Per un qualche motivo, questa notizia sembrò offenderlo ancora di più.
— Ma se non lo faccio io, chi lo farà?
— Di che cosa parla? — Il ragazzino cercò di liberarsi dalla sua stretta sulla spalla, il che lo aiutò un po' a decidersi.
Bambino… bambina… grande… piccolo… Che differenza c'era? Luce e Tenebre, quella era l'unica differenza!
— Devo salvarti — disse Maksim. Con la mano libera prese il pugnale. — Devo salvarti e lo farò.
Capitolo 7
Per prima cosa riconobbi la macchina.
Poi il Selvaggio che ne stava uscendo.
E mi prese un'ondata di angoscia, pesante, disperata. Era l'uomo che mi aveva salvato quando, dentro il corpo di Ol'ga, ero fuggito dal Maharaja.
Avrei dovuto intuirlo? Forse, se avessi avuto più esperienza, più tempo, più sangue freddo. Perché c'era la donna, in macchina con lui: mi sarebbe bastato osservare la sua aura: Svetlana l'aveva descritta con molta precisione. Avrei potuto riconoscere la donna e di conseguenza anche il Selvaggio. Avrei potuto concludere tutto già in macchina.
Ma… in che modo?
Mi tuffai nel Crepuscolo, quando il Selvaggio guardò dalla mia parte. La cosa funzionò, lui continuò a camminare verso il portone in cui una volta ero stato seduto vicino alla condotta dei rifiuti e avevo avuto una tetra conversazione con una civetta bianca.
Il Selvaggio andava a uccidere Egor. Tutto come avevo pensato. Tutto come aveva calcolato Zavulon. La trappola era lì davanti a me. la molla a lungo inattiva stava per scattare. Ancora un passo e i Guardiani del Giorno avrebbero potuto rallegrarsi di un'altra operazione felicemente condotta a termine.
Ma dov'era Zavulon?
Il Crepuscolo mi dava tempo. Il Selvaggio continuava ad avanzare verso la casa, camminando senza fretta, e io mi guardavo intorno, cercando qualche segnale delle Tenebre. Almeno una traccia, un sospiro, un'ombra…
La tensione della magia, tutto intorno, era terribile. Qui si incontravano i fili della realtà che avrebbero tessuto il nostro futuro. Un incrocio di cento strade, il punto in cui il mondo doveva decidere dove andare. Non a causa mia, o del Selvaggio, o del ragazzino. Noi eravamo solo comparse. Uno doveva pronunciare la battuta: "Il pranzo è servito", un altro fare finta di cadere, il terzo salire sul patibolo pieno d'orgoglio, a testa alta. Per la seconda volta quel punto di Mosca era l'arena di una battaglia invisibile. Ma io non vedevo Altri, né delle Forze della Luce, né delle Forze delle Tenebre. Solo il Selvaggio, che però nemmeno in quel momento era percepibile come Altro. Soltanto sul suo petto si scorgeva lo scintillio: un coagulo di forza. In un primo momento avevo creduto che si trattasse del suo cuore. Poi avevo capito che era l'arma, l'arma con cui uccideva le Forze delle Tenebre.
"Allora, Zavulon?" Mi invase un senso di offesa, un assurdo senso di offesa. "Sono arrivato! Sto per cadere nella tua trappola, guarda, un piede è già dentro, adesso avverrà tutto… ma tu dove sei? O ti sei nascosto così abilmente che non sono in grado di scoprirti, o tu qui non ci sei affatto!"
Avevo perso.
Avevo perso già prima della fine de! gioco, perché non ero riuscito a capire le intenzioni del mio nemico. Qui avrebbe dovuto esserci l'imboscata, e le Forze delle Tenebre avrebbero dovuto eliminare il Selvaggio non appena lui avesse ucciso Egor.
Ma come l'avrebbe ucciso?
Io ero già lì. Gli avrei spiegato tutto, gli avrei raccontato delle Guardie che si sorvegliano a vicenda, del Patto che ci obbliga a mantenere la situazione di neutralità, degli umani e degli Altri, del mondo e del Crepuscolo. Gli avrei raccontato tutto, come l'avevo raccontato a Svetlana, e lui avrebbe capito.
Davvero avrebbe capito?
Se davvero non poteva vedere la Luce…
Il mondo per lui era un grigio gregge di pecore senza intelligenza. Le Forze delle Tenebre erano lupi che correvano attorno al gregge per sbranare gli agnelli più grassi. E lui era il cane da guardia. Incapace di vedere i pastori, accecato dal terrore e dalla rabbia, impegnato a correre da un punto all'altro, solo contro tutti.
Non mi avrebbe creduto, non si sarebbe permesso di credermi.
Corsi avanti, per raggiungerlo. La porta dell'ingresso era già aperta, e il Selvaggio stava parlando con Egor. Perché era uscito così tardi, di notte, quello stupido ragazzino, pur sapendo già benissimo quali erano le forze che governano il mondo? Possibile che il Selvaggio fosse in grado di attirare le sue vittime?
Parlare era inutile. Un attacco delle Tenebre. Immobilizzarlo. E solo dopo spiegare!
Il Crepuscolo si frantumò in migliaia di teste ferite, quando superai di corsa la barriera invisibile. A tre passi dal Selvaggio, che già si preparava ad affondare il colpo, andai a sbattere contro una parete trasparente, mi ci appiattii sopra e poi scivolai lentamente a terra, scuotendo la testa terribilmente confusa.
Male. Molto male. Lui non capiva l'essenza della forza. Era un mago autodidatta, uno psicopatico del Bene. Però quando doveva lavorare, si proteggeva con una barriera magica. Non l'aveva fatto apposta, però non per questo mi procurava meno dolore.
Il Selvaggio disse qualcosa a Egor. Ed estrasse la mano dal risvolto della giacca.
Un pugnale di legno.
Avevo già sentito parlare di quella magia, contemporaneamente ingenua e potente, ma adesso non avevo il tempo di pensarci.
Scivolai fuori dalla mia ombra, entrai nel mondo umano e balzai sulla schiena del Selvaggio.
Qualcuno lo aveva fatto cadere, mentre alzava il pugnale. Il mondo attorno a lui stava già cominciando a tingersi di grigio, i movimenti del ragazzino erano già più lenti, vide le sue palpebre abbassarsi piano per l'ultima volta prima che i suoi occhi si dilatassero per la sorpresa e il dolore. La notte si era trasformata in un podio oscuro, dove era lui ad amministrare la giustizia e a pronunciare la condanna che nulla poteva fermare.
Lo avevano fermato. Lo avevano fatto cadere, lo avevano buttato giù, sull'asfalto. All'ultimo momento Maksim era riuscito ad appoggiare un braccio, a girarsi e a rimanere in piedi.
Sulla scena era comparso un terzo personaggio. Come aveva fatto a non vederlo? Come aveva fatto l'aggressore ad arrivare fino a lui che, quando era impegnato in quel compito così importante, era sempre protetto da eventuali spettatori o interventi inopportuni dalla forza più luminosa che ci fosse al mondo, la Forza della Luce che lo guidava nella battaglia?
L'uomo era giovane, appena più giovane di lui. In jeans, maglione, e una borsa a tracolla. Che adesso aveva buttato a terra senza riguardi con un movimento della spalla. E aveva una pistola in mano!
Come si era concluso tutto male.
— Fermati — disse l'uomo, come se Maksim volesse scappare. — Ascoltami.
Un passante qualunque, che l'aveva scambiato per un maniaco? E la pistola, e l'abilità con cui sì era avvicinato di soppiatto? Un poliziotto in borghese? Ma quello gli avrebbe sparato oppure gli sarebbe rimasto sopra, senza permettergli di rimettersi in piedi.
Maksim fissò lo sconosciuto, agghiacciato da quel terribile dubbio. Se fosse stato un agente delle Tenebre, lui non sarebbe mai riuscito a cavarsela con due di loro contemporaneamente!
Le Tenebre però non c'erano. Non c'erano e basta, non c'erano proprio!
— Chi sei? — gli chiese Maksim, quasi dimenticandosi del ragazzino-mago. Che intanto si stava lentamente avvicinando all'inaspettato salvatore.
— Un agente della Guardia. Anton Gorodeckij, della Guardia della Notte. Ascoltami.
Con la mano libera Anton afferrò il ragazzino e lo tirò dietro la sua schiena. L'intenzione era più che chiara.
— La Guardia della Notte? — Maksim cercava ancora di cogliere nello sconosciuto un segno delle Tenebre. Non la vedeva, e questo lo spaventava ancora di più. — Vieni dalle Tenebre?
Non capiva più nulla. Cercava di sondarmi: avvertivo i suoi sforzi furibondi, implacabili e tuttavia inutili. Non sapevo neppure se fosse il caso di occultarmi. In quell'umano, o in quell'Altro — nel suo caso erano giuste entrambe queste categorie — si percepiva una forza primordiale, una tensione folle, fanatica. Decisi di non occultarmi.