— Sì, ho capito, la torre! Ma che cosa significa?
La nebbia cominciò a dissolversi. Ancora un istante e l'oscurità attorno a me ritornò assolutamente vuota.
Mi sentii attraversare da un tremito. Il morto aveva cercato di comunicarmi qualcosa. Era un amico o un nemico? Mi voleva dare un consiglio o voleva mettermi in guardia?
Non era più possibile capirlo.
Guardai attraverso le pareti della stazione, poi attraverso la terra. Il mio nemico era quasi arrivato in cima, ma era ancora sulla scala mobile. Dunque, proviamo a capire che cosa voleva lo spettro… Non prendevo in considerazione la possibilità di raggiungere la torre, avevo in mente un altro percorso, rischioso, ma del tutto imprevedibile. Perciò non aveva senso che volesse distogliermi dalla torre di Ostankino.
Un'indicazione? Ma da parte di chi? Amico o nemico? Ecco la questione fondamentale. Non è il caso di sperare che oltre il confine della vita le differenze siano cancellate, i nostri morti non ci lasciano nella battaglia.
Dovevo decidere io. E l'avrei fatto, ma non proprio in quel momento.
Corsi verso l'uscita della metropolitana, afferrando nel frattempo la pistola che tenevo nella fondina sotto l'ascella.
Appena in tempo: il mago delle Tenebre apparve alle porte e subito scivolò nel Crepuscolo. Subito mi accorsi che cosa gli aveva dato quella possibilità. Tempeste nelle aure dei passanti, scintille oscure che volavano in tutte le direzioni.
Se mi fossi trovato nel mondo degli umani, avrei visto come si deformavano le loro facce: per un'improvvisa fitta al cuore, o per un infarto, che è molto peggio.
Il mago delle Tenebre si guardò intorno, cercando la mia traccia. Era capace di assorbire l'energia altrui, ma dal punto di vista della tecnica era decisamente scarso.
— Zitto — dissi, premendogli la pistola contro la colonna vertebrale. — Zitto. Mi hai già trovato. Bisogna vedere se ti fa poi così piacere…
Gli stringevo il polso, per impedirgli di muovere le mani. Tutti questi giovani maghi sfacciatelli, infatti, usano un assortimento standard di incantesimi, di solito i più semplici e potenti, che però richiedono il lavoro coordinato di tutte e due le mani.
Il suo palmo era bagnato.
— Andiamo — dissi. — Dobbiamo parlare un po'.
— Tu, tu… — Non riusciva assolutamente a credere a quello che stava accadendo. — Tu sei Anton! Sei un fuorilegge!
— Ammettiamolo anche. Ma adesso pensi che ti servirà?
Voltò la testa dalla mia parte: nel Crepuscolo il suo viso si era alterato, e aveva perso quella patina di bonaria simpatia. No, non aveva ancora assunto il suo definito volto crepuscolare, a differenza di Zavulon. E tuttavia non era già più umano. Aveva la mascella troppo tirata, la bocca larga come quella di una rana, gli occhi piccoli e torbidi.
— Sei proprio un mostro, amico. — Gli spinsi un'altra volta la pistola contro la schiena. — Questa è una pistola. È caricata con pallottole d'argento, anche se non sempre è necessario. Nel Crepuscolo funziona bene come nel mondo umano; forse è un po' più lenta, ma non meno micidiale. Anzi, sentirai meglio come la pallottola lacera la pelle, scivola tra le fibre dei muscoli, frantuma le ossa, strappa i nervi.
— Non farai una cosa simile!
— Perché?
— Da questo non potresti ripulirti mai più!
— Davvero? Vuoi dire che ho ancora qualche possibilità? Sai, ho sempre più voglia di premere il grilletto. Andiamo, vigliacco.
Aiutandolo a muoversi con qualche spintone, lo condussi in uno stretto passaggio tra due bancarelle. Il muschio azzurrastro cresciuto in abbondanza sulle loro pareti cominciò a vibrare. Nella Zona Oscura la flora desidera ardentemente provare le nostre emozioni: la mia rabbia, la sua paura. E nello stesso tempo, anche se priva di cervello. è comunque sufficientemente dotata di istinto di conservazione.
Qualità che non mancava neppure al mago delle Tenebre, anzi.
— Senti, ma che cosa vuoi da me? — cominciò a gridare. — Ci hanno dato le tue caratteristiche e ci hanno ordinato di trovarti! Non ho fatto altro che eseguire un ordine! Io rispetto il Patto, agente della Guardia!
— Non sono più un agente della Guardia. — Con uno strattone lo trascinai contro una parete, nel morbido abbraccio del muschio. Che si liberasse pure di un po' di paura, così sarebbe stato più facile parlare. — Chi guida la caccia?
— La Guardia del Giorno.
— E concretamente, chi?
— Il loro capo, non so come si chiama.
Probabilmente era la verità. Del resto, io lo sapevo come si chiamava.
— Ti hanno indirizzato proprio verso questa stazione della metropolitana?
Il mago delle Tenebre esitò.
— Parla. — Gli affondai la pistola nella pancia.
— Sì.
— Da solo?
— Sì.
— Menti. Del resto non ha importanza. Che cosa ti hanno ordinato di fare, dopo che mi avessi trovato?
— Tenerti d'occhio.
— Menti. E questa volta ha importanza. Pensaci e poi dammi la risposta giusta.
Il mago taceva: evidentemente il muschio aveva agito anche troppo.
Tirai il grilletto, e la pallottola superò la breve distanza che ci divideva fischiando allegramente. Il mago ebbe perfino il tempo di vederla: gli occhi gli si dilatarono, ritrovando una forma più umana, e lui scattò di lato, ma ormai troppo tardi.
— Per ora sei solo ferito — dissi. — E neanche mortalmente.
Era caduto a terra e si contorceva premendosi la ferita sul ventre. Nell'oscurità il suo sangue sembrava quasi trasparente. Poteva essere un'illusione, o forse anche una caratteristica particolare di quel mago.
— Rispondi alla domanda!
Agitando una mano, incendiai il muschio attorno a noi. Basta, adesso giocheremo sulla paura, sul dolore, sulla disperazione. Basta pietà, basta comprensione, basta discorsi.
Solo le Tenebre.
— Mi hanno ordinato di comunicarlo e se possibile di eliminarti.
— Non di trattenermi? Proprio di eliminarmi?
— Sì.
— Risposta accettata. Mezzo di comunicazione?
— Il telefono, solo il telefono.
— Dammelo.
— In tasca.
— Lanciamelo.
Con una mano raggiunse goffamente la tasca. La ferita non era mortale, e la sua riserva di resistenza ancora alta, ma il dolore era atroce.
Come giustamente si meritava.
— Il numero? — chiesi, afferrando il telefonino.
— È il tasto delle chiamate urgenti. Guardai il display.
Già dalle prime cifre capii che quel numero poteva essere ovunque: era quello di un altro cellulare.
— È il quartier generale? Dove si trova?
— Non… — Si interruppe e fissò la pistola.
— Ricordatelo — lo incoraggiai.
— Mi hanno detto che sarebbero arrivati nel giro di cinque minuti.
Benissimo!
Guardai dietro di me il grande ago infuocato che si stagliava contro il cielo. Corrispondeva perfettamente, proprio perfettamente.
Il mago si mosse.
No, non era stata una provocazione quel momento di assenza. Ma quando prese dalla tasca una bacchetta — rozza, corta, chiaramente non costruita da lui, ma comprata a poco prezzo — provai un senso di sollievo.
— Allora? — gli chiesi, vedendolo bloccato, ancora non deciso ad alzare la sua arma. — Forza!
Il ragazzo taceva, immobile.
Se avesse provato ad attaccarmi, gli avrei scaricato addosso tutto il caricatore. Sarebbe stato inevitabile. Ma probabilmente gli avevano insegnato come comportarsi in caso di conflitto con le Forze della Luce. E aveva capito che mi sarebbe stato difficile uccidere un nemico disarmato e indifeso.
— Resisti — lo incitai. — Lotta! Figlio d'un cane, non hai avuto paura di distruggere la vita degli altri, quando attaccavi chi non si poteva difendere! Allora? Forza!
Il mago si umettò le labbra: aveva la lingua lunga, leggermente biforcuta. Improvvisamente capii quale sarebbe stato prima o poi il suo aspetto nel Crepuscolo e fui invaso da un senso di ripugnanza.