— Però sarà eliminato un mago della Luce non iniziato al momento giusto, infelice, solitario, braccato, convinto di combattere da solo contro le Tenebre.
— Sì.
— Oggi sei sempre d'accordo con me. — Parlavo senza nessuna rabbia. — Ol'ga, e se quello che fate fosse una vigliaccata?
— No. — Nella sua voce non c'era ombra di dubbio. La posta in gioco doveva essere davvero alta.
— Quanto tempo devo resistere, Luminosa?
Ol'ga sussultò.
Un tempo molto, molto lontano, quello era l'appellativo che si usava nella Guardia. Luminoso, Luminosa… perché queste parole avevano perso il loro significato, e adesso suonavano insensate come l'espressione "gentlemen" rivolta a un gruppo di straccioni in coda davanti a un chiosco di birra?
— Almeno fino al mattino.
— La notte non è più un tempo nostro. Oggi tutte le Forze delle Tenebre batteranno le strade di Mosca. E a pieno diritto.
— Finché non troviamo il Selvaggio. Resisti.
— Ol'ga… — Feci un passo verso di lei e le sfiorai la guancia con le dita, dimenticandomi per un attimo della nostra differenza d'età — che cos'è un millennio di fronte a questa notte infinita? — e della nostra differenza di forze e di conoscenza. — Ol'ga. tu ci credi che arriverò fino al mattino?
La maga non rispose.
Annuii. Non c'era più niente da dire.
Schiacciai un pulsante e passai ad ascoltare il walkman in modalità casuale. Non perché la canzone non si accordasse con il mio stato d'animo, anzi.
Mi piace la metropolitana di notte. Non so nemmeno io perché. Nulla da guardare, se non vecchie pubblicità e le aure stanche, tutte uguali, degli umani. Il rumore del motore, correnti d'aria dai finestrini lasciati aperti, sussulti del vagone sugli scambi. Ottusa attesa della propria stazione.
Eppure mi piace.
E così facile prenderci sfruttando i nostri amori!
Sussultai, mi alzai, mi avvicinai alle porte. Anche se prima avevo pensato di andare fino alle fine della linea.
— Rizskaja, prossima stazione: Alekseevskaja.
Mentre ero già sulla scala mobile, sentii alle mie spalle un leggero soffio di forza. Percorsi con lo sguardo la scala che veniva nella direzione opposta e quasi subito vidi un mago delle Tenebre.
No, non era un agente regolare della Guardia del Giorno, non ne aveva i vezzi. Era un mago piccolo, di quartoquinto livello, più probabilmente quinto: doveva concentrarsi al massimo per analizzare i passanti. Ancora molto giovane, poco più di vent'anni. con lunghi capelli chiari, un giubbino stazzonato aperto, una faccia simpatica, anche se un po' tesa.
"Come mai hai finito per scegliere le Tenebre? Che cosa è accaduto prima che entrassi per la prima volta nel Crepuscolo? Avevi litigato con la tua amica? O con i tuoi genitori? Ti avevano cacciato da un esame, o avevi preso un brutto voto a scuola? Ti avevano pestato un piede sull'autobus? Ma la cosa più tremenda è che esternamente non sei cambiato. Forse sei addirittura migliorato. I tuoi amici hanno notato con un certo stupore come si stia sempre bene e allegri in tua compagnia, e come vadano bene le imprese che avviano insieme a te. La tua ragazza ha scoperto in te tutta una serie di doti che non aveva mai sospettato. I tuoi genitori non si stancano di rallegrarsi perché sei diventato più serio e più intelligente. Gli insegnanti sono entusiasti del talento che stai dimostrando. E nessuno sa che compensi riscuoti da chi ti circonda. Che ripercussioni hanno la tua bontà, i tuoi scherzi, la tua disponibilità."
Chiusi gli occhi e mi appoggiai al corrimano. Ero stanco, leggermente ubriaco, non guardavo nulla, ascoltavo la mia musica.
Lo sguardo del mago delle Tenebre scivolò su di me, passò oltre, poi ebbe come un fremito e si fermò.
Un contatto freddo, penetrante, come una folata di vento. Il ragazzo mi stava confrontando con l'immagine campione distribuita, probabilmente, a tutte le Forze delle Tenebre di Mosca. Si comportava in modo molto goffo, dimenticando di difendersi e senza notare che la mia coscienza si insinuava per un sentiero che, attraversando il Crepuscolo, arrivava ai suoi pensieri.
Gioia. Entusiasmo. Esultanza. L'ho trovato. La preda. Mi daranno una parte della forza della preda. Mi apprezzeranno. Mi daranno un grado più alto. Gloria. Regolare i conti. Non mi hanno apprezzato. Capiranno. Pagheranno.
Continuavo ad aspettare che almeno in un angolino della sua coscienza si risvegliassero anche altri pensieri. Il fatto che ero un nemico, che combattevo le Tenebre. Che avevo ucciso i suoi compagni.
No. Niente. Pensava soltanto a se stesso.
Prima che il giovane mago mettesse goffamente in azione i suoi tentacoli, utilizzai i miei. Ecco.
Non aveva grandi poteri, e non sarebbe riuscito a collegarsi con la Guardia del Giorno dalla metropolitana. E non ci avrebbe nemmeno provato. Per lui ero una bestia braccata, e nemmeno una bestia pericolosa: un coniglio, e non un lupo.
Coraggio, amico.
Uscii dal metrò. Scivolai di lato rispetto alla porta e cercai la mia ombra. Una sagoma incerta oscillava sul terreno e io vi entrai.
Crepuscolo.
I passanti si tramutarono in una nebbiolina spettrale, le macchine cominciarono a muoversi lente come tartarughe, la luce dei lampioni si oscurò e divenne soffocante, pesante. Silenzio. I rumori si erano trasformati in brusio sordo, appena percettibile.
Io però cercavo di muovermi in fretta, finché il mago non mi avesse raggiunto in superficie… Ma sentivo una forza che mi riempiva fino all'ultima fibra. Probabilmente era opera di Ol'ga. Sotto il mio aspetto aveva riacquistato gli antichi poteri e aveva riempito il mio corpo di energia che poi non aveva utilizzato. Era un pensiero che non doveva esserle nemmeno balenato nella mente, nonostante tutte le sue arti.
«Lo capirai da sola dov'è il confine» avevo detto a Svetlana. Ol'ga quel confine lo conosceva da millenni, e molto meglio di me.
Avanzai lungo il muro, poi provai a controllare attraverso il cemento l'interno della stazione, e il nastro della scala mobile. La macchia nera saliva. E abbastanza velocemente: il mago aveva fretta, correva su per i gradini, ma non si era ancora deciso a uscire dal mondo degli uomini. Risparmiava le forze. Su, su. muoviti.
Poi mi bloccai.
Scivolando un poco al di sopra del terreno veniva verso di me una piccola nuvola turbinante, un grumo di nebbia, che andava assumendo le fattezze di un essere umano.
Un Altro. Un ex Altro.
Forse era dei nostri. O forse no. Anche le Forze delle Tenebre, dopo la morte, raggiungono come noi un altro luogo. Adesso comunque era solo una piccola nuvola nebbiosa e sfumata, eterna pellegrina del Crepuscolo.
— Pace a te, caduto — dissi. — Chiunque tu sia stato.
La sagoma vacillante mi si fermò proprio davanti. Ne uscì una lingua di nebbia che si protese verso di me.
Che cosa voleva? I casi in cui gli abitanti del Crepuscolo avevano cercato di entrare in comunicazione con i vivi erano assai rari!
La mano — se si poteva considerare una mano — tremava. I filamenti di nebbia biancastra si spezzavano, dissolvendosi nell'oscurità o perdendosi nel terreno.
— Ho pochissimo tempo — dissi. — Caduto, chiunque tu sia stato nella vita, Tenebre o Luce, pace a te. Che cosa vuoi da me?
Poi fu come se una folata di vento dissipasse quella massa di nebbia bianca. Lo spettro si voltò, la mano tesa — ora non avevo più dubbi: si trattava davvero di una mano — indicò, attraverso l'oscurità, un punto a nord-ovest. Guardai in quella direzione: indicava una sagoma sottile e appuntita che baluginava contro il cielo.