Zavulon si piegò emettendo un suono rauco quando il mio pugno — il pugno di Ol'ga — gli arrivò nella pancia. Con un calcio lo misi in ginocchio e mi precipitai fuori.
— Fermati! — gridò Alisa. Con entusiasmo, con odio e con amore insieme.
"Prendilo, prendilo!"
Mi misi a correre per la Pokrovka, dalla parte del Zemljanoj Val, con la borsetta che mi picchiava sulla schiena. Per fortuna non avevo i tacchi. Sganciarsi, mischiarsi alla folla… il corso di sopravvivenza in città mi era sempre piaciuto, peccato solo che fosse stato breve, brevissimo. Chi avrebbe potuto pensare che un agente della Guardia dovesse fuggire e nascondersi, e non soltanto catturare chi fuggiva e si nascondeva?
Da dietro mi giunse una specie di ululato.
Balzai di lato istintivamente, senza neppure immaginare cosa stava accadendo. Un torrente infuocato, purpureo, snodandosi come un serpente, invase rapidamente la strada, cercò di fermarsi e di ritornare indietro, ma la forza d'inerzia era troppo grande: la carica investì la parete dell'edificio, portando in un istante le pietre all'incandescenza.
Ragazzi, che roba!
Inciampai, caddi, guardai indietro. Zavulon puntò di nuovo il suo bastone da guerra, ma adesso questo si muoveva molto lentamente, come se qualcosa lo impacciasse, rallentandolo.
Stava battendo in ritirata!
Credo che di me non sarebbe restato neppure un mucchietto di cenere, se solo la Frusta di Saab mi avesse raggiunto!
Questo significava che il Capo aveva torto. I Guardiani del Giorno non erano interessati a quello che c'era nella mia testa. Volevano semplicemente eliminarmi.
Gli agenti delle Tenebre stavano arrivando. Zavulon puntava la sua arma, il Capo abbracciava Svetlana che si divincolava. Balzai in piedi e mi lanciai di nuovo a correre, ma già comprendevo che non sarei riuscito a sfuggire. L'unico aspetto positivo era che in strada non c'era nessuno: una paura istintiva, inconsapevole aveva allontanato tutti i passanti appena era iniziata la nostra lotta. Non ci sarebbero state vittime innocenti.
Sentii uno stridio di freni. Mi girai e vidi che gli agenti delle Guardie si facevano da parte per lasciar passare una macchina lanciata a velocità folle. Il guidatore doveva aver deciso di trovarsi in mezzo a un regolamento di conti tra bande rivali e, dopo un attimo di sosta, era ripartito alla massima velocità.
Fermarlo? No, non era nemmeno pensabile.
Mi gettai sul marciapiede e mi sedetti, per nascondermi da Zavulon. dietro una vecchia Volga parcheggiata, in modo da lasciarmi superare da quella macchina che passava per caso. Ma la Toyota color argento di colpo, con lo stesso penetrante stridio di freni surriscaldati, si fermò.
Lo sportello del guidatore si spalancò e qualcuno mi fece segno con la mano.
Sono cose che non succedono! Capita solo nei film d'azione più scontati che l'eroe in fuga sia salvato da una macchina di passaggio!
Mentre finivo di formulare questo pensiero, avevo già aperto la portiera posteriore e mi stavo infilando nell'abitacolo.
— Più in fretta, più in fretta! — gridò la donna accanto alla quale mi stavo sistemando. In realtà il guidatore non aveva bisogno di incitamenti, perché avevamo già ripreso la corsa. Alle nostre spalle crepitò una nuova vampa, e partì un'altra carica della Frusta: l'auto però sterzò bruscamente, e il torrente di fuoco ci passò di fianco senza toccarci. La donna cominciò a strillare.
Chissà sotto quale forma vedevano la nostra lotta. Un fuoco di mitragliatrici? Un attacco missilistico? Un colpo di lanciafiamme?
— Perché, perché sei tornato indietro? — La donna cercò di slanciarsi in avanti, con la chiara intenzione di dare un pugno sulla schiena al guidatore. Io ero già pronto ad afferrarle la mano, ma uno scarto della macchina la rigettò indietro.
— Non deve fare così — le dissi gentilmente, rimediando uno sguardo indignato.
E del resto… Quale donna avrebbe accolto con gioia l'arrivo, nella sua macchina, di una sconosciuta simpatica, ma squinternata, inseguita da una folla di banditi armati a causa della quale suo marito si ritrovava all'improvviso sotto tiro?
Fortunatamente il momento più pericoloso ormai l'avevamo superato. Avevamo raggiunto il Zemljanoj Val e adesso viaggiavamo all'interno di un flusso continuo di macchine. Sia gli amici che i nemici ce li eravamo lasciati alle spalle.
— Grazie — dissi alla nuca rasata del guidatore.
— È ferita? — mi chiese senza voltarsi.
— No. Mille grazie. Perché si è fermato?
— Perché è uno stupido! — strillò la donna. Si era tutta rannicchiata dall'altra parte del sedile per evitare di sfiorarmi, come se fossi un'appestata.
— Perché non sono uno stronzo — rispose l'uomo tranquillamente. — Perché la inseguivano? È vero che non sono fatti miei…
— Volevano violentarmi — sparai a casaccio. Proprio una bella spiegazione. Direttamente al ristorante, in mezzo ai tavoli, neanche fossimo, invece che a Mosca, pur con tutte le sue storie di banditi, in un saloon del Far West.
— Dove la devo lasciare?
— Qui. — Guardai la lettera illuminata che segnalava l'entrata della metropolitana. — Da qui sono comoda.
— Possiamo accompagnarla a casa.
— Non c'è bisogno. Avete fatto anche troppo.
— Va bene.
L'uomo non si mise a discutere o a cercare di convincermi. La macchina frenò, e io scesi. Guardando la donna dissi: — La ringrazio moltissimo.
Lei sbuffò, poi, di scatto, chiuse la portiera.
Ecco fatto.
Casi come quello dimostrano comunque che il nostro lavoro ha un senso.
Istintivamente mi ravviai i capelli, mi lisciai i jeans. I passanti mi guardavano con una certa diffidenza, ma non cambiavano strada, il che mi faceva pensare di avere un aspetto più o meno accettabile.
Quanto tempo avevo? Cinque minuti, dieci, prima che gli inseguitori ritrovassero le mie tracce? O il Capo era riuscito a trattenerli?
Sarebbe stato bello. Perché cominciavo a capire quello che stava succedendo.
E avevo una chance. Magari piccolissima, ma ce l'avevo.
Mentre mi avviavo al metrò, presi il cellulare dalla borsa di Ol'ga. Stavo per digitare il suo numero, poi, imprecando contro la mia stupidità, feci quello di casa mia.
Cinque squilli, sei, sette.
Chiusi la telefonata e feci il numero del mio cellulare. Questa volta Ol'ga rispose subito.
— Pronto? — disse bruscamente una voce sconosciuta, maschile, un po' roca. La mia.
— Sono io, Anton — gridai. Un ragazzo che proprio in quel momento stava passando accanto a me, mi lanciò un'occhiata stupita.
— Testa di cazzo! — Da Ol'ga non mi aspettavo un saluto diverso.
— Dove sei, Anton?
— Sto per infilarmi sotto terra.
— Per quello c'è sempre tempo. Come ti posso aiutare?
— Sei già al corrente degli ultimi avvenimenti?
— Sì. Con Boris siamo in comunicazione parallela.
— Ho bisogno del mio corpo.
— Dove ci incontriamo?
Mi presi un secondo per riflettere.
— Quando ho cercato di disperdere il vortice nero sulla testa di Svetlana, poi sono sceso a una stazione.
— Ho capito. Boris me l'ha spiegato. Facciamo così: alla terza stazione della linea circolare, in alto sulla sinistra. — Evidentemente aveva davanti lo schema.
— D'accordo.
— Al centro della sala. Sarò lì tra venti minuti.
— Va bene.
— Ti devo portare qualcosa?
— Porta me. Per il resto vedi tu.
Chiusi il telefono, mi guardai attorno ed entrai velocemente nella stazione.
Capitolo 4
Ero in attesa, al centro del salone della stazione Novoslobodskaja. Una scena piuttosto usuale, a quell'ora ancora non troppo tarda: una ragazza che aspetta forse un ragazzo, forse un'amica.