— Egor, andiamo, ti accompagno — proposi.
— Non… vado lontano… — disse il ragazzino.
Rimasi ancora lì a lungo a inghiottire neve mischiata a vento e non notai che se n'era andato. Sentii la voce del Capo dire: — Egor, sei capace di svegliare da solo i tuoi genitori? — ma non udii la risposta.
— Anton, se questo può consolarti… l'aura del ragazzo è rimasta la stessa — disse Boris Ignat'evič. — Nessuna… — Mi cinse le spalle, piccolo e triste. Non era più l'accurato imprenditore o il mago di primo grado. Solo un vecchio dall'aspetto giovanile che aveva vinto l'ennesima partita in una guerra senza fine.
— Ottimo.
L'avrei voluto anch'io. Nessuna aura. Nessun destino speciale.
— Anton, abbiamo ancora da fare.
— Lo so, Boris Ignat'evič…
— Puoi spiegare tutto a Svetlana?
— Sì, credo di sì… Ora posso.
— Perdonami, ma ho adoperato ciò che avevo a disposizione… quelli che avevo a disposizione. Voi siete legati. Un semplice legame mistico, inspiegabile. Non ho nessuno con cui sostituirti.
— Capisco.
La neve si attaccava al mio viso, ghiacciando sulle ciglia e sciogliendosi in rivoli sulle guance. Avevo la sensazione di aver quasi imparato a congelare, ma non ne avevo il diritto.
— Rammenti ciò che ti avevo detto? Appartenere alle Forze della Luce è molto più impegnativo che appartenere alle Forze delle Tenebre…
— Lo rammento…
— E ora sarà anche più gravoso, Anton. Tu ti innamorerai di lei. Vivrai con lei… per un po'. Poi Svetlana se ne andrà. E tu la vedrai allontanarsi da te, e intanto la cerchia si allargherà. Soffrirai. Ma non potrai farci nulla. Questo sarà il tuo ruolo all'inizio. È ciò che succede a ogni Grande Mago e a ogni Grande Maga. Devono passare sul corpo degli amici e degli esseri amati. Non può essere altrimenti.
— Già capisco… capisco tutto.
— Andiamo, Anton? Tacevo.
— Andiamo?
— Non siamo in ritardo?
— Per ora no. Sveta ha i suoi percorsi. Ti guiderò per la via più breve e in seguito sarai tu a scegliere la tua strada.
— Allora resterò ancora un po' — dissi. Chiusi gli occhi per sentire i fiocchi che si attaccavano alle mie palpebre, teneramente, dolcemente.
— Se sapessi quante volte sono rimasto anch'io così — mi disse il Capo — a guardare il cielo e a domandare… una benedizione o una maledizione.
Non risposi, sapevo di non dover aspettare.
— Anton, mi sono congelato — disse il Capo. — Ho freddo. Ho freddo, come un essere umano. Voglio bere un po' di vodka e mettermi a letto sotto le coperte. E starmene lì disteso finché non avrai aiutato Svetlana… e Ol'ga avrà sistemato il vortice, E poi prendermi delle ferie. Lasciare al mio posto Il'ja… dopotutto è già entrato nella mia pelle… e andarmene a Samarcanda. Sei mai stato a Samarcanda?
— No.
— Niente di bello, a dire il vero. Soprattutto ora. Non c"è niente di bello laggiù se non i ricordi… ma riguardano soltanto me… Tu come stai?
— Andiamo, Boris Ignat'evič. Mi sfregai via la neve dal viso. Mi stavano aspettando.
Era l'unico motivo che ci impediva di congelare.
Seconda Storia
Straniero tra i suoi
Prologo
Si chiamava Maksim.
Un nome non proprio raro, ma nemmeno banale. Dal suono decisamente armonioso. Un bel nome russo, anche se probabilmente le sue radici si perdevano tra i Greci, i Variaghi e gli Sciti.
Era contento del suo aspetto. Non aveva la bellezza melensa degli attori dei serial televisivi, ma nemmeno una faccia qualsiasi, di quelle che si dimenticano subito. Un bell'uomo, tra la gente lo si notava: ben costruito, ma senza esagerazioni, senza vene gonfie e il fanatismo dell'allenamento quotidiano in palestra.
E anche per quanto riguardava la professione — consulente per una grossa ditta straniera — e le entrate, poteva permettersi diversi capricci, ma non tanto da temere di suscitare l'interesse del racket.
Era proprio come il suo angelo custode aveva deciso: «Sarai un po' meglio degli altri.» Un po', ma meglio. E la cosa più importante era che a Maksim andava benissimo così. Arrampicarsi un po' più in alto, rovinandosi la vita per una macchina più accessoriata, un invito a una serata importante o un appartamento con una camera in più… perché? La vita è bella per se stessa, e non per i beni che puoi riuscire ad afferrare. In questo senso è l'esatto opposto dei soldi, che in se stessi non sono nulla.
Naturalmente Maksim non aveva mai formulato questi pensieri in modo così esplicito. Una delle caratteristiche delle persone che nella vita riescono a occupare esattamente il loro posto è quella di prendere le cose come vengono. Tutto va così come deve andare. E se qualcuno non è riuscito ad avere quello che si aspettava… è soltanto colpa sua. Colpa della sua pigrizia, o della sua stupidità. O del fatto che aveva un livello di aspettative troppo elevato.
A Maksim quella frase piaceva molto: "un livello di aspettative troppo elevato". Rimetteva tutto al suo posto. Spiegava, per esempio, come mai la sua bella e intelligente sorella vegetasse a Tambov con un marito alcolista. Cercava qualcosa di meglio e di più promettente… be', l'aveva trovato. O il suo vecchio compagno di scuola, da due mesi in traumatologia. Voleva sviluppare il business? E l'aveva sviluppato. Poteva dirsi fortunato a essere ancora vivo. I suoi concorrenti sul mercato dei metalli non ferrosi si erano dimostrati persone civili…
In un unico caso Maksim applicava l'espressione "un livello di aspettative troppo elevato" a se stesso. Ma era una questione così strana e complessa che non aveva neppure voglia di ripensarci troppo. Era più semplice non pensarci, e rassegnarsi a quella cosa strana che gli capitava talvolta in primavera, qualche volta in autunno e raramente, ma proprio rarissimamente, nel pieno dell'estate, quando la calura esplodeva in modo così insopportabile da spazzargli via dal cervello tutto il buon senso e la prudenza, e anche qualche leggero dubbio sulla sua perfetta integrità psichica… Non che Maksim si fosse mai considerato schizofrenico. Aveva letto diversi libri e consultato qualche medico importante, naturalmente senza entrare troppo nei dettagli.
No, era normale. Evidentemente però esisteva davvero ciò davanti a cui la mente si ritira, e le normali regole dell'esistenza dell'uomo non sono più valide. Aspettative troppo elevate… non era piacevole. Ma lo erano davvero, troppo elevate…
Maksim era seduto in macchina con il motore spento, nella sua Toyota ben tenuta, non il modello più caro e lussuoso, ma sempre molto meglio della maggioranza delle macchine che percorrevano le strade di Mosca. Nella semioscurità del mattino la sagoma dell'uomo al volante non si distingueva neppure a pochi passi dalla macchina. Aveva trascorso così tutta la notte, ascoltando i leggeri fruscii del motore che si raffreddava, morendo di freddo, ma senza permettersi di accendere il riscaldamento. Non aveva voglia di dormire, come succede di solito in questi casi. E nemmeno di fumare. Non aveva voglia di niente, anche così era bello starsene seduti lì, senza muoversi, niente più che un'ombra nella macchina posteggiata sul ciglio della strada, in attesa. L'unico problema era che sua moglie avrebbe di nuovo pensato che aveva trascorso la notte con qualche amante. E come convincerla che non aveva un'amante, per lo meno fissa, e che tutti i suoi peccati si riducevano ai soliti amorazzi estivi, a qualche storiella sul lavoro e raramente a una professionista durante le trasferte… e comunque non pagata con soldi sottratti al bilancio familiare, ma gentilmente offerta dal cliente? Non si poteva rifiutare, si sarebbero offesi. O avrebbero pensato che era omosessuale e la volta dopo gli avrebbero proposto un ragazzo…
Con un baluginio verde le cifre dell'orologio passarono a indicare le cinque. Ecco che si mettevano al lavoro i primi portinai: era un quartiere prestigioso nella parte più antica di Mosca, alla pulizia ci tenevano moltissimo. Per fortuna non pioveva e la neve non c'era più: l'inverno era finito, finalmente, e aveva fatto posto alla primavera, con tutti i suoi problemi e le sue aspettative troppo elevate…