— Non ce l'ho l'alibi di ferro — dissi. — Adesso mi vesto e me ne vado.
— Vedo — confermò Tolja.
— E non ci sono più per quasi mezz'ora. Quella volta… cercavo dello champagne… e intanto, all'aria aperta, mi sono un po' ripreso. E mi sono chiesto se valesse la pena tornare.
— Non ci pensare più — disse Tolja. — Meglio che ti dedichi alla vita intima del Capo.
Dopo una mezz'ora di lavoro mi resi conto che Tolja aveva ragione. Forse avevo davvero qualche motivo per offendermi per l'invadenza dei miei controllori. Ma certamente Boris Ignat'evič non era stato trattato meglio di me.
— Il Capo ha un alibi — dissi. — Inattaccabile. Per due casi ci sono quattro testimoni. E per l'altro praticamente tutta la Guardia.
— La volta della caccia all'agente delle Tenebre impazzito?
— Sì.
— Tu non hai un alibi nemmeno per quella volta. Ti hanno chiamato solo verso mattina, e il cronometraggio è molto approssimativo. C'è una foto di quando entri in ufficio e basta.
— Perciò…
— Teoricamente potevi ammazzare chiunque. Senza problemi. E per di più, scusami, Anton, ma ogni omicidio coincide con un aumento del tuo livello di eccitazione. Come se non ti controllassi perfettamente.
— Non sono stato io.
— Ci credo. Cosa devo fare con questo file?
— Eliminalo.
Tolja ci pensò su per un po'.
— Non ho niente di prezioso qui. Farò una formattazione veloce. È da un bel po' che devo ripulire l'hard disk.
— Grazie. — Chiusi il dossier sul Capo. — Basta, con gli altri me la vedo da solo.
— Capito. — Tolja superò la comprensibile indignazione del computer, e quello cominciò ad autodigerirsi.
— Vai a dare un'occhiata alle bambine — gli suggerii. — Fai la faccia severa. Avranno già tirato fuori le carte, ci scommetto.
— Tanto per cambiare — convenne subito Tolja. — Quando ti liberi?
— Tra due ore.
— Allora passo.
Se ne andò a controllare le nostre "bambine", due giovani programmatrici che in generale seguivano l'attività ufficiale di base dei Guardiani. Io continuai il mio lavoro. Adesso era il turno di Semën.
Due ore e mezzo dopo mi allontanai dal computer, massaggiandomi la nuca con le mani aperte — mi si intorpidisce sempre, quando me ne sto lì inchiodato allo schermo — e accesi la macchina del caffè.
Né il Capo, né ll'ja o Semën potevano occupare il ruolo del killer degli agenti delle Tenebre. Avevano tutti un alibi, e spesso assolutamente inattaccabile. Semën. per esempio. aveva avuto la buona idea di trascorrere tutta la notte di uno degli omicidi in trattative con la direzione della Guardia del Giorno. Il'ja era in missione a Sachalin: da quelle parti era scoppiato un tale casino da richiedere un intervento della direzione centrale…
Ero io l'unico sospettabile.
Non che non mi fidassi di Tolja. Ma controllai lo stesso una seconda volta i dati che mi riguardavano. Tutto giusto: non avevo alibi.
Il caffè era cattivo, acido, evidentemente non cambiavano il filtro da un bei po'. Inghiottii quella brodaglia bollente controllando lo schermo, poi presi il cellulare e feci il numero del Capo.
— Dimmi, Anton.
Sapeva sempre chi lo chiamava.
— Boris Ignat'evič, soltanto uno è senza alibi.
— E chi precisamente?
La sua voce era secca, ufficiale. Ma avevo lo stesso l'impressione che fosse seduto seminudo sul suo divano, con una coppa di champagne in una mano e la mano di Ol'ga nell'altra, e che tenesse la cornetta con la spalla, o che magari il telefono levitasse a mezz'aria…
— Ehi, ehi… — mi richiamò all'ordine lui. — Veggente o guardone? Chi è il sospettato?
— Io.
— Chiaro.
— Lei lo sapeva già — dissi.
— Perché lo pensi?
— Non c'era nessun bisogno di coinvolgermi nel lavoro sui dossier. Se la sarebbe potuta benissimo cavare da solo. Voleva che mi rendessi conto del pericolo personalmente.
— Ammettiamolo pure. — Il Capo sospirò. — Che cosa farai, Anton?
— È meglio essere pronti alla guerra…
— Vieni nel mio ufficio. Tra… ehm… tra dieci minuti.
— Va bene. — Chiusi la telefonata.
Prima passai dalle bambine. Tolja era lì e lavoravano tutti con impegno.
In effetti la Guardia non aveva nessun bisogno di due programmatrici tutt'altro che dotate. Il loro livello di accesso ai materiali segreti era basso, e dovevamo fare quasi tutto noi. Ma dove avremmo potuto sistemare due maghe molto molto deboli? Almeno avessero accettato di passare alla vita normale… No, avevano aspirazioni romantiche, volevano lavorare per la Guardia… E così erano finite da noi.
Di solito ammazzavano il tempo navigando e giocando; anche i solitari di tutti i tipi erano tornati di gran moda.
A una delle macchine libere c'era Tolja. Sulle sue ginocchia c'era Julja, che muoveva il mouse sul tappetino con grande concentrazione.
— È questa la famosa alfabetizzazione informatica? — chiesi, osservando i mostri che attraversavano fulminei lo schermo.
— Non c'è niente che sviluppi la capacità di utilizzare il mouse come i giochini elettronici — si giustificò Tolja.
— Be'… — Lasciai perdere, non trovando al momento una risposta adeguata.
Io i giochini li avevo abbandonati da tantissimo tempo. Come la maggioranza degli agenti della Guardia della Notte. Eliminare le forze del male dalla realtà virtuale è divertente finché non le incontri davvero. A meno di sopravvivere ancora per un altro secolo e farsi una bella scorta di cinismo, come Ol'ga…
— Tolja, probabilmente oggi non rientro — dissi.
— Aha. — Annuì senza nessuna meraviglia. Non abbiamo grandi capacità di prevedere il futuro, ma questi particolari li avvertiamo subito.
— Galja, Lena, ciao — salutai le bambine.
Galja mormorò qualcosa di gentile, esibendo contemporaneamente una gran concentrazione nel lavoro. Lena mi chiese: — Posso uscire prima?
— Certo.
Non ci mentiamo tra noi. Se Lena chiede un permesso è perché ha davvero bisogno di uscire prima. Non mentiamo. Solo, qualche volta, facciamo i furbi e non raccontiamo proprio tutto…
Sul tavolo del Capo regnava un tremendo disordine. C'erano penne, matite, fogli di carta, bollettini stampati, cristalli magici offuscati ormai esauriti.
Il colmo della sconcezza, però, era un fornello a spirito acceso su cui, in un crogiolo, si scaldava una polverina bianca. Il Capo la mescolava con espressione assorta con la punta di una preziosa Parker, evidentemente in attesa di qualche effetto. La polverina però ignorava sia il calore sia il rimescolamento.
— Ecco. — Depositai il dischetto davanti al Capo.
— Che cosa facciamo? — mi chiese senza sollevare gli occhi. Non aveva la giacca, la camicia era spiegazzata e la cravatta di traverso.
Lanciai di nascosto un'occhiata al divano. Ol'ga non c'era, ma sul pavimento c'erano una bottiglia vuota di champagne e due coppe.
— Non so. Non ho ucciso io gli agenti delle Tenebre… quegli agenti delle Tenebre. Lo sa anche lei.
— Lo so.
— Ma non posso dimostrarlo.
— Secondo i miei calcoli, abbiamo due-tre giorni — disse il Capo. — Poi la Guardia del Giorno presenterà un atto d'accusa contro di te.
— Organizzarmi un falso alibi non è difficile.
— E tu acconsentiresti? — mi chiese Boris Ignat'evič incuriosito.
— No, naturalmente. Posso farle una domanda?
— Prego.
— Da dove vengono tutti questi dati? Le fotografie e le videoregistrazioni?
Il Capo rimase un istante in silenzio. — Me lo immaginavo. Eppure tu hai visto anche il mio dossier, Anton. Ti è sembrato meno disinvolto?
— No, è vero. È anche per questo che lo chiedo. Perché permette che si raccolga questo genere di informazioni?