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Era inutile continuare a pensare alle brutture della vita, quando non si poteva far niente per rimediare. Selby Grainger bevve il caffè e guardò la neve. Il cielo si era schiarito: poche nubi tondeggianti erano raccolte intorno alle vette, dall’altra parte della valle, ma tutto il resto era di un intenso azzurro. Bellissimo. Era contento di essere venuto lì, nonostante le sue resistenze iniziali. Aveva pensato a Marrakesh o, se proprio doveva essere la Svizzera, qualche posto più vivace. Ma a Elizabeth avevano consigliato gli Hamilton: le era piaciuta l’idea di un’enclave inglese nelle Alpi e, come sempre, lei stava attenta alle spese. Se dovevano andare in Grecia verso la fine dell’estate, non potevano permettersi di scialacquare per le vacanze invernali. Era un argomento difficile da contestare, soprattutto perché sapeva benissimo qual era la vera ragione per cui voleva andare in un posto più allegro, e temeva che anche Elizabeth se ne rendesse conto. Eppure adesso se ne stava lì, pensò sodisfatto, con un tempo meraviglioso, isolato dal mondo, con quella graziosa creatura dai capelli neri seduta accanto a lui. Certo, con Elizabeth dall’altra parte, ma questo non gli dispiaceva. Il fatto che Elizabeth fosse bellissima, mentre la piccola Blackstone era soltanto graziosa, gli dava una particolare sensazione d’orgoglio. E c’era tempo, tutto il tempo che voleva.

La sua posizione nei confronti di Elizabeth era ideale, pensò. Lei sapeva che il marito guardava volentieri una faccia o una figura graziosa e, conscia della propria superiorità, non se ne preoccupava. Sapeva che flirtava con le donne, e la cosa la divertiva. Sapeva anche che nessuna avrebbe mai potuto prendere il suo posto. Tutto questo era vero. Quel che non sapeva, e che Selby Grainger era deciso a non farle sapere mai, era che qualche volta i flirt assumevano una piega più intima. Lui aveva bisogno di quelle piccole avventure, dopo le quali tornava da Elizabeth più innamorato e ammirato che mai: ma non superava mai i limiti della discrezione. Perciò le avventure non avvenivano mai con le amiche di Elizabeth anche se, Dio lo sapeva, le occasioni non mancavano: e stava attento al tipo di ragazza che sceglieva. La sorella di Diana, per esempio, sebbene in realtà la preferisse, l’aveva esclusa quasi subito. Una giovane vedova era promettente: ma quella aveva un’aria troppo seria perché lui fosse disposto a rischiare.

No, era Diana che gli interessava. Era pronto a scommettere che non era vergine; d’altra parte, non era neppure una ragazza facile. Nei confronti della vita aveva un atteggiamento spensierato e, a giudicare dal fatto che non scriveva lettere e non riceveva telefonate, era abbastanza sicuro che per il momento nella sua vita sentimentale non ci fosse niente d’importante. Il suo modo di attirare l’attenzione di tutti i maschi che c’erano in circolazione non era significativo: ma le occhiate furtive che aveva ricevuto da lei, di tanto in tanto, appartenevano ad un’altra categoria.

Bastava soltanto prendere le cose con calma. Aspetta, e ti sarà dato. Lì a Nidenhaut, un piccolo flirt innocente, sotto lo sguardo indulgente di Elizabeth. Si girò a guardare la moglie, con un sorriso d’ammirazione e d’affetto. Era una donna meravigliosa.

«Siamo pronti per affrontare di nuovo le discese?» le disse.

Elizabeth scosse la testa elegante. «Ho il ginocchio un po’ indurito, dopo l’ultima caduta. Vai con Diana. Io me ne starò qui seduta a guardarvi.»

Grainger si alzò, si mise davanti a Diana. «Andiamo, ragazza mia. Entriamo in azione.»

«Anch’io preferirei riposarmi,» disse. Ma si afferrò alle sue mani, e lui la sollevò.

Diana non aveva mai sciato, prima di quella vacanza, ma aveva imparato molto in fretta e non se la cavava male. Doveva avere belle cosce, pensò Selby, un corpo agile e snello. Le toccò il braccio quando uscirono a prendere gli sci, e sentì la lieve pressione di risposta contro le sue dita. Sì, pensò, con un piacevole fremito d’anticipazione, sarà divertente.

Quando rientrarono, Elizabeth non c’era. Probabilmente era salita a prepararsi per il pranzo. George aveva aperto il bar, e Deeping era lì seduto, a bere una birra. Selby prese un Campari per sé e uno per Diana, e li portò sulla terrazza. Non c’era nessun altro. Lei era appoggiata alla balaustrata di legno in una posa che metteva in risalto la sua figura, nonostante l’ingombrante maglione. Selby lasciò che i propri occhi dimostrassero ammirazione, e lei sorrise, socchiudendo leggermente le labbra.

«Grazie, Selby. Stavo cercando Elizabeth.»

«È di sopra, credo: a dorare l’oro fino, a dipingere i gigli.»

«È molto bella, no?»

Ma non ne sembrava preoccupata. Selby disse:

«Molto. C’è abbastanza soda, o devo andare a prendere il sifone?»

«Va benissimo così.» Diana inarcò il corpo, un poco di più. «Mi piace. Solo, è un peccato che non siamo rimasti bloccati alla fine della vacanza, come i Deeping.»

«Può darsi che sia lo stesso anche per noi.»

«Troppa grazia. Niente: ritorno alla squallida Londra e allo squallido lavoro.»

«E che cosa fa? Voglio dire, so che è segretaria, ma dove lavora?»

«Un ufficio di contabilità. Non potrebbe essere più noioso. Neanche un brillante evasore fiscale. Contabilità di società, e società molto solide.»

«Vive con Jane?»

«Santo cielo, no. Non andremmo d’accordo per un pezzo. Lei ha vissuto in campagna fino alla morte di Harry. Da allora, vive passando da un albergo all’altro. Credo che dovrebbe decidersi a farsi una casa sua.»

«E lei ce l’ha… una casa sua?»

«Io,» disse Diana, assumendo un’aria istrionica, «vivo con un’amica a West Chelsea. A Fulham, cioè. Tre piani da fare a piedi, e là ci siamo noi. Due stanze, cucinino, bagno in comune. La mia amica si chiama Sylvia Farley: lavora per una ditta che vende diamanti. Purtroppo non le regalano i campioni. Abbiamo un fornello a gas, una radio a transistor, una TV a noleggio, e oltre al bagno abbiamo in comune un gatto. Tutte le comodità. Il venerdì sera ci laviamo i capelli.»

«Tutte le comodità? Immagino che ci sia anche un telefono.»

Lei lo guardò, mordendosi le labbra. «Sì, infatti. Un piccolo telefono rosa. Dividiamo le spese, ma sull’elenco c’è il mio nome. Blackstone, Diana, Finsborough 1256. Uno più due più tre eguale a sei. Tutti dicono che è un numero facile da ricordare.»

Selby sentì dei passi che arrivavano dal salotto, e riconobbe Elizabeth. Si concesse un lieve sorriso prima di girarsi verso la moglie.

«Sì,» disse. «Sembra anche a me.»

Elizabeth non aveva molta voglia di uscire neppure il pomeriggio, ma Selby la convinse. Con Diana si era spinto fino al punto cui voleva arrivare, date le circostanze attuali, e adesso poteva impegnarsi a placare i vaghi fremiti di sospetto che potevano attraversare la mente di Elizabeth. Disse, allegramente:

«Andiamo! Devi smaltire un po’ di tutti quegli idrati di carbonio.» Mandy, per pranzo, aveva preparato un abbondante spezzatino con pallottole di pasta bollita, seguito da una torta di mele e albicocche. «Altrimenti perdi la forma.»

Accompagnati da Diana, si diressero verso l’angolo occidentale più alto della conca, da dove era possibile lanciarsi in una lunga discesa… anche per più di un chilometro e mezzo, volendo, fino al punto in cui la strada per Nidenhaut era bloccata dalla valanga. In pratica, però, non sarebbero andati molto oltre lo chalet, probabilmente fino al punto dove Jane, insieme a Douglas Poole e ai Deeping, si stava esercitando su uno dei pendii più facili.