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Alla fine il cinquanta per cento di possibilità era una percentuale molto favorevole rispetto a quella che avevo di non farmi trovare dai Guardiani del Giorno per le strade della città.

L'ascensore si fermò. Non riuscii neppure a fermare il flusso dei miei pensieri: in tutto la salita non era durata più di venti secondi. Ci fossero stati ascensori così nei nostri palazzoni!

— Eccoci arrivati — annunciò la donna in tono quasi allegro. Un po' come se fossi stato l'ultimo visitatore della torre di Ostankino, per quella sera.

Uscii sulla piattaforma panoramica.

Di solito lì c'era un sacco di gente. Ed era facile distinguere subito chi era appena arrivato da chi invece c'era già da un po': per l'incertezza dei movimenti, la comica cautela nell'avvicinarsi alla finestra circolare, e per quel gironzolare attorno agli oblò di vetro blindato, saggiando timorosamente con la punta del piede la loro effettiva robustezza.

A occhio e croce i visitatori dovevano essere una ventina. Non c'erano bambini, mentre io chissà perché mi ero già chiaramente immaginato le loro scene isteriche appena saliti sulla torre, e il nervosismo e il disorientamento dei genitori. I bambini infatti sono più sensibili alla presenza delle Tenebre.

Anche gli adulti che erano sulla piattaforma, comunque, avevano l'aria distratta e oppressa. Non li rallegrava neppure lo spettacolo della città spalancata sotto di loro, colorata di luci, brillante, festosa come sempre. Adesso nessuno sembrava apprezzarlo. Il respiro delle Tenebre riempiva l'aria, invisibile ma presente, soffocante come un gas velenoso anche se insapore, inodore e incolore.

Guardai ai miei piedi, trovai la mia ombra e vi entrai. Uno degli addetti alla sorveglianza era a due passi da me, su uno degli oblò di vetro che costellavano il pavimento. Mi fissava con aria amichevole, ma anche un po' stupita. Nel Crepuscolo si muoveva con una certa difficoltà, e capii che il quartier generale non aveva selezionato per la sorveglianza i suoi elementi migliori. Quel ragazzo robusto, giovane, con un severo vestito grigio e una cravatta discreta sulla camicia bianca, aveva più l'aria di un impiegato di banca che di un agente delle Tenebre.

— Ciao, Anton — mi salutò gentilmente.

Per un istante il sangue mi si gelò nelle vene.

Possibile che fossi così stupido? Così mostruosamente, intollerabilmente ingenuo?

E che mi avessero aspettato, e allettato, gettando sul piatto della bilancia l'ennesima pedina, e coinvolgendo addirittura — chissà come — anche lo spettro che mi era venuto incontro all'uscita della metropolitana?

— Come mai sei qui?

Il sangue d'un tratto riprese a scorrere. C'era una spiegazione più semplice, molto più semplice.

Il mago delle Tenebre che avevo eliminato era un mio omonimo.

— Ho notato qualcosa. Devo consultarmi.

Il sorvegliante si accigliò. Forse non gli avevo parlato nel modo giusto. Però non aveva ancora capito.

— Anton, identificati. Altrimenti non ti lascio passare, lo sai anche tu.

— Devi lasciarmi passare, invece — abbaiai, sperando di azzeccarla. Nella nostra Guardia chiunque sia a conoscenza della dislocazione del quartier generale può accedervi direttamente.

— E perché mai? — Sorrideva, ma la sua mano destra aveva già cominciato ad abbassarsi.

La bacchetta magica che aveva alla cintura era carica al massimo. Una bacchetta di osso, ricavata con un lavoro molto attento da una tibia, con un piccolo cristallo scintillante in cima. Anche se l'avessi evitata e mi fossi nascosto, una simile manifestazione della forza avrebbe messo in allarme tutti gli Altri nelle vicinanze.

Sollevai la mia ombra dal pavimento ed entrai nel secondo strato del Crepuscolo.

Freddo.

Mulinelli di nebbia, o più probabilmente nuvole. Nuvole umide, pesanti, in volo sopra la terra. La torre di Ostankino lì non c'era più, era scomparsa anche l'ultima parvenza del mondo umano. Feci un passo avanti, sulla bambagia di nuvola, sulle gocce turgide, lungo un sentiero invisibile. Il tempo rallentò la sua corsa: in effetti stavo cadendo, ma così lentamente che per il momento non me ne preoccupai. In alto nel cielo, visibili come macchie incerte attraverso la cortina di nubi, splendevano tre lune, una bianca, una gialla e una purpureo-sanguigna. Davanti a loro nacque, si gonfiò e si armò di cariche appuntite un fulmine, che poi scivolò attraverso le nuvole, disegnando un fiammeggiante canale ramificato.

Mi avvicinai all'ombra dai contorni vaghi che con esasperante lentezza stava portando la mano alla cintura per prendere la bacchetta. Afferrai la mano: era pesante, inerte, fredda come ghiaccio. Non sarei riuscito a trattenerla. Dovevo tornare indietro, nel primo strato del Crepuscolo, e accettare lo scontro. Con scarse probabilità di vittoria.

"Luce e Tenebre, io non sono un operativo! Non ho mai cercato di lasciare la mia postazione di retroguardia! Lasciatemi al lavoro che amo e che so fare!"

Ma sia la Luce che le Tenebre rimasero in silenzio, come fanno sempre quando provi a chiamarle. E solo quella vocina un po' ironica che risuona talvolta in fondo all'anima sussurrò: "Nessuno ti ha mai promesso un lavoro pulito."

Mi guardai i piedi. Ero già una decina di centimetri più in basso del mago delle Tenebre. Cadevo, privo ormai di qualsiasi appiglio in questa realtà, dove non esisteva più la torre della televisione, e neppure nulla che le somigliasse, perché non c'erano né rocce così sottili né alberi così alti.

Come avrei voluto avere le mani pulite, il cuore ardente e la mente fredda. Ma chissà perché questi tre fattori non possono mai trovarsi tutti insieme. Mai. Come il lupo, la capra e il cavolo… dov'è il traghettatore folle disposto a trasportarli sulla stessa barca?

E dov'è il lupo che, dopo essersi mangiato la capra, non vorrà assaggiare il barcaiolo?

— Dio lo sa — dissi. La mia voce si perse tra le nuvole. Abbassai una mano, afferrando l'ombra del mago delle Tenebre: uno straccio floscio, steso nello spazio. Trascinai l'ombra in alto, mi gettai sul corpo e lo spinsi nel secondo livello del Crepuscolo.

Il mago gridò, quando il mondo che lo circondava perse qualsiasi contorno di certezza. Probabilmente non gli era mai capitato di immergersi oltre il primo strato. L'energia per quell'escursione la stavo spendendo io, ma anche lui provava quelle sensazioni per la prima volta.

Appoggiandomi sulle sue spalle, lo spinsi ancora più giù. Io invece cominciai a risalire, puntando i piedi sulla sua schiena.

I grandi maghi si alzano sempre sulle spalle altrui. — Bastar… do! Anton, bastardo!

Il mago delle Tenebre non aveva ancora capito chi ero. E non lo capì fino a quando non si girò, dalla posizione supina in cui era finito servendomi da appoggio, e vide la mia faccia. Qui, nel secondo strato del Crepuscolo, il mio sommario mascheramento non funzionava più. I suoi occhi si dilatarono, e lui fece prima un breve verso rauco, e poi lanciò un grido, aggrappandosi al mio piede.

Però non aveva ancora capito che cosa stessi facendo e perché lo facessi.

Lo colpii diverse volte di seguito, picchiandolo con i tacchi sulle mani e sulla faccia. Non sono colpi molto gravi per un Altro, ma non intendevo fargli fisicamente del male. "Più giù, più giù, cadi, muoviti, attraverso tutti gli strati della realtà, attraverso il mondo degli umani e il Crepuscolo, attraverso il mobile tessuto degli spazi. Non avevo il tempo e nemmeno i poteri per sfidarti in un vero e proprio duello, nel rispetto di tutte le leggi delle Guardie, secondo le regole pensate per i giovani maghi della Luce, con la loro fede nel Bene e nel Male, nell'infallibilità dei dogmi, nell'inesorabilità della ricompensa."

E quando mi parve di avere spinto il mago delle Tenebre abbastanza giù, mi sollevai con un'ultima spinta dal suo corpo, con un balzo superai lo strato di freddo umido e di nebbia, e abbandonai il Crepuscolo.

Subito nel mondo degli umani. Subito sulla piattaforma panoramica.