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Anche Afra rise.

«Tutto dipende da quello che c’è all’interno delle tute spaziali. Non è l’involucro, quello che conta.»

«Per lo meno hanno lo stesso numero di braccia e di gambe che abbiamo noi!» osservò Kari.

Una sorta di copertura bianca a forma di fisarmonica apparve attorno alla struttura metallica emersa dall’astronave bianca; la sua estremità si protese verso la Tellur.

La prima delle figure sulla piattaforma — Moot Ang era certo che si trattava del comandante — faceva gesti di invito che non lasciavano dubbi sul loro significato. In risposta al suo gesto, il dotto tubolare che l’equipaggio della Tellur usava per comunicare con le altri astronavi incontrate nello spazio aperto emerse dal suo ricettacolo, nella parte inferiore dello scafo. Ma il dotto della Tellur era rotondo, quello della nave straniera aveva una sezione ellittica.

Per rendere possibile la connessione, i tecnici della nave terrestre costruirono in fretta una congiunzione di legno piuttosto tenero, che diventò solido come l’acciaio, non appena fu esposto al freddo intenso dello spazio aperto poiché, la temperatura bassissima cambiò la sua struttura molecolare.

Nel frattempo, una scatola cubica di metallo rosso che portava sulla parte anteriore uno schermo nero apparve sulla piattaforma dell’astronave bianca. Due componenti dell’equipaggio si curvarono su di essa, poi si raddrizzarono, arretrando. Sullo schermo apparve una figura dai contorni umani. La parte superiore di quella figura si espandeva e si contraeva, mentre sottili frecce bianche affluivano dentro di essa o ne venivano espulse, nel ritmo di espansione e di contrazione.

«Molto ingegnoso!» esclamò Afra. «E’ la respirazione. Adesso dovranno dirci qual’è la composizione della loro atmosfera. Ma in che modo?»

Quasi in risposta alla sua domanda, la figura sullo schermo fu sostituita da una macchia nera in una nube anulare grigiastra… evidentemente il nucleo di un atomo circondato dagli elettroni in orbita. Moot Ang si sentì la gola contratta. Avrebbe voluto gridare il suo sbalordimento, ma non riusciva ad emettere il minimo suono. Perché adesso c’erano quattro figure sullo schermo… due, una sull’altra, proprio nel centro, erano collegate fra loro da una spessa linea bianca, mentre le altre due, all’esterno, puntavano verso le figure centrali le loro frecce nere.

Con il cuore in tumulto, Moot Ang ed i suoi compagni contarono gli elettroni. La figura nello sfondo rappresentava probabilmente l’elemento principale degli oceani del mondo sconosciuto: mostrava un elettrone che ruotava attorno al nucleo… idrogeno. Ma la figura principale simboleggiava evidentemente il componente principale della loro atmosfera: nove elettroni in orbita attorno al nucleo significavano fluoro!

«Fluoro!» gridò delusa Afra.

«Continua a contare!» esclamò Moot Ang. «Ci sono le altre figure… Sei elettroni, e questo significa carbonio. Sette, significa azoto. Non potrebbe essere più chiaro! Passa l’ordine di preparare una tavola come quella, relativa alla nostra atmosfera ed al nostro metabolismo. Sarà identica alla loro, tranne che per la figura centrale, dove ci sarà l’ossigeno con i suoi otto elettroni, invece del fluoro. Che peccato!»

Quando la tavola fu mostrata, gli astronauti che si trovavano sulla piattaforma di osservazione della Tellur videro una delle figure bianche trasalire e portarsi una mano all’elmetto in un gesto che dimostrava chiaramente la sua delusione, non inferiore alla delusione dei terrestri.

Sporgendosi oltre il parapetto della piattaforma, il capitano dell’astronave sconosciuta fece un movimento deciso con il braccio, come per spezzare un legame invisibile. Le spine del suo elmetto scintillarono minacciosamente verso la Tellur, che si trovava parecchi metri al disotto del livello dell’altra nave. Poi la figura alzò il braccio, lo riabbassò, come se cercasse di indicare due piani paralleli.

Moot Ang ripeté il gesto, e l’altro sollevò ancora un braccio come in un gesto di saluto, si voltò e scomparve nel vano buio che si apriva dietro di lui. I suoi compagni lo seguirono.

«Scendiamo anche noi,» disse Moot Ang, abbassando la leva della discesa.

La botola si richiuse sul capo degli astronauti prima che Afra riuscisse a cogliere qualcosa di più di un semplice sguardo della magnifica vista delle stelle, accese di tutto il loro splendore nello spazio nero… una vista che l’aveva sempre affascinata. Le luci si riaccessero nella camera stagna, poi si udì il lieve sibilo delle pompe, la prima indicazione che la pressione dell’aria era ritornata eguale a quella della Terra.

«Dovremo erigere uno schermo divisorio, prima di connettere i due passaggi?» chiese Yas Tin, non appena si fu tolto l’elmetto.

«Sì,» rispose Moot Ang. «E’ quello che stava cercando di farci capire il capitano dell’altra nave. E’ una tragedia che essi non possano sopravvivere senza un’atmosfera di fluoro. L’ossigeno sarebbe velenoso. Per giunta, molti dei nostri materiali, dei nostri metalli, delle nostre vernici che sono sufficientemente stabili in una atmosfera di ossigeno, sarebbero corrosi dal loro respiro. Invece di acqua, essi hanno l’acido fluoridrico, che intacca il vetro e tutti i silicati. Dovremo erigere uno schermo trasparente che non possa venir intaccato dall’ossigeno, mentre loro dovranno erigerne uno inattaccabile dal fluoro. Ma dobbiamo affrettarci. Possiamo continuare a discutere mentre costruiamo lo schermo.»

Il vano che separava i quartieri dell’equipaggio dalla sala motori della Tellur fu trasformata in un laboratorio chimico: servendosi dei componenti portati dalla Terra, fu gettata una pesante lastra di plastica trasparente come il cristallo.

Nel frattempo, l’astronave bianca non mostrò alcun segno di vita, sebbene fosse tenuta costantemente sotto osservazione.

Nella biblioteca della Tellur ferveva il lavoro.

I componenti della spedizione stavano selezionando gli stereofilm e le registrazioni magnetiche di fotografie della Terra e di riproduzioni delle più insigni opere d’arte. Furono preparati, in tutta fretta, disegni e diagrammi che mostravano le funzioni matematiche e la struttura cristallina delle sostanze più comuni della Terra, degli altri pianeti del sistema e del sole stesso.

Un grande schermo stereoscopico fu adattato ed una unità sonora potentissima, che riproduceva la voce umana senza la minima distorsione, fu incastonata in un involucro a prova di fluoro.

Durante i brevi intervalli dedicati ai pasti ed al riposo, l’equipaggio della Tellur discuteva della strana atmosfera del pianeta da cui erano partiti gli occupanti dell’altra astronave.

I processi messi in atto sul pianeta sconosciuto dall’energia irradiata dal suo sole avevano reso possibile l’esistenza della vita e l’accumulazione di energia sufficiente a controbilanciare la dissipazione; dovevano aver seguito uno schema generale simile a quello evolutosi sulla Terra. Un gas libero attivo — ossigeno, fluoro o qualsiasi altro — poteva accumularsi in una atmosfera soltanto come risultato delle funzioni vitali delle piante. In qualunque circostanza la vita animale, compresa quindi la vita umana, doveva servirsi di tale gas, combinandolo con il carbonio, come componente basilare e delle piante e degli animali.

Gli oceani di quel pianeta dovevano essere costituiti di acido fluoridrico, che veniva scisso dalle piante con l’aiuto dell’energia radiante del sole del sistema, (così come le piante della Terra spezzavano l’acqua, costituita di idrogeno ed ossigeno) accumulando gli idrati di carbonio e liberando il fluoro. Il fluoro, mescolato all’azoto, veniva respirato dagli umani e dalle bestie, che ottenevano d’energia vitale dalla combustione degli idrati di carbonio nel fluoro, e dovevano esalare fluoruro di carbonio e fluoruro d’idrogeno.