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«E’ vero,» confermò Moot Ang. «Due pianeti diversi che si incontrano nello spazio aperto potranno comprendersi meglio di quanto possano farlo due nazioni incivili sullo stesso mondo!»

«E la famosa teoria secondo la quale la guerra era inevitabile anche nell’universo?» chiese Kari Ram. «I nostri antenati, che pure avevano raggiunto un livello di civiltà abbastanza elevato, ne erano convinti.»

«Dov’è finito quel libro che avevi promesso di mostrarci?» disse Tey Eron, rivolto al capitano. «Non parla di due astronavi che tentarono di distruggersi reciprocamente, al primo incontro?»

Il comandante si allontanò, diretto alla sua cabina. Questa volta non accadde alcun incidente, e Moot Ang ritornò, dopo poco, portando la piccola stella a otto punte del microfilm che fu piazzato nella macchina-lettrice.

Gli astronauti si raccolsero per ascoltare il racconto uscito dalla fantasia di un antico autore americano.

Capitolo V

«Primo contatto» — questo era il titolo [Il racconto è First contact, di Murray Leinster, non ancora apparso in Italia, uscito in Astounding Science Fiction nel maggio 1945 e pubblicato successivamente nella Astounding Science Fiction Anthology (n.d.t.)] — era il racconto, in forma drammatica, dell’incontro tra un’astronave proveniente dalla Terra e un’astronave proveniente da un mondo della nebula del Cancro, distante più di un migliaio di parsec dal Sole.

Il comandante dell’astronave terrestre aveva ordinato all’equipaggio di preparare le carte astronomiche, tutti i dati e tutti i calcoli di rotta per distruggere l’astronave sconosciuta e di puntare contro di essa tutti i cannoni anti-meteorite. Poi i terrestri avevano cominciato a dibattere il problema virale: dovevano tentare di entrare in comunicazione con l’altra astronave per una soluzione negoziata, oppure era loro dovere attaccarla e distruggerla senza preavviso? I terrestri temevano che gli uomini venuti da un altro mondo avrebbero potuto ricostruire la loro rotta e, successivamente, avrebbero potuto identificare da Terra e tentare di conquistarla.

Queste ridicole apprensioni non destarono opposizione da parte dell’equipaggio. Era dato per scontato che l’incontro tra due civiltà sorte in due diverse parti dell’universo avrebbe portato necessariamente alla subordinazione di una delle due parti all’altra, alla vittoria della parte che possedeva l’arma più potente. Un incontro nello spazio poteva significare due cose soltanto: rapporti commerciali… o guerra. I terrestri non potevano immaginare altre possibili soluzioni.

Ben presto si scoprì che gli uomini provenienti da un altro mondo erano simili ai terrestri, a parte il fatto che potevano vedere soltanto nell’infrarosso e che comunicavano fra loro per mezzo di radio-onde. Eppure, i terrestri riuscirono a decifrare il linguaggio degli stranieri e ad interpretare il loro pensiero. Si scoprì inoltre che il comandante della nave proveniente da un altro mondo possedeva una concezione sulla evoluzione e sui rapporti sociali non molto più progredita di quella dei terrestri, ed era soprattutto ansioso di uscire dalla situazione in cui si trovava senza mettere a repentaglio la propria vita e senza distruggere l’astronave terrestre.

In altre parole, l’incontro lungamente atteso fra i rappresentanti di due razze umane minacciava di risolversi in una spaventosa tragedia. Le due astronavi erano immobili nello spazio, a settecento mila miglia di distanza, mentre i negoziati continuavano per oltre due settimane per mezzo di un automa. I capitani continuavano a dichiarare di avere intenzioni pacifiche, ma dichiaravano anche di non fidarsi affatto l’uno dell’altro. La situazione sarebbe stata senza uscita, se non fosse intervenuto, con la sua ingegnosità, il protagonista del racconto, un giovane astrofisico. Nascondendo negli abiti bombe di terrificante potenza distruttiva, l’astrofisico ed il comandante salirono a bordo dell’astra astronave, con il pretesto di continuare i negoziati. Una volta a bordo, invece, avevano posto un ultimatum agli stranieri: le navi dovevano essere scambiate, e parte dell’equipaggio terrestre doveva salire sulla nave sconosciuta, parte dell’equipaggio di quest’ultima doveva salire sulla nave terrestre. E, per prima cosa, si dovevano mettere fuori uso tutti i cannoni anti-meteoriti. Le due commissioni avrebbero poi dovuto imparare a manovrare l’astronave altrui, tutte le scorte dovevano venir trasferite da una astronave all’altra.

E, nel frattempo, i due eroi carichi di bombe sarebbero rimasti a bordo dell’astronave straniera, pronti a farla esplodere al minimo sospetto di tradimento. Il capitano venuto dall’altro mondo accettò l’ultimatum, e lo scambio delle astronavi procedette nel migliore dei modi.

Finalmente l’astronave nera che recava a bordo i terrestri e l’astronave terrestre con a bordo gli stranieri si allontanarono in fretta l’urca dall’altra, svanendo nella debole luminosità della nebula.

Quando il racconto finì, la biblioteca risuonò dei commenti più disparati. Durante la lettura qualcuno degli astronauti aveva dato segno di impazienza e di disapprovazione. Erano così impazienti di esprimere il loro pensiero che adesso si trattenevano a malapena dal commettere la peggiore infrazione alle buone maniere… interrompere qualcuno. Si rivolsero al capitano come se lo ritenessero personalmente responsabile dell’antico racconto che aveva fatto conoscere loro, traendolo dal limbo del passato.

La maggior parte degli astronauti fece notare la contraddizione esistente fra il tempo dell’azione e la psicologia dei personaggi. Se l’astronave aveva potuto percorrere quattromila anni luce in tre mesi, il tempo reale del racconto doveva essere ovviamente posteriore al tempo attuale, perché nessuno si era spinto, fino ad allora, così lontano nell’universo. Eppure, il modo di pensare e le azioni dei terrestri non erano affatto diversi da quelli correnti nei tempi del capitalismo, parecchi secoli prima.

Per giunta, c’erano parecchie inesattezze tecniche. Per esempio, le astronavi non potevano essere fermate così rapidamente come sosteneva lo scrittore. Non era possibile che due esseri pensanti comunicassero fra loro per mezzo di radioonde. Se il pianeta sconosciuto avesse avuto una atmosfera densa, in pratica, quanto l’atmosfera terrestre (e così era descritto nel racconto) i suoi abitanti avrebbero dovuto inevitabilmente possedere gli stessi organi di udito dei terrestri. Infatti, questo sistema richiede un dispendio di energie molto minore che non la comunicazione per mezzo di radio-onde o di bio-correnti. E sarebbe stato impossibile, in un tempo così breve, decifrare la lingua degli stranieri con la esattezza necessaria per inserirla, in codice, nella macchina traduttrice.

Tey Eron osservò che la limitata conoscenza dell’universo dimostrata in quel racconto era la cosa più sorprendente. Infatti, parecchi decenni prima che quel racconto venisse scritto, il famoso scienziato Ciolkovski aveva ammonito che l’universo era molto più complesso di quanto si credesse generalmente in quei tempi. Ma, nonostante l’opera di parecchi pensatori, esistevano ancora scienziati i quali erano convinti di aver già raggiunto, in pratica, gli estremi confini della capacità di conoscenza umana.

Con il passare dei secoli, innumerevoli scoperte avevano rivelato l’infinita complessità dell’interdipendenza dei fenomeni e questo era parso rallentare l’accrescimento della conoscenza umana dell’universo. Eppure, la scienza trovava soluzioni ad un enorme numero di problemi, tecnici e non tecnici. Un buon esempio era la creazione dell’astronave a tonneggio, che sembrava sfidare le leggi convenzionali del moto.

In realtà, erano queste soluzioni di problemi apparentemente insolubili dal punto di vista della logica matematica che dimostravano nel modo più spettacolare l’irresistibile potenza del progresso. Ma l’autore di Primo contatto non aveva avuto nemmeno la minima idea dell’immensità della conoscenza implicita nelle semplici formule dei grandi dialettici del suo tempo.