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Nel mio caso… tutti e due.

Sotto terra trovarmi era più difficile che in superficie. Perfino i migliori tra i maghi delle Tenebre non sarebbero riusciti a individuare la mia aura, attraverso strati di terreno, attraverso le antiche tombe su cui è costruita Mosca, in mezzo alla folla. Naturalmente anche rastrellare le stazioni non era difficile: bastava mandare in ognuna un Altro con la mia immagine, ed era fatta.

Ma speravo di avere ancora mezz'ora o un'ora prima di questa mossa della Guardia del Giorno.

Com'era tutto semplice, alla fine. Con che eleganza si ricomponeva il puzzle. Scossi la testa, sorrisi e subito colsi su di me io sguardo interrogativo di un giovane punk. "No, amico, ti stai sbagliando. Questo corpo così sexy sta sorridendo solo ai suoi pensieri.1'

In effetti si poteva immaginarlo subito, appena le fila dell'intrigo avevano cominciato a convergere verso di me. Il Capo aveva ragione, naturalmente. Io non rappresentavo un obiettivo così importante da meritarmi un piano tanto lungo, complicato e devastante. Si trattava di una faccenda diversa, completamente diversa.

Cercano di prenderci sfruttando le nostre debolezze. Sfruttando la bontà e l'amore.

E ce la fanno, o comunque ci vanno molto vicino.

All'improvviso mi venne voglia di fumare, una voglia intensissima, tanto che la bocca mi si riempì di saliva. Strano, non ero abituato al tabacco, doveva essere una reazione dell'organismo di Ol'ga. Me la immaginai come doveva essere cento anni fa: una dama di grande eleganza con una sigaretta sottile infilata nel bocchino che fa la sua comparsa in qualche salotto letterario in compagnia di due poeti come Blok e Gumilëv. E che discetta sorridendo di massoneria, di populismo, della ricerca della perfezione spirituale.

Be', forse era meglio passare ai fatti!

— Non avrebbe per caso una sigaretta? — chiesi a un giovanotto che mi veniva incontro, vestito abbastanza bene da non fumare le Zolotaja Java.

Lo sguardo era stupito, ma mi porse un pacchetto di Parlamenta.

Presi la sigaretta, lo ringraziai con un sorriso e mi coprii con un leggero incantesimo. Lo sguardo della gente scivolava via senza vedermi.

Che meraviglia.

Concentrandomi, alzai la temperatura dell'estremità della sigaretta finché non raggiunse i duecento gradi e aspirai. Aspetteremo. Infrangeremo qualche piccola implacabile regoletta.

La gente continuava a passarmi accanto, evitandomi senza vedermi. Annusavano sconcertati, non capendo da dove arrivasse quell'odore di tabacco. Io continuavo a fumare, scuotendo la cenere in terra, osservando il poliziotto cinque passi più in là. e cercando di calcolare le mie possibilità.

Mi resi conto che non erano poi così poche, anzi. E questo mi turbava.

Se erano tre anni che lavoravano a quel piano, dovevano per forza anche avere previsto la possibilità della mia intuizione. E avere perciò pronta una contromossa. Ma quale?

Quello sguardo stupito non lo colsi subito. Ma quando realizzai di chi era, ebbi un sussulto.

Egor.

Un ragazzino, un Altro di piccola forza, che sei mesi prima era finito in mezzo alla grande lotta che si era scatenata tra le Guardie. Scoperto da entrambe le parti. Una carta che non era ancora stata distribuita a nessuno dei giocatori. Del resto, non era una carta da suscitare appetiti particolari.

I suoi poteri erano sufficienti a superare il mio leggero occultamento. L'incontro in sé, comunque, non mi stupì. Nel mondo esistono molti casi fortuiti, senza contare che esiste anche la predestinazione.

— Ciao, Egor — dissi, senza pensarci. E ampliai l'incantesimo, attirando anche lui nel cerchio di non visibilità.

Il ragazzino sussultò e si guardò attorno. Fissò gli occhi su di me. Naturalmente non aveva mai visto Ol'ga nel suo aspetto umano, ma solo in forma di civetta bianca.

— Chi è lei. e come fa a conoscermi?

Sì, era maturato. Non esternamente, interiormente. Non capivo come fosse riuscito a non determinarsi fino in fondo, a non schierarsi né dalla parte della Luce, né dalla parte delle Tenebre. Perché era già entrato nel Crepuscolo, e per di più in condizioni tali da poter diventare chiunque avesse desiderato. Ma la sua aura era come prima: pulita, neutrale.

Un destino speciale. Che bellezza avere un destino speciale.

— Sono Anton Gorodeckij, agente della Guardia della Notte — dissi semplicemente. — Ti ricordi di me?

Certo che si ricordava di me.

— Ma…

— Non farci caso. È un mascheramento, possiamo scambiarci i corpi.

Pensai se fosse il caso di ricordarmi le prime lezioni del corso di illusione e di riassumere temporaneamente il mio solito aspetto. Ma non ce ne fu bisogno: Egor mi credette. Forse si era ricordato le trasformazioni del Capo.

— Che cosa vuole da me?

— Niente. Sto aspettando una collega, la proprietaria di questo corpo. Il nostro incontro è assolutamente casuale.

— Odio le vostre Guardie! — gridò Egor.

— Come preferisci. Io davvero non ti stavo cercando. Se vuoi, vai via.

Credermi a questo proposito gli riusciva molto più difficile che credere allo scambio di corpi. Il ragazzino si guardò intorno con aria sospettosa, aggrottando la fronte.

Di sicuro non gli era facile andarsene. Aveva percepito il mistero, aveva sentito le forze che stanno oltre il mondo degli umani. E aveva rifiutato queste forze, sia pure temporaneamente.

Ma potevo immaginare che volesse imparare almeno qualche piccola cosa, che so, qualche trucchetto con la pirocinesi e la telecinesi, l'ipnosi, la guarigione, la maledizione. Non so esattamente da cosa, ma probabilmente era attratto da questi giochetti. Non solo dal conoscerli, ma dal saperli usare.

— Davvero non mi stava cercando? — mi chiese alla fine.

— Non ti stavo cercando. Non ne abbiamo il diritto, per davvero.

— E come faccio a esserne sicuro? Magari anche questa è una bugia — borbottò, distogliendo lo sguardo. Era logico.

— Non puoi — convenni. — Se vuoi, credimi.

— Io vorrei — disse lui, sempre fissando il pavimento. — Ma mi ricordo quello che è successo sul tetto. Di notte me lo sogno.

— Non devi più avere paura di quella vampira — gli dissi. — È defunta. Per decreto del Tribunale.

— Lo so.

— Come hai fatto a saperlo? — gli chiesi stupito.

— Mi ha chiamato il vostro comandante. Quello che cambia anche lui corpo.

— Non lo sapevo.

— Una volta mi ha chiamato, quando a casa non c'era nessuno. Mi ha detto che avevano condannato la vampira. Ha detto anche che, in quanto potenziale Altro, anche se ancora non determinato, sono stato cancellato dall'elenco degli umani. E che non sarei mai più stato sorteggiato, e non dovevo più avere nessuna paura.

— Sì, certo — confermai.

— Gli ho chiesto se i miei genitori erano ancora nell'elenco.

E qui rimasi decisamente senza parole. Capivo quale doveva essere stata la risposta del Capo.

— Va bene, vado. — Egor fece un passo indietro. — La sua sigaretta è finita.

Gettai il mozzicone e gli chiesi: — Da dove vieni? È già tardi.

— Dagli allenamenti, faccio nuoto. No, mi dica, è davvero lei?

— Ti ricordi il gioco con la tazza rotta?

Egor sorrise debolmente. I trucchi più facili sono sempre quelli che impressionano di più il pubblico.

— Sì. Ma… — Tacque, guardando dietro di me. Mi voltai.

E strano vedersi dall'esterno. Un ragazzo con la mia faccia, che camminava con la mia andatura e aveva addosso i miei jeans e la mia maglia, con il walkman e in mano una piccola borsa. Anche il sorriso, appena accennato, era il mio. Perfino gli occhi, un finto specchio, erano i miei.

— Ciao, Anton — disse Ol'ga. — Buonasera. Egor.

La presenza del ragazzino evidentemente non l'aveva stupita. In generale sembrava molto tranquilla.