatale, ma pur sempre sgradevole.

Con una lieve e pretenziosa andatura, che non si addiceva assolutamente al volto insanguinato e ammaccato e con la mano sinistra che penzolava, Alisa si avvicinò a me.

— Anche tu devi andartene — disse il Capo.

— Certo, con sommo piacere! — replicò la strega. — Ma prima avrei un piccolo… piccolissimo diritto. Non è vero, Anton?

— Sì — mormorai io. — Un intervento di settimo grado.

Contro chi era diretto il colpo? Contro il Capo? Ridicolo. Contro Tigrotto, Orso, Semën…? Sciocchezze. Contro Egor? Ma che cosa si poteva suscitare in lui a un livello così basso d'interferenza?

— Confidati — disse la strega. — Confidati con me, Anton. Si tratta di un'interferenza del settimo grado. Il Capo dei Guardiani della Notte è testimone: non oltrepasserò i limiti.

Semën gemette, stringendomi la spalla fino a farmi male.

— Ne ha diritto — dissi. — Boris Ignat'evič…

— Agisci come devi — rispose piano il Capo. — Io starò a guardare.

Sospirai, rivelandomi davanti alla strega. "Ma non potrà fare nulla! Nulla! Un'interferenza del settimo grado! Non riuscirà a dirottarmi dalle Tenebre! È semplicemente ridicolo!"

— Anton — disse la strega in tono soave. — Di' al Capo ciò che volevi dire. Di' la verità. Agisci in modo onesto e retto. Così come devi agire.

— Un intervento minimo… — confermò il Capo. Se nella sua voce c'era dolore, doveva essere così nel profondo che a me non era dato coglierlo.

— Una strategia dalle molte mosse — dissi io, guardando Boris Ignat'evič. — L'ambigua Guardia del Giorno sacrifica le sue pedine. La Guardia della Notte le proprie. Per un grande obiettivo. Per attirare dalla propria parte una straordinaria inaudita forza magica. Può anche perire un giovane vampiro che ha tanta voglia di amare. Può perire, svanendo nel Crepuscolo, anche un ragazzino dotato dei deboli poteri di Altro. Possono soffrire allo stesso modo i suoi collaboratori. Ma il fine giustifica i mezzi. Due grandi maghi, che si combattono da centinaia d'anni, tramano l'ennesimo piccolo scontro. Per il mago della Luce è più difficile… punta tutto su una carta sola. E la sconfitta per lui non sarebbe solo amara, equivarrebbe a un passo nel Crepuscolo, un passo definitivo. Eppure mette in gioco tutti su questa carta. I suoi e gli altri. Non è così, Boris Ignat'evič?

— Sì, è così — rispose il Capo.

Alisa rise piano e si diresse verso la botola. Adesso non se la sentiva proprio di volare. Tigrotto l'aveva strapazzata per bene. Eppure la strega continuava a essere di buon umore.

Fissai Semën. Lui distolse lo sguardo. Tigrotto si stava ritrasformando lentamente in una ragazza… ma anche lei evitava di guardarmi in faccia. Orso mandò un ruggito e, senza cambiare aspetto, pestò le zampe contro la botola. Per lui era più difficile che per tutti gli altri. Era troppo poco agile. Orso era uno splendido guerriero, nemico di ogni compromesso…

— Siete tutti vigliacchi — disse Egor. Si alzava a scatti, non solo per la stanchezza. Ora il Capo lo alimentava con la propria energia, scorgevo un filo sottile di forza fluire nell'aria… All'inizio è sempre difficile liberarsi dalla propria ombra.

Uscii dopo di lui. Non fu difficile: nell'ultimo quarto d'ora nel Crepuscolo si era concentrata una tale quantità di energie che l'ombra aveva perso la consueta aggressiva vischiosità.

Quasi immediatamente udii un soffice disgustoso tonfo: lo stregone, precipitato dal tetto, aveva raggiunto l'asfalto.

Uno dopo l'altro cominciarono ad apparire tutti gli altri. La simpatica ragazza dai capelli neri con un'ecchimosi sotto l'occhio sinistro e lo zigomo rotto, l'imperturbabile giovanotto tarchiato, l'autorevole businessman in vestaglia orientale… Orso era già andato via. Sapevo che cosa avrebbe fatto nel suo appartamento, nella sua "tana". Avrebbe bevuto alcol etilico e letto poesie. Forse a voce alta. Guardando il televisore che ronzava allegramente.

Anche la vampira si trovava lì. Stava malissimo, borbottava qualcosa, scuotendo la testa, e si leccava la mano penzolante, che cercava stancamente di saldarsi. Era tutta schizzata del sangue della sua ultima vittima…

— Vattene — le dissi, sollevando la pesante pistola. La mano mi tradì e tremò.

Il proiettile deflagrò, trapassando la carne morta, e nel fianco della ragazza comparve una ferita. La vampira gemette, si premette sulla ferita la mano sana. L'altra penzolava sui legamenti dei tendini.

— Non farlo — disse Semën con dolcezza. — Non farlo, Anton…

Io però mi avventai sulla sua testa. In quell'istante scese in picchiata dal cielo un'enorme ombra nera, un pipistrello delle dimensioni di un condor. Dispiegò le ali per proteggere la vampira, torcendosi nello spasmo della trasformazione.

— Lei ha diritto di essere giudicata!

Non potevo sparare a Kostja. Rimasi lì a guardare il vampiro, il mio vicino di casa. Lui non distoglieva gli occhi, risoluti e inflessibili. "Da quanto tempo mi pedinavi, amico mio, mio avversario? E perché vuoi salvare la tua consimile e compiere un passo che mi trasformerebbe in un tuo irriducibile nemico?"

Mi strinsi nelle spalle e infilai la pistola dietro la cintura. "Avevi ragione, Ol'ga. La tecnica è solo una sciocchezza."

— Sì, ne ha il diritto — confermò il Capo. — Semën, Tigrotto, Orso, scortateli.

— Va bene — disse Tigrotto. Mi fissò, non solo con uno sguardo pieno di solidarietà, ma di comprensione. Con passo flessuoso si diresse verso i vampiri.

— Comunque sarà sottoposta a una procedura speciale — mormorò Semën, e li seguì.

E così abbandonarono il tetto. Kostja portava tra le braccia la vampira dolorante, semincosciente. Semën e Tigrotto li seguivano in silenzio.

Restammo in tre.

— Ragazzo, tu hai davvero dei poteri — disse dolcemente il Capo. — Non grandi, ma la maggior parte della gente ne è priva. Sarei felice che tu accettassi di essere mio allievo…

— Ma vada un po'… — attaccò a dire Egor. L'ultima parte della frase era totalmente priva di intonazioni cortesi. Il ragazzo piangeva in silenzio. Faceva delle smorfie per trattenere le lacrime, ma non ci riusciva.

Un piccolo intervento di settimo grado e si sarebbe sentito meglio. Avrebbe capito che la Luce non poteva combattere contro le Tenebre senza servirsi di qualunque arma a sua disposizione…

Alzai la testa verso il cielo del Crepuscolo, aprii la bocca, afferrando i freddi fiocchi di nevi. Congelare. Congelare in eterno. Ma non qui, nel Crepuscolo. Diventare ghiaccio e non nebbia, neve o fanghiglia; diventare di pietra, ma senza sperdersi…