Allora il pugnale di legno l'aveva in qualche modo chiamato. E si era trasformato in un'arma vera, spietata, infallibile, invincibile.
Ma Pet'ka non c'era più. Li aveva divisi la giovinezza: un anno di differenza, che è molto per due bambini, diviene addirittura un abisso tra due adolescenti. Poi li aveva divisi la vita. Si sorridevano quando si incontravano, si davano la mano, qualche volta avevano anche bevuto insieme molto piacevolmente, ricordando la loro infanzia. Poi Maksim si era sposato, si era trasferito, e i loro rapporti si erano praticamente interrotti. E quell'inverno, del tutto casualmente, gli era arrivata la notizia. Gliel'aveva data la madre, a cui telefonava regolarmente, da figlio modello. «Ti ricordi Pet'ka? Eravate così amici da bambini, proprio amici per la pelle.»
Se lo ricordava. E aveva già capito a che cosa preludeva quell'introduzione.
Era morto in un incidente, cadendo dal tetto di un grattacielo. Ma come mai era salito fin lì nel cuore della notte? Forse voleva uccidersi, o forse era ubriaco, anche se poi i medici avevano stabilito che era sobrio. O forse l'avevano ucciso. Allora lavorava per un'organizzazione commerciale, aveva un buono stipendio, aiutava i suoi genitori e andava in giro con una bella macchina.
«Era strafatto» aveva commentato allora Maksim in tono duro. Così duro che sua madre non volle mettersi a contraddirlo. «Era strafatto, era sempre stato un tipo un po' strano.»
E il cuore non aveva avuto un sussulto, o una stretta dolorosa. Solo che quella sera, senza sapere bene perché, si era ubriacato. E poi era andato a uccidere la maga delle Tenebre che con la sua forza magica costringeva gli uomini a lasciare le donne che amavano, aveva ucciso quella strega non più giovane, ruffiana e separatrice, che braccava inutilmente già da due settimane.
Pet'ka non c'era più. Da molti anni non c'era più il ragazzino che era stato il suo unico amico, e da tre mesi non c'era più nemmeno Pet'ka Nesterov, il professionista che incontrava una volta l'anno, o anche più raramente. Il pugnale di legno, invece, era ancora lì, nelle sue mani.
Probabilmente non era stata inutile quella loro goffa amicizia infantile.
Maksim giocherellava con il pugnale sul palmo della mano. Ma perché, perché era così solo? Perché non aveva un amico a fianco che potesse togliergli dalle spalle almeno una parte di quel peso? C'erano così tante Tenebre, tutto intorno, e così poca Luce.
Chissà perché gli tornarono in mente le ultime parole che gli aveva gridato Elena mentre già se ne andava: «Faresti meglio ad amarci, invece di proteggerci!»
"Ma non è la stessa cosa?" le replicò mentalmente.
Ma no, probabilmente non era la stessa cosa. Solo, che cosa poteva fare un uomo per cui l'amore era guerra, e che combatteva contro, e non a favore?
Contro le Tenebre, e non per la Luce.
— Sono il Custode — disse Maksim. A se stesso, sussurrando, come vergognandosi di dichiararlo a voce alta. Sono i pazzi che parlano con se stessi. Lui però non era pazzo, era normale, più che normale. Lui vedeva l'antico Male che strisciando entrava nel mondo.
Ma davvero vi stava entrando o vi si era già insediato da lungo tempo?
Era una follia. Non poteva, non doveva farsi assalire dal dubbio. Se avesse smarrito anche soltanto una parte della sua fede, se si fosse permesso di ammorbidirsi o di mettersi alla ricerca di inesistenti compagni, sarebbe stata la fine. Il pugnale di legno non si sarebbe più tramutato nella sciabola portatrice della Luce che dissipa le Tenebre. E un mago qualsiasi l'avrebbe incenerito con il suo fuoco magico, una strega l'avrebbe annientato con un incantesimo, o forse sarebbe stato un mutantropo a farlo a pezzi.
Custode e Giudice!
Non doveva vacillare.
Il brandello di Tenebre che prima si aggirava al nono piano all'improvviso cominciò a scendere. Il cuore gli si fermò nel petto: il mago delle Tenebre andava incontro al proprio destino. Maksim scese dalla macchina e si guardò intorno rapidamente. Nessuno. Come sempre qualcosa dentro di lui aveva disperso i potenziali testimoni e gli aveva sgombrato il campo di battaglia.
Il campo di battaglia… o il palco dell'esecuzione?
Custode e Giudice?
O boia?
Ma che differenza c'era? Lui era al servizio della Luce!
Una forza che ben conosceva gli riempiva le membra, galvanizzandolo. Tenendo la mano sul risvolto della giacca, Maksim si avviò verso l'ingresso, incontro al mago delle Tenebre che scendeva in ascensore.
In fretta, doveva fare tutto molto in fretta. Non era ancora notte fatta. Potevano vederlo. E nessuno avrebbe mai potuto credere alla sua versione. Nel migliore dei casi sarebbe finito in manicomio.
Chiamarlo. Presentarsi. Estrarre il pugnale.
La "misericordia". La misericordia. Lui era Custode e Giudice. Il cavaliere della Luce. Non un boia!
E quel cortile era un campo di battaglia, non una forca!
Si fermò davanti al portone. Si sentì rumore di passi. La serratura scattò.
E in quell'istante Maksim ebbe voglia di urlare di offesa e di orrore, di gridare maledizione al cielo, al destino e al suo strano dono.
Il mago delle Tenebre era un bambino.
Un ragazzino magro con i capelli scuri. Apparentemente uguale a tanti altri ragazzini della sua età… ma Maksim vedeva chiaramente l'aura di Tenebre che gli splendeva intorno.
Ma perché? Non gli era mai successo niente di simile. Aveva ucciso uomini e donne, giovani e vecchi, ma non gli erano ancora mai capitati bambini che avessero dato la loro anima alle Tenebre. Maksim non aveva mai pensato a quella possibilità, l'orse non volendo neppure prenderla in considerazione, forse rifiutandosi di decidere in anticipo che cosa avrebbe fatto. Forse sarebbe addirittura rimasto a casa, sapendo che la sua vittima aveva soltanto dodici anni.
I! ragazzino si era fermato sulla soglia del portone e fissava Maksim disorientato. Per un attimo l'uomo ebbe la sensazione che il ragazzino stesse per girarsi e correre via, veloce, sbattendo la pesante porta blindata. Corri, allora, corri!
Il ragazzino invece fece un passo avanti, accompagnando la porta perché non sbattesse. Guardò Maksim negli occhi, aggrottando un po' la fronte, ma senza paura. Incredibile. Non l'aveva scambialo per un passante qualsiasi, aveva capito che era lì per lui. Eppure gli era andato incontro. Non aveva paura? Era così sicuro della sua forza?
— Lei è una Forza della Luce, lo vedo — disse il ragazzino. A voce bassa, ma sicura.
— Sì. — Maksim riuscì a pronunciare quella parola a fatica, come se non gli volesse uscire dalla gola, senza guardarlo in faccia. Poi, maledicendo la propria debolezza, tese il braccio e prese il ragazzino per una spalla: — Sono Colui che giudica.
Il ragazzino non si spaventò nemmeno adesso.
— Ho visto Anton, oggi.
Quale Anton? Maksim rimase in silenzio, anche se dai suoi occhi trapelava lo sconcerto.
— E per lui che è venuto da me?
— No. È per te.
— Perché?
Il ragazzino aveva una leggera aria di sfida, come se avesse avuto un tempo una lunga discussione con Maksim, come se Maksim fosse in qualche modo in colpa nei suoi confronti e dovesse adesso ammetterla.
— Sono Colui che giudica — ripeté Maksim. Aveva voglia di voltarsi e scappare. Le cose non erano andate come dovevano, forse c'era stato un errore! Il mago delle Tenebre non poteva essere un bambino, un coetaneo di sua figlia! Il mago delle Tenebre doveva difendersi, cadere, scappare, non rimanere lì con l'espressione offesa, come se ne avesse tutti i diritti.
Come se questo potesse in qualche modo salvarlo.
— Come ti chiami? — gli chiese Maksim.
— Egor.
— Mi dispiace moltissimo che le cose siano andate in questo modo. — Maksim parlava in modo assolutamente sincero. E non provava nessun sadico piacere nel rimandare il momento dell'omicidio. — Al diavolo! Ho una figlia della tua età!