Con identico interesse. L'atmosfera di mistero che avvolgeva Ol'ga, le voci e i bisbigli, e il fatto che fosse dalla notte dei tempi l'amante del Capo provocavano nella parte maschile della Guardia un effetto particolare.
— Buongiorno — dissi. — Non sono importuna?
Concentrato com'ero sull'uso giusto del genere, non avevo controllato il tono. Il risultato era che quella banalissima domanda aveva assunto un suono tra il languido e l'enigmatico, e sembrava rivolta personalmente a ciascuno dei presenti. Il ragazzino brufoloso mi trafisse con lo sguardo, il giovanotto inghiottì, soltanto il coreano mantenne una parvenza di sangue freddo.
— Ol'ga, vuole annunciare qualcosa agli studenti? — mi chiese Polina.
— Devo parlare con Sveta.
— Potete andare — dichiarò la vecchia maga. — Ol'ga, qualche volta passerà a trovarci durante le lezioni? I miei insegnamenti non possono certo sostituire la sua esperienza.
— Sicuramente — promisi. — Tra tre giorni.
Certo, Ol'ga avrebbe dovuto rispondere delle mie promesse. D'altra parte io stavo pagando le conseguenze del suo sex-appeal!
Mi avviai all'uscita insieme a Svetlana. Tre paia di occhi mi seguirono, incollati avidamente alla mia schiena, o meglio… non proprio alla schiena.
Sapevo che tra Ol'ga e Svetlana i rapporti erano molto amichevoli. Da quella notte in cui io e Ol'ga le avevamo spiegato la verità sul mondo, sugli Altri, sulle Forze della Luce e le Forze delle Tenebre, sui Guardiani, sul Crepuscolo; da quell'alba in cui, tenendo le nostre mani, aveva oltrepassato la porta chiusa della sede del quartier generale operativo della Guardia della Notte. Da allora tra me e Svetlana c'era il legame di un filo mistico, i nostri destini erano intrecciati. Ma sapevo, e lo sapevo fin troppo bene, che non sarebbe durato a lungo. Svetlana sarebbe andata molto più lontano di quanto avrei mai potuto fare io, fossi anche diventato mago di primo livello. Era il destino a unirci, e a unirci strettamente. Ma era un legame a tempo determinato. Invece Ol'ga e Svetlana erano semplicemente amiche, per quanto mi sia sempre dichiarato scettico sulla possibilità dell'amicizia femminile. Non era stato il fato ad avvicinarle. Loro erano libere.
— Ol'ga, io devo aspettare Anton. — Svetlana mi aveva preso per mano. Non era il gesto di una sorella minore che si stringe alla maggiore in cerca di sostegno e di autoaffermazione. Era il gesto che può esserci tra due persone alla pari. E se Ol'ga permetteva a Svetlana di comportarsi alla pari, voleva dire che quella ragazza aveva davvero un grande futuro davanti.
— Non è il caso — dissi. — Sveta, non è il caso.
Di nuovo avvertii qualcosa di strano nella costruzione della frase o forse nel tono con cui l'avevo pronunciata. Adesso Svetlana mi fissava sconcertata, e il suo sguardo era assolutamente identico a quello di Garik.
— Ti spiegherò tutto — le dissi. — Ma non adesso e non qui. A casa tua.
Il suo appartamento era stato protetto come si deve, la Guardia aveva decisamente fatto le cose in grande per la nuova collaboratrice. Il Capo non si era nemmeno messo a discutere se fosse o meno il caso che parlassi con Svetlana, aveva insistito solo su un punto: che la conversazione avvenisse a casa sua.
— Va bene. — Lo stupore, però, non scomparve dagli occhi della ragazza. — Sei sicura che non sia il caso di aspettarlo?
— Assolutamente — dissi, senza nemmeno un'ombra di menzogna. — Prendiamo una macchina?
— Sei venuta a piedi oggi?
Idiota!
Mi ero completamente dimenticato che Ol'ga preferiva a qualsiasi altro mezzo di trasporto la macchina sportiva che le aveva regalato il Capo.
— No, appunto, ti dicevo… andiamo alla macchina? — mi corressi, consapevole che stavo facendo la figura dello stupido. Anzi, della stupida.
Svetlana annuì. Lo sconcerto nei suoi occhi cresceva sempre più.
Per fortuna sapevo guidare. Non ero mai stato attratto dal discutibile piacere di possedere una macchina in una megalopoli dotata di strade così terribili.
Il nostro corso di studi era molto vario. Alcune materie ce le insegnavano nel modo normale, altre ce le fissavano nella coscienza con la magia. A guidare la macchina avevo imparato come imparano gli uomini, ma se il caso mi avesse scaraventato nella cabina di un elicottero o di un aereo, sarebbero entrati in azione automatismi di cui. in condizioni normali, non ero consapevole. Per lo meno, in teoria sarebbero dovuti entrare in azione.
Trovai le chiavi della macchina in borsetta. L'auto, di un bell'arancione fiammante, ci aspettava nel parcheggio davanti alla nostra sede, sotto l'occhio vigile della sorveglianza. Le portiere erano chiuse, il che era abbastanza ridicolo considerando che la macchina era scoperta.
— Guidi tu? — mi chiese Svetlana.
Assentii in silenzio. Mi sedetti al volante e avviai il motore. Ol'ga, a quanto mi ricordavo, partiva a razzo, ma io non ero in grado di imitarla.
— Ol'ga, hai qualcosa di strano oggi. — Alla fine Svetlana si era decisa a dar voce ai suoi pensieri. Annuii, imboccando il Leningradskij Prospekt.
— Sveta, parleremo di tutto quando arriviamo a casa tua.
Non aprì più bocca.
Non sono un grande pilota. Viaggiammo a lungo, molto più a lungo di quanto sarebbe stato necessario. Svetlana però non mi chiese più nulla, sedeva abbandonata, guardando diritto davanti a sé. Probabilmente meditava, o cercava di vedere attraverso la penombra. Negli ingorghi capitò più di una volta che qualcuno, dalle macchine vicine, cercasse di attaccare discorso. Era sempre qualcuno a bordo di un'auto molto costosa, come se il nostro aspetto, e la nostra macchina, creassero una barriera invisibile che non tutti si azzardavano a superare. Abbassavano il finestrino, sporgevano la testa sempre dai capelli molto corti… qualche volta spuntava anche una mano con il telefonino, immancabile attributo. All'inizio li trovavo semplicemente fastidiosi. Poi ridicoli. Alla fine smisi di reagire a qualsiasi provocazione, esattamente come faceva Svetlana.
Mi sarebbe piaciuto sapere se Ol'ga trovava divertenti quei tentativi di abbordaggio.
Probabilmente sì. Dopo aver trascorso interi decenni in un corpo non umano ed essere stata reclusa in una vetrina!
— Ol'ga, perché mi hai portato via? Perché non hai voluto aspettare Anton?
Mi strinsi nelle spalle. La tentazione di dirle: "Perché è qui, di fianco a te" era grande. Le possibilità che qualcuno ci stesse seguendo erano piuttosto scarse. Anche la macchina era coperta da incantesimi protettivi, che in parte percepivo e in parte superavano le mie possibilità.
Ma mi trattenni.
Svetlana non aveva ancora frequentato il corso di sicurezza delle informazioni, che cominciava solo dopo i primi tre mesi di addestramento. Secondo me varrebbe la pena di introdurlo prima, ma per ognuno degli Altri viene elaborato un programma personalizzato, e questo richiede un certo tempo.
Una volta superato l'addestramento, Svetlana avrebbe imparato sia a parlare sia a stare zitta. Quello era contemporaneamente il corso più facile e il più duro. Durante quel periodo cominciano semplicemente a darti delle informazioni, meticolosamente dosate e con una ben precisa consequenzialità. Una parte di queste informazioni è vera, una parte è falsa. Qualcosa ti viene comunicato apertamente, con grande disinvoltura, qualcosa con la clausola del più assoluto segreto, qualcos'altro ancora lo scopri ''per caso", lo senti di sfuggita, lo sbirci di nascosto.
E tutto, tutto ciò che vieni a sapere fermenta dentro di te, evocando dolore e paura, e lotta per venire alla superficie, lacerandoti il cuore, ed esige una reazione, rapida e immediata. A lezione ti racconteranno ogni genere di sciocchezze, in generale del tutto inutili per la vita di un Altro. Perché la prova fondamentale, l'addestramento decisivo, avviene nella tua anima.
In realtà sono pochi quelli che non ce la fanno. Anche perché si tratta di un addestramento, e non di un esame. E a ciascuno viene proposto solo il grado di difficoltà che può affrontare, impegnando al massimo tutte le sue forze e lasciando brandelli di pelle e schizzi di sangue sull'ostacolo da superare, sempre coperto di filo spinato.