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Prendendo una ciambella imburrata, Deeping disse:

«George e Mandy sono pieni di premure. Secondo me è uno spreco di danaro andare in un posto di lusso, soprattutto con i bambini. Si paga per i saloni e le sale di scrittura e le orchestre, e tante altre cose che poi non si sfruttano. È inutile buttare il danaro dalla finestra.»

«Già.»

«Come la scuola. Per esempio, io avrei potuto permettermi di pagare per tutti e due i ragazzi, ma dovrebbero ottenere delle borse di studio. Con un po’ di lezioni private, dovrebbero farcela… per questo non mi dispiace pagare. E Ruth non sopporterebbe che fossero via a studiare.»

Ruth Deeping era seduta in fondo alla terrazza. I due bambini le stavano accanto, ma Andy le era più vicino: le stava appoggiato contro le gambe. Deeping disse:

«Anche i Grainger hanno due figli, sa. Un maschio e una femmina. Tutti e due in convitto.» E scosse il capo. «No, credo che Ruth non lo sopporterebbe.»

«Ma i suoi figli non dovrebbero essere a scuola?» chiese Douglas.

Deeping sorrise, strizzando l’occhio. «Viaggio d’istruzione. Be’, non lo è, forse? Conosco il loro direttore. Saremmo dovuti partire per le vacanze di Natale, ma avevo in piedi un affare che non potevo rimandare. E potrei dire che è servito a pagarci la vacanza.»

«Ah, complimenti,» disse educatamente Douglas; e Deeping accettò quel tributo con un cenno del capo.

Hamilton scese al villaggio con il minibus per riprendere i tre sciatori, un po’ prima delle sei. Nel frattempo, le nubi si erano raccolte da questa parte della valle, e si era levato un vento gelido e tagliente. Il paesaggio divenne cupo e minaccioso nell’addensarsi del crepuscolo. Ma nello chalet c’era un’atmosfera gaia, con le tende ben chiuse e i ceppi che ardevano nel camino del salotto. Lì c’era Deeping, ma se ne stava zitto, a meditare sulla pagina finanziaria del Daily Telegraph che Hamilton aveva portato dalla prima corsa al villaggio. Jane Winchmore, come Douglas, stava leggendo un libro, mentre Ruth Deeping era salita per fare il bagno ai bambini. Douglas si sentiva piacevolmente stanco e sereno. Con un po’ di fortuna, pensò, quella notte avrebbe dormito bene.

Gli altri, tornando da Nidenhaut, portarono la notizia che aveva incominciato a nevicare. Grainger si accostò al fuoco, stropicciandosi le mani. «Finalmente un po’ di calduccio.» Si raddrizzò e guardò Douglas sorridendo: «Com’è andata, oggi?»

«Alzate e cadute. Bilancio in parità, ma abbondante.»

Grainger sorrise. «Sì, è una brutta fase. Molto lesiva per l’ego. L’alcol è il balsamo più adatto per le ferite spirituali. Mi è parso di sentire George che apriva il bar.» Diede un’occhiata alla moglie. «Tu prendi qualcosa, tesoro?»

Lei scosse il capo lentamente: non per riluttanza, pensò Douglas, ma perché tutti i suoi movimenti erano lenti e aggraziati. Lei disse:

«Salgo a fare il bagno e a cambiarmi.»

«Diana, Jane? Abbiamo giusto il tempo per bere qualcosa, di fretta.»

La più giovane delle due donne stava per lasciarsi convincere, ma la sorella rifiutò a nome di entrambe e la condusse via. Grainger guardò Douglas, scrollando le spalle.

«Be’, restiamo noi.» Non badò a Deeping, ancora immerso nel Listino di Chiusura della Borsa. «Spero di convincere almeno lei.»

Nella saletta accanto, Hamilton era dietro al bar; si era già preparato un abbondante whisky e soda. Mentre versava da bere agli altri, disse:

«Prende il minibus per scendere al villaggio stasera, Selby?»

In quella stanza, le tende non erano state chiuse. Grainger guardò dalla finestra: la neve cadeva fitta e turbinante nel vento. Alzò il bicchiere.

«Salute. No, a meno che il tempo migliori molto in fretta.»

«Sarebbe un colpo di fortuna,» gli disse Hamilton. «Dia un’occhiata al barometro. Si è messo al brutto stabile.»

«In tal caso, giocheremo a dadi.» Grainger sbadigliò. «Posso far benissimo a meno di ballare. Oggi mi sono già mosso abbastanza.»

Prima che fosse pronta la cena, il vento ululava intorno allo chalet, e Hamilton riferì che la neve cominciava ad ammucchiarsi contro la porta principale. Non c’era neppure da pensare di scendere a Nidenhaut: finché durava la tempesta di neve, erano isolati lì. Non era un pensiero sgradevole. Erano al caldo e al riparo, ben forniti di viveri e bevande. Il rumore del vento sembrava sottolineare il loro comfort.

I Deeping proposero di nuovo il bridge, e Mandy Hamilton e Jane accettarono di giocare con loro. Douglas si lasciò convincere da Grainger a giocare ai Dadi Bugiardi, un gioco che non conosceva. Aveva avuto intenzione di smettere presto per andare a letto, ma il suo tentativo di sganciarsi, quando le partite di bridge finirono alle dieci e mezzo, venne fermamente frustrato da Grainger.

«Non può piantare tutto a questo punto, Douglas. Proprio dopo aver vinto l’ultimo piatto.»

Smisero di giocare un po’ prima della una, e solo perché Elizabeth Grainger insistette. In camera sua, Douglas pensò che si era goduto la serata, aveva bevuto molto whisky ma non troppo, ed era pronto a dormire. La stanchezza ritornò, in un’ondata avvolgente. Si tolse i vestiti e li drappeggiò non troppo ordinatamente sulla sedia. Fuori il vento urlava, e di tanto in tanto scuoteva le sue finestre: ma quasi fiaccamente. Non sarebbe bastato a tenerlo sveglio. Infilò il pigiama, si mise a letto, e si addormentò quasi immediatamente.

E non fu il vento che lo svegliò. Si accorse di essere già sveglio da un po’ di tempo, quando notò il costante, profondo ruggito della tempesta. Guardò l’orologio. Le quattro e mezzo. Con una differenza di sei ore, erano le dieci e mezzo. Non era l’ora di andare a letto, per la moglie di un funzionario del ministero del Commercio Estero britannico a New York. Che cosa stava facendo? Ballava? Era a teatro? A cena? E con chi? Con Robert… o con qualche sconosciuto? Un americano. Forse un latino-americano. Una volta aveva detto, scherzando, che i sudamericani l’affascinavano. Ma gli scherzi, come tutto il resto, avevano finito per diventare amari. Forse sorrideva, socchiudendo lievemente gli occhi. Douglas si rigirò inquieto nel letto. Le barriere si erano di nuovo abbassate, e il passato riaffluiva.

II.

Dopo essersi lavata e spazzolati i capelli e puliti i denti, Mandy Hamilton s’inginocchiò accanto al letto e recitò le preghiere. Era l’unica osservanza religiosa che le rimaneva. La chiesa più vicina che avrebbe avuto un significato per lei si trovava a Montreux, e un viaggio fin laggiù, già abbastanza difficile in ogni caso, era fuori questione quando avevano ospiti allo chalet.

Le sue devozioni assunsero la forma abituale. Un Padre Nostro, e poi una preghiera a Dio perché avesse cura di coloro che lei aveva conosciuto nella sua vita ed aveva amato. Prima i figli, il dolore immutato. Una volta aveva cercato di vederli mentalmente come dovevano essere in realtà: ma adesso non ci provava più. Cambiavano tanto a quell’età, e così in fretta. Johnny, che allora aveva cinque anni, adesso ne aveva tredici, le bambine erano diventate giovani donne. Perciò pregava per loro com’erano quando li aveva visti l’ultima volta: Johnny con il vestito blu, la faccia arrossata, i capelli biondi scompigliati, Lois e Annette nei grembiuli gialli dalle tasche rosse, i capelli bruni pettinati con cura nelle treccine, gli occhi perplessi, insicuri. Oh, Dio, pensò, fa’ che siano felici.