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La spiegazione non era molto convincente. Un semplice sortilegio d'intimidazione e nessuno si sarebbe avvicinato. Ma nessuno ebbe il coraggio di dirlo apertamente. Tigrotto fu disarmante: — È la loro indole.

— Rimarranno sospesi per molto? — domandò Julja, stringendosi a lei come prima. — Voglio fare amicizia con loro. Altrimenti mi resterà un trauma psicologico nascosto, che inciderà inevitabilmente sul mio carattere e sulle mie preferenze sessuali.

Semën fece una risatina. Con quella replica, chissà quanto spontanea e quanto invece calcolata, Julja aveva spento il conflitto.

— Verso sera si rianimeranno. Padrona, ci inviti a entrare?

Lasciammo i cani sospesi intorno alla macchina e c'incamminammo verso la villa.

— Salve, Tigrotto! — disse Julja. Ormai ci ignorava completamente, incollata com'era alla ragazza. Pareva che la maga fosse il suo idolo, a cui perdonava ogni cosa, persino i cani troppo vigili.

Sarebbe interessante capire perché sono sempre le doti inaccessibili a diventare il nostro feticcio…

Julja era un'eccellente maga analitica, capace di dipanare i fili delle cose reali, individuare le cause magiche nascoste di fatti apparentemente quotidiani. Era intelligente, al dipartimento la adoravano, e non solo perché era una ragazzina, ma anche come compagna di lotta, come collaboratrice preziosa, a volte insostituibile. Ma il suo idolo era Tigrotto, una maga-mutantropo da combattimento. Avrebbe potuto imitare quella brava vecchietta di Polina Vasil'evna, tuttora impiegata presso la sezione analitica a metà stipendio, o innamorarsi del caposezione, l'imponente, attempato donnaiolo Edik.

Invece no, il suo idolo era diventato Tigrotto.

Cominciai a fischiettare qualcosa, standomene in coda alla processione. Intercettai lo sguardo di Svetlana, scossi leggermente la testa. Tutto a posto. Ci aspettava un giorno intero d'ozio. Niente Forze delle Tenebre e della Luce, niente intrighi, niente opposizioni. Fare il bagno nel lago, prendere il sole, mangiare spiedini innaffiandoli di vino rosso. Di sera, la sauna. In una villa così doveva per forza esserci un'ottima sauna. Infine, prendere un paio di bottiglie di vodka, un vasetto di funghi sotto sale, andare a nascondersi con Semën da qualche parte lontano dalla folla e bere fino all'ottenebramento, guardando le stelle e facendo discorsi filosofici su temi elevati.

Splendido.

Vivere come un umano. Anche solo per un giorno.

Semën si fermò e mi fece un cenno d'assenso. — Prenderemo due bottiglie. O tre. Arriverà anche qualcun altro.

Non c'era da meravigliarsi, né tanto meno da indignarsi. Non aveva letto nei miei pensieri: semplicemente la sua esperienza di vita era di gran lunga maggiore.

— D'accordo — annuii. Di nuovo Svetlana mi lanciò un'occhiata sospettosa, ma restò zitta.

— Per te è più facile — aggiunse Semën. — A me riesce molto di rado di diventare un umano.

— Ma è proprio necessario? — chiese Tigrotto, fermandosi presso l'uscio.

Semën si strinse nelle spalle. — Ovviamente no. Però se ne ha voglia…

Ed entrammo nella villa.

Venti ospiti forse erano un po' troppi persino per quella casa. Fossimo stati uomini, sarebbe stata un'altra faccenda. Ma così facevamo troppo chiasso. Provate a mettere insieme una ventina di bambini, che abbiano studiato sodo per diversi mesi, date loro in mano l'intero assortimento di un negozio di giocattoli, autorizzateli a fare tutto ciò che vogliono, e osservate il risultato.

Forse soltanto io e Sveta ci tenevamo un po' in disparte, rispetto a quei rumorosi divertimenti. Avevamo preso un bicchiere di vino a testa dal buffet e ci eravamo seduti su un divanetto di pelle, in un angolo del salotto.

Semën e Il'ja invece ingaggiarono un duello magico. Molto civile, pacato e all'inizio persino piacevole per i presenti. Evidentemente in macchina Semën aveva ferito l'amico nell'amor proprio: ora a turno i due cambiavano il clima nella stanza. A quel punto avevamo già provato l'inverno in un bosco nei dintorni di Mosca, la nebbia autunnale e l'estate in Spagna. Tigrotto oppose un veto deciso su piogge e acquazzoni, ma i due maghi non avevano certo l'intenzione di evocare la furia degli elementi. Avevano chiaramente imposto determinate limitazioni interne ai cambiamenti del clima e la competizione non si basava tanto sulla rarità dei frammenti sensoriali, quanto piuttosto sulla loro idoneità rispetto al momento.

Garik, Farid e Danila giocavano a carte. Ai giochi più ordinari, con semplicità, così che solo l'aria sopra il tavolo scintillava di magia. Adoperavano ogni possibile sistema magico per barare e per difendersi dai bari. A quel punto ormai non contavano più né le carte in mano, né a chi toccasse un'altra presa.

Ignat se ne stava accanto alla porta aperta, circondato dalle ragazzette della sezione scientifica; al gruppetto si erano aggiunte anche le nostre inette programmatrici. Con ogni evidenza il nostro sessuofilo era riuscito in qualche modo a sopportare la disfatta sul fronte amoroso e adesso si leccava le ferite in quella cerchia ristretta.

— Anton — mi domandò Sveta sottovoce — secondo te tutto questo è autentico?

— Cosa, di preciso?

— Tutta questa allegria. Ti ricordi cos'ha detto Semën?

Alzai le spalle. — Quando avremo cent'anni torneremo su questa domanda. A me fa piacere. Semplicemente piacere. Che non si sia costretti a fuggire da nessuna parte, che non si debba calcolare niente, che i Guardiani abbiano mostrato la lingua per poi ritirarsi nell'ombra.

— Anche a me fa piacere — assentì Svetlana. — Però di giovani o quasi giovani ce ne sono solo quattro, qui. Julja, Tigrotto, tu, io. Cosa sarà di noi tra cent'anni? O trecento?

— Staremo a vedere.

— Anton, cerca di capire. — Sveta sfiorò la mia mano con un tocco leggero. — Sono veramente fiera di essere entrata nella Guardia. Sono felice che mia mamma stia di nuovo bene. Io adesso vivo molto meglio, metterlo in dubbio sarebbe addirittura ridicolo. Posso persino comprendere il motivo per cui il Capo ti ha sottoposto a quella prova…

— Non bisogna, Sveta. — Le presi la mano. — Anch'io l'ho compreso, e da quel momento è stato più difficile. Non bisogna.

— E io non mi ci provo nemmeno. — Sveta inghiottì il vino e posò il bicchiere vuoto. — Anton, c'è una cosa, però: non vedo alcuna gioia.

— Dove? — Certo a volte sono di un'ottusità stupefacente.

— Qui. Nella Guardia della Notte. Nella nostra affiatata compagnia. Ogni giorno per noi è una specie di battaglia. Ora grande, ora piccola. Contro un mutantropo impazzito, contro un mago delle Tenebre, contro tutte le Forze delle Tenebre contemporaneamente. La tensione dello sforzo, il mento in fuori, gli occhi spalancati, essere pronti a gettarsi di petto contro una cannoniera o a culo nudo su un riccio.

Feci una risatina.

— Cosa c'è di male in questo, Sveta? Sì, siamo soldati. Tutti quanti, da Julja a Geser. Certo la guerra non è molto divertente. Ma se ci ritiriamo…

— Cosa succederebbe? — domandò Sveta. Verrebbe l'Apocalisse? Le forze del Bene e del Male sono in lotta da millenni. Si sono tagliate la gola a vicenda, hanno aizzato gli eserciti umani gli uni contro gli altri, e sempre per scopi superiori. Eppure, dimmi, Anton: davvero gli uomini in tutto questo tempo sono diventati migliori?

— Sì.

— Ma dai tempi in cui è cominciato il lavoro delle Guardie? Anton caro, me ne hai parlato fino alla nausea, e non solo tu. Che il conflitto principale si svolge per le anime degli uomini, che noi scongiuriamo gli scontri di massa. Scongiuriamo! Gli uomini continuano a uccidersi l'un l'altro. Ancor più che duecento anni fa.

— Intendi dire che il nostro lavoro è dannoso?

— No — Svela scosse stancamente la testa — non intendo questo. Non ho tanta presunzione. Intendo dire soltanto una cosa: sarà pur vero che noi siamo la Luce. Solo che… Sai, in città hanno cominciato a vendere false decorazioni per l'albero di Natale. Nell'aspetto sono identiche a quelle vere, ma non portano nessuna gioia.