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— Non so, Sveta, non mi comunicano i dettagli di tutte le operazioni.

— Allora prova a pensarci. E ancora. Possibile che Zavulon sia così isterico, meschino e vendicativo? In fondo ha centinaia di anni, e guida i Guardiani del Giorno da tempi molto antichi… Se questo maniaco…

— Il Selvaggio.

— Se davvero da qualche anno permettono al Selvaggio di divertirsi per le strade di Mosca, per prepararci una provocazione, secondo te il comandante della Guardia del Giorno la sprecherebbe per una simile sciocchezza? Scusami. Anton, ma tu non sei un obiettivo così importante.

— Capisco. Ufficialmente sono un mago di quinto livello. Però il Capo ha detto che in realtà posso rivendicare il terzo.

— Ma anche così…

Ci guardammo negli occhi, e io allargai le braccia: — Mi arrendo. Svetlana, probabilmente hai ragione. Ma io ti ho raccontato tutto quello che so. E non vedo nessun altro possibile scenario.

— Allora hai intenzione di sottometterti agli ordini? Andare in giro con la gonna e non rimanere da solo nemmeno per un minuto?

— Quando sono entrato nella Guardia, sapevo di rinunciare a una parte della mia libertà.

— Una parte. — Svetlana fece un risolino. — Hai detto bene. Basta, tu sai più cose di me. Allora, questa notte la passiamo insieme?

Annuii: — Sì. Ma non qui. È meglio che stia sempre in mezzo alla gente.

— E per dormire?

— Stare qualche giorno senza dormire non è niente di speciale. — Mi strinsi nelle spalle. — Penso che il corpo di Ol'ga non sia meno allenato del mio. Negli ultimi mesi si è sempre dedicata alla vita del bel mondo.

— Anton, io non ho ancora imparato questi trucchi. Quando potrò dormire?

— Di giorno. A scuola.

Sveta fece una smorfia. Sapevo che avrebbe acconsentito, era inevitabile. Il suo carattere non le avrebbe semplicemente permesso di rifiutare il suo aiuto neppure a un conoscente casuale, e io comunque non ero casuale.

— Andiamo al Maharaja? — proposi.

— Che cos'è?

— Un ristorante indiano niente male.

— E rimane aperto tutta la notte?

— No, purtroppo. Ma penseremo a dove andare dopo.

Svetlana mi guardò così a lungo che tutta la mia innata faccia tosta non bastò a difendermi. Che cosa avevo adesso che non andava?

— Anton, ti ringrazio — mi disse. — Ti ringrazio di cuore. Mi hai invitata al ristorante. Erano due mesi che aspettavo questo invito.

Poi si alzò, andò all'armadio, lo aprì, soppesò con aria critica i vestiti appesi.

— Della tua misura non c'è niente di adatto — concluse. — Dovrai rimetterti i jeans. Ti lasceranno entrare al ristorante?

— Per forza — risposi senza troppa sicurezza. Alla fine avrei sempre potuto esercitare una leggera pressione sul personale.

— Se sarà il caso, mi allenerò un po' nell'ipnosi — disse Svetlana, come se mi avesse letto nel pensiero. — E li costringerò a lasciarti entrare. Sarebbe una buona azione, no?

— Certo.

— Sai, Anton — Svetlana tolse dalla gruccia un vestito, se lo appoggiò davanti e scosse la testa. Poi passò a un tailleur beige — mi stupisce sempre la capacità che hanno i membri della Guardia di giustificare qualsiasi pressione sulla realtà con gli interessi del Bene e della Luce.

— Non qualsiasi! — protestai.

— Assolutamente qualsiasi. Se fosse necessario, considerereste un'opera buona anche il furto, o l'omicidio.

— No.

— Ne sei proprio sicuro? Quante volte ti sei dovuto insinuare nella coscienza della gente? Ecco, perfino il nostro incontro: in fondo mi hai costretta a credere che fossimo vecchi amici. Usi spesso i tuoi poteri di Altro nella vita?

— Sì, ma…

— Immaginati di essere per la strada. Vedi davanti a te un adulto che picchia un bambino. Cosa fai?

— Se avessi una possibilità di interferenza — mi strinsi nelle spalle — procederei a una rimoralizzazione. È ovvio.

— E saresti proprio sicuro di avere agito per il meglio? Senza riflettere, senza provare a capire? E se il bambino si fosse meritato quella punizione? Se quella punizione potesse salvarlo da grossi rischi futuri, impedendogli di diventare un bandito o un assassino? E tu parli di rimoralizzazione!

— Sveta, ti stai sbagliando.

— In che cosa?

— Anche se non avessi limiti nelle azioni di influenza parapsicologica, non esagererei lo stesso.

Svetlana sbuffò leggermente: — Sei così certo della tua giustizia? Qual è il confine?

— Il confine ciascuno lo stabilisce autonomamente. È necessario.

Mi guardò pensierosa.

— Anton, mi sa che queste domande le fanno tutti i novellini, vero?

— Vero. — Sorrisi.

— E tu sei abituato a dare le risposte giuste, conosci tutto il corredo di frasi fatte, di sofismi, di esempi storici e di analogie.

— No, Sveta. Non è così. Le Forze delle Tenebre queste domande non le fanno, per esempio.

— Come fai a saperlo?

— Un mago delle Tenebre può anche risanare, un mago della Luce anche uccidere — dissi. — È la verità. Sai qual è la differenza tra la Luce e le Tenebre?

— No. Non so perché, ma non ce la insegnano. Forse è difficile da formulare?

— Non è affatto difficile. Se pensi soprattutto a te, ai tuoi interessi, la tua strada ti porta verso le Tenebre. Se pensi agli altri, sei in cammino verso la Luce.

— Ed è lungo questo cammino verso la Luce?

— Dura tutta la vita.

— Queste sono solo parole, Anton. Giochi di parole. Che cosa dice un vecchio mago delle Tenebre a un novellino? Probabilmente parole altrettanto belle e giuste…

— Sì. Sulla libertà. Gli dice che ciascuno, nella vita, occupa il posto che si è meritato. Che l'abbandonarsi alla pietà umilia, che il vero amore è cieco, che la bontà autentica è inerme, che la libertà reale è libertà da tutto e da tutti.

— E non è vero.

— No. È una parte della verità. Sveta, noi non possiamo scegliere una verità assoluta. La verità ha sempre due volti. Tutto quello che abbiamo è il diritto di rifiutare la menzogna che ci ripugna di più. Sai che è la prima volta che parlo a un novellino del Crepuscolo? Noi vi entriamo per ricevere nuova forza. E il prezzo da pagare per l'ingresso è il rifiuto di quella parte della verità che non vogliamo accettare. Per gli uomini è più semplice. Un milione di volte più semplice, pur con tutti i loro guai, problemi, pensieri, che per gli Altri non esistono. Gli uomini non si trovano davanti a questa scelta: possono essere sia buoni che cattivi, dipende dal momento, dall'ambiente, dal libro che hanno letto la sera prima, da quello che hanno mangiato a pranzo. Ecco perché è così facile controllarli. Anche il mascalzone più scatenato può essere facilmente ricondotto verso la Luce, così come l'uomo più buono e nobile può essere sospinto verso le Tenebre. Noi invece abbiamo fatto la nostra scelta.

— Anch'io l'ho fatta, Anton. Sono già entrata nel Crepuscolo.

— Sì.

— Perché allora non capisco dov'è il confine, qual è la differenza tra me e una qualunque strega che partecipa alle messe nere? Perché faccio ancora certe domande?

— Le farai sempre. All'inizio a voce alta. Poi dentro di te. È un tormento che non passa mai. Se avessi voluto liberarti dalle domande scomode, non avresti scelto questa parte.

— Ho scelto ciò che volevo.

— Lo so. E perciò sopporta!

— Per tutta la vita?

— Sì. Sarà lunga, ma non ti abituerai mai lo stesso. Non ti libererai mai dalla domanda di quanto sia giusto ogni passo che fai.