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Non mi sarei meravigliato, adesso, se avessi visto al suo fianco Zavulon. Che emergeva dalle Tenebre e gli batteva bonariamente la mano sulla spalla. O che mi sorrideva sarcastico.

Ma immediatamente capii che lì Zavulon non c'era. Non c'era e non c'era mai stato.

La trappola, una volta preparata, non ha bisogno di nessun intervento. Fa il suo lavoro da sola. Io c'ero caduto, e sicuramente in quel momento tutti gli agenti della Guardia del Giorno avevano un alibi perfetto.

O permettevo a Maksim di uccidere il ragazzo, che sarebbe diventato un mago delle Tenebre, e mi trasformavo in un suo complice con tutte le conseguenze del caso, oppure decidevo di lottare ed eliminavo il Selvaggio: le nostre forze erano comunque imparagonabili. Liquidavo con le mie stesse mani l'unico testimone oppure uccidevo un mago della Luce.

Perché Maksim non si sarebbe arreso. Era la sua guerra, il suo piccolo Golgota, su cui si trascinava già da qualche anno. Avrebbe vinto, o si sarebbe fatto ammazzare.

Perché mai Zavulon si sarebbe dovuto inserire nel nostro conflitto?

Aveva predisposto tutto nel migliore dei modi. Aveva ripulito le fila delle Tenebre da un po' di zavorra, mi aveva incastrato, aveva aumentato la tensione, sparandomi quasi addosso. Mi aveva costretto a lanciarmi contro il Selvaggio. E adesso se ne stava alla larga. Magari non era neppure a Mosca. Ed era probabile che osservasse tutto da lontano: aveva i mezzi sia tecnici sia magici per farlo. Mi osservava e rideva.

Ero incastrato.

Qualunque via avessi scelto, mi aspettava il Crepuscolo.

Il Male non sempre ha bisogno di annientare il Bene con le sue mani. Talvolta trova molto più semplice lasciare che il Bene si distrugga da solo.

E l'unica possibilità che ancora mi restava era incredibilmente minuscola e mostruosamente vile.

Perdere.

Permettere al Selvaggio di uccidere il ragazzino… no, non permetterglielo, ma non riuscire a impedirglielo. Dopo averlo ucciso si sarebbe calmato. Dopo averlo ucciso sarebbe venuto con me al quartier generale della Guardia della Notte, e avrebbe ascoltato, discusso, e poi si sarebbe arreso, schiacciato dalle ferree argomentazioni e dalla logica implacabile del Capo, avrebbe capito quello che aveva fatto, e che fragile equilibrio aveva infranto. E si sarebbe consegnato volontariamente al Tribunale, dove aveva una possibilità, sia pure minima, di essere assolto.

E poi, io non ero un agente operativo. Avevo fatto tutto quello che potevo. Ero riuscito perfino a capire il gioco delle Tenebre, la combinazione pensata da qualcuno molto più saggio di me. Semplicemente non avevo avuto abbastanza forze, tempo, riflessi.

Maksim agitò la mano con il pugnale.

Il tempo all'improvviso divenne denso e lento, come se fossimo entrati nel Crepuscolo. Solo che i colori non erano impalliditi, anzi, erano diventati ancora più vividi, e io stesso mi muovevo in quel pigro flusso gelatinoso.

Il pugnale di legno scivolò verso il petto di Egor, e in quel tragitto cambiò aspetto, assunse un bagliore metallico, e poi venne avvolto da una fiamma grigia; il viso di Maksim era concentrato, solo le labbra strette rivelavano tutta la sua tensione, mentre il ragazzino non aveva fatto in tempo a capire, e non aveva nemmeno cercato di allontanarsi.

Spinsi Egor di lato. I muscoli non volevano ubbidirmi, non volevano compiere un gesto così assurdo e autolesionista. Per lui, per il piccolo mago delle Tenebre, il colpo del pugnale avrebbe significato la morte. Per me la vita. Del resto è stato, è, e sarà sempre così.

Ciò che per le Tenebre è vita, per la Luce è morte, e viceversa. Non era certo in mio potere cambiare le cose…

Ci riuscii.

Egor cadde, batté la testa contro la porta d'ingresso e si accasciò lentamente. L'avevo colpito con troppa forza, ma mi interessava salvarlo e non avevo pensato troppo ai danni collaterali. Nello sguardo di Maksim scintillò un'espressione quasi infantile di offesa. Ma lo stesso non rinunciò a discutere. — È un nemico!

— Non ha fatto niente!

— Tu difendi le Tenebre.

Maksim non dubitava più della mia appartenenza alla Luce. Era comunque in grado di riconoscerla.

Solo che lui non aveva mai avuto dubbi su chi dovesse vivere e chi dovesse morire.

Il pugnale si alzò di nuovo, non contro il ragazzino, questa volta, ma contro di me. Mi piegai, trovai con lo sguardo la mia ombra, mi slanciai in quella direzione. E l'ombra mi venne docilmente incontro.

Il mondo si fece grigio, i suoni cessarono, tutti i movimenti rallentarono. Egor, che prima si stava lentamente muovendo, rimase immobile. Le macchine scivolavano incerte sulla strada, avanzando a scatti, i rami degli alberi ignoravano il vento. Solo Maksim non aveva subito quel rallentamento.

E mi inseguiva, senza nemmeno capire come. Era scivolato nel Crepuscolo con la stessa naturalezza con cui un umano passa dalla strada al marciapiede. Adesso per lui non c'erano più differenze: attingeva forza dalla sua convinzione, dal suo odio, un odio chiarissimo, dalla sua furia scatenata. Adesso non era più il boia delle Tenebre. Era il Grande Inquisitore. Molto più terribile di tutta la nostra Inquisizione.

Alzai le braccia, con le dita allargate nel Segno della Forza, semplice e sicuro. Ah, come ridono i giovani Altri, quando vedono per la prima volta questo procedimento, definito "dita a ventaglio". Maksim non si fermò nemmeno, vacillò appena, poi piegò caparbiamente la testa e riprese l'inseguimento. Già cominciando a capire, rinunciai, ripassando freneticamente tutto l'arsenale magico.

L'Agape, il segno dell'amore… ma lui non crede nell'amore.

La tripla chiave, generatrice di fiducia e di comprensione… ma lui non si fida di me.

L'oppio, il fumo violetto, la via del sonno… e sentii che già le palpebre mi si chiudevano.

Ecco come neutralizzava le Forze delle Tenebre. La sua fede furibonda, unita ai celati poteri di Altro, funzionava come uno specchio. Restituiva il colpo ricevuto. Si metteva al livello dell'avversario. E questo, insieme al potere di vedere le Tenebre e a quell'assurdo pugnale magico, gli garantiva in pratica l'invulnerabilità.

No, naturalmente non avrebbe potuto restituire qualsiasi colpo. I colpi non ritornavano proprio immediatamente. Il segno di Tanatos, la morte, o la spada bianca probabilmente avrebbero funzionato.

Solo che, uccidendo lui, uccidevo me stesso. Mi dirigevo verso l'unica strada a cui siamo tutti condannati: il Crepuscolo. Tra i pallidi sogni, tra le illusioni incolori, nell'eterna gelida nebbia. Non avevo la forza di considerarlo un nemico, la condizione che lui mi aveva assegnato con tanta facilità.

Ruotavamo avvinghiati, ogni tanto Maksim tentava un attacco, con scarsi risultati. In effetti non aveva mai combattuto con nessuno, era abituato a uccidere le proprie vittime in modo facile e rapido. E da un luogo lontano lontano udii la risata di scherno di Zavulon. E poi la sua voce morbida, insinuante: "Hai deciso di giocare contro le Tenebre? Gioca. Hai tutto quello che ti serve. Amici e nemici, amore e odio. Scegli la tua arma. Quella che preferisci. Tanto sai già il risultato. Adesso lo sai."

Forse quella voce me l'ero soltanto immaginata. O forse era risuonata davvero.

— Così uccidi anche te stesso! — gridai. La fondina mi picchiava sul petto, come se volesse chiedermi di prendere la pistola e di sparare contro Maksim uno sciame di piccole vespe d'argento. Con la stessa facilità con cui l'avevo fatto quando mi ero trovato ad affrontare il mio omonimo.

Non mi sentì… non era in grado di sentirmi.

"Sveta, tu eri così ansiosa di sapere quali sono i nostri limiti, qual è il confine che non dobbiamo superare, combattendo contro le Tenebre. Perché non sei qui adesso? Vedresti e capiresti subito tutto."

Però nelle vicinanze non c'era proprio nessuno, né delle Forze delle Tenebre, che avrebbero potuto godersi quello spettacolo, né delle Forze della Luce, che avrebbero potuto aiutarmi, intervenire, immobilizzare Maksim. interrompere la nostra danza mortale nel Crepuscolo. Solo il ragazzo, che adesso si stava goffamente rialzando, un futuro mago delle Tenebre, e l'implacabile boia dal volto di pietra, non richiesto paladino della Luce. Causa di futuri mali non meno di una dozzina di mutanti o di vampiri.