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— Buonasera. — Egor guardava un po' lei e un po' me. — Anton adesso è nel suo corpo?

— Esattamente.

— Lei è simpatica. Ma come fa a conoscermi?

— Ti ho visto mentre mi trovavo in un corpo meno simpatico. Ma adesso scusaci, Anton ha dei grossi problemi, e dobbiamo risolverli.

— Devo andarmene? — Egor sembrava aver dimenticato che solo qualche istante prima stava appunto per farlo.

— Sì. E non ti arrabbiare, qui adesso farà caldo, molto caldo.

Il ragazzino guardò me.

— I Guardiani del Giorno mi danno la caccia — gli spiegai. — Tutti gli agenti delle Tenebre di Mosca.

— Perché?

— È una storia lunga. Perciò adesso vai diritto a casa.

Quelle parole suonarono brusche ed Egor, un po' corrucciato, annuì. Detti un'occhiata alla piattaforma: proprio in quel momento arrivava un treno.

— Ma c'è qualcuno che vi difende, vero? — Faceva comunque un po' di fatica a capire a quale corpo rivolgersi per parlare con me. — La vostra Guardia?

— Ci prova — rispose dolcemente Ol'ga. — Adesso vai, per favore. Abbiamo poco tempo, e diventa sempre meno.

— Arrivederci. — Egor si girò e corse verso il treno. Al terzo passo uscì dal confine della zona di occultamento e per poco non lo gettarono a terra.

— Se il ragazzino fosse rimasto, sono sicura che sarebbe venuto dalla nostra parte — disse Ol'ga, seguendolo con lo sguardo. — Bisognerebbe vedere le probabilità per capire perché vi siete incrociati nel metrò.

— Un caso.

— Il caso non esiste. Ah, Anton, un tempo leggevo le linee della realtà con la massima facilità, come un libro aperto.

— Una buona previsione non mi dispiacerebbe.

— Una vera previsione non si può fare su commissione. Va bene, mettiamoci al lavoro. Vuoi riprendere il tuo corpo?

— Sì, proprio qui.

— Come vuoi. — Ol'ga tese le braccia — le mie braccia — e mi prese per le spalle. Era una sensazione assurda, duplice. Anche lei, evidentemente, sentiva qualcosa di analogo, perché ridacchiò: — Come mai poi ti sei fatto incastrare tanto in fretta, Anton? Avevo dei progetti così originali per la serata!

— Non vorrei dover ringraziare il Selvaggio per averli mandati a monte…

Ol'ga si concentrò, smise di sorridere. — Va bene. Lavoriamo.

Ci mettemmo schiena contro schiena e aprimmo le braccia a croce. Strinsi le dita di Ol'ga, le mie dita.

— Restituiscimi ciò che è mio — disse Ol'ga.

— Restituiscimi ciò che è mio — ripetei io.

— Geser, ti restituiamo il tuo dono.

Sussultai rendendomi conto che aveva pronunciato il vero nome del Capo. E che nome!

— Geser, ti restituiamo il tuo dono! — ripeté Ol'ga bruscamente.

— Geser, ti restituiamo il tuo dono!

Ol'ga passò a una lingua molto antica, le cui parole erano dolci e armoniose, e da come le pronunciava pensai che dovesse essere la sua lingua madre. Ma percepii con dolore quanta fatica le costasse quella magia, tutt'altro che difficile, al livello di un mago di secondo grado.

Lo scambio di corpi è come lo scatto di una molla. Le nostre coscienze restavano in un corpo altrui solo grazie all'energia esercitata da Boris Ignat'evič Geser. Bastava rifiutare la forza con cui lui ci investiva e saremmo ritornati nel nostro vecchio corpo. Se uno di noi fosse stato un mago di primo livello non ci sarebbe stato neppure bisogno del contatto fisico, tutto sarebbe potuto avvenire anche a distanza.

La voce di Ol'ga si alzò: era arrivata alla formula conclusiva del rifiuto.

Per un attimo non successe nulla. Poi fui colto da convulsioni, tutto cominciò a fluttuarmi davanti agli occhi e a diventare grigio, come se stessi sprofondando nella penombra. Per un istante vidi tutta la stazione, da cima a fondo, le polverose vetrate colorate, il pavimento sporco, la gente che avanzava lenta, l'arcobaleno delle aure e due corpi che sussultavano, come inchiodati l'uno all'altro.

Poi mi sentii spingere, schiacciare, comprimere in un involucro corporeo.

— A-a-ah — mormorai, cadendo a terra e riuscendo solo all'ultimo momento a ripararmi con le mani. Avevo i muscoli irrigiditi, le orecchie mi fischiavano. Il viaggio di ritorno risultò molto meno confortevole dell'andata, forse perché non era stato il Capo a guidarlo.

— Tutto a posto? — mi chiese Ol'ga con voce debole. — Ohi, che carogna che sei, però!

— Come? — La guardai.

Ol'ga, con una smorfia, si stava alzando: — Potevi, pardon, fare una capatina alla toilette?

— Solo con il permesso di Zavulon.

— Va bene, non parliamone più. Anton, abbiamo ancora un quarto d'ora. Raccontami.

— Che cosa?

— Quello che hai capito. Forza. Non volevi semplicemente tornare nel tuo corpo. Hai elaborato un piano, no?

Annuii, mi raddrizzai, mi sfregai le palme impolverate. Poi le battei sulle ginocchia per sistemare un po' i jeans. Sotto l'ascella la cinghia della fondina mi stringeva troppo, dovevo allargarla un po'. Di gente nella metropolitana non ce n'era più molta, il grosso del fiume di viaggiatori era già defluito. Quelli che si erano attardati, però, ormai liberi dalla preoccupazione di farsi largo tra la folla, adesso avevano il tempo di pensare: si accendevano gli arcobaleni delle aure, e mi giungevano echi di emozioni altrui.

Quanto erano stati limitati i poteri di Ol'ga! Nel suo corpo avevo dovuto sforzarmi al massimo per vedere il mondo segreto dei sentimenti degli umani. E nello stesso tempo era così semplice, davvero semplicissimo. Non ci si poteva nemmeno inorgoglire per averlo capito.

— Io non interesso alla Guardia del Giorno, Ol'ga. Per niente. Sono un normale mago di medio livello.

Lei annuì.

— Eppure la caccia era diretta contro di me. Su questo non ci sono dubbi. Dunque non sono la preda, ma l'esca. Come Egor è stato l'esca quando la preda era Sveta.

— L'hai capito soltanto adesso? — Ol'ga scosse la testa. — Certo. Tu sei l'esca.

— Per Svetlana?

Lei annuì.

— L'ho capito soltanto oggi — ammisi. — Un'ora fa, quando Sveta si è opposta ai Guardiani del Giorno, ha raggiunto il quinto livello di forza. Di colpo. Se ci fosse stato uno scontro l'avrebbero uccisa. Perché anche noi siamo facili da controllare, Ol'ga. Gli umani si possono spingere in direzioni diverse, verso il Bene o verso il Male, le Forze delle Tenebre si possono prendere puntando proprio sulle loro meschinità, sul loro egoismo, sulla loro avidità di potere e di gloria. E noi possiamo essere incastrati sfruttando l'amore. Su questo punto siamo vulnerabili come bambini.

— Sì.

— Il Capo lo sa? — chiesi. — Ol'ga?

— Sì.

Emetteva le parole a fatica, come se avesse un nodo alla gola. Non ci potevo credere! Non provano vergogna i maghi della Luce che hanno vissuto interi millenni! Hanno salvato il mondo tante di quelle volte che conoscono a memoria tutte le giustificazioni etiche. Non provano vergogna le Grandi Maghe, anche quelle ormai ex. Sono state tradite anche loro troppe volte.

Scoppiai in una risata. — Ol'ga, ma voi l'avevate capito subito? Appena è arrivata la protesta dalle Tenebre? Che davano la caccia a me, ma che lo scopo reale era costringere Svetlana a perdere il controllo?

— Sì.

— Sì, sì, sì! E avete deciso di non avvertire né lei né me?

— Svetlana deve maturare. Magari saltando anche qualche gradino. — Negli occhi di Ol'ga si accese una luce speciale. — Anton, tu sei mio amico. E ti parlerò con la massima onestà. Cerca di capirmi, non abbiamo il tempo adesso di allevare una Grande Maga. Ma ci serve, ci serve più di quanto tu possa immaginare. E lei ha abbastanza forza. Si temprerà, imparerà a raccogliere e ad applicare la sua forza, e soprattutto imparerà a controllarla.

— E la mia eliminazione non farebbe altro che accrescere la forza del suo odio per le Tenebre, giusto?

— Sì. Ma tu non sarai eliminato, ne sono sicura. I Guardiani cercano il Selvaggio, sono tutti all'erta. Lo presenteremo alle Forze delle Tenebre e la tua incriminazione cadrà automaticamente.