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Un gruppo di otto occupanti dell’altra nave apparve alla estremità del dotto. Un gemito di sbalordimento sfuggì dalle labbra dei terrestri.

Era quasi impossibile credere ai propri occhi. Ciascuno dei terrestri, in fondo, si era aspettato di incontrare qualcosa di straordinario, qualcosa di soprannaturale. E, per questo motivo, la loro somiglianza con gli stranieri li colpì come un miracolo. Ma si trattava soltanto di una prima impressione: quando li osservarono meglio scoprirono molte differenze in quelle parti dei loro corpi che non erano nascoste dalle brevi tuniche sciolte e dai lunghi, ampi pantaloni simili a quelli indossati un tempo anche dagli abitanti della Terra.

Improvvisamente la luce azzurra si spense e venne accesa l’illuminazione della Tellur. La parete trasparente nella galleria perdette la sua tinta verdastra e diventò incolore. Osservando le persone ritte dietro lo schermo quasi invisibile, all’estremità del corridoio, era difficile credere che respirassero un gas mortale per i terrestri e che si bagnassero nell’acido fluoridrico.

Il loro fisico era normale, secondo i criteri terrestri, e la loro statura era eguale a quella della maggioranza degli abitanti della Terra. Il particolare più strano era il colore della loro pelle, grigio ferro con riflessi argentei, ed una sorta di trasparenza interiore, rosso-sangue, simile a quella dell’ematite.

Gli stranieri avevano teste rotonde e capelli nerissimi, ma il tratto più caratteristico della loro fisionomia era rappresentato dai loro occhi a mandorla. Erano occhi incredibilmente grandi, così grandi che sembravano occupare l’intera ampiezza del viso; erano fortemente obliqui, gli angoli esterni rialzati verso le tempie, più rialzati degli occhi di qualsiasi abitante della Terra. La sclerotica, di un profondo color turchese, sembrava anormalmente lunga, in confronto con le iridi e le pupille nere.

Le loro sopracciglia erano nere, diritte, ben disegnate; risalivano fino a confondersi con i capelli, in alto sulle tempie, e quasi si univano alla radice del naso. L’attaccatura dei capelli, sulla fronte, era nettamente delineata, in perfetta simmetria con la linea delle sopracciglia, e dava alla fronte la forma di un rombo esteso orizzontalmente. Il naso era corto e piatto, con due narici simili a quelle dei terrestri. Avevano la bocca piccola; le labbra socchiuse, di un delicato color lilla, rivelavano due file di denti eguali che avevano la stessa tinta turchese della sclerotica. Al di sotto degli occhi, i volti si restringevano, scendendo verso il mento dal disegno un po’ angoloso, e questa conformazione faceva sembrare la parte superiore del volto stranamente larga. La struttura delle loro orecchie era un mistero, perché gli stranieri portavano sul capo fasce di tessuto aureo che scendevano loro sulle tempie.

Degli stranieri, alcuni erano inequivocabilmente donne a giudicare dal loro collo più lungo e ben modellato, dai lineamenti più morbidi, dai capelli lanuginosi. Gli uomini erano più alti e più muscolosi ed avevano il mento più forte; le differenze fra i due sessi erano paragonabili a quelle esistenti nella razza umana terrestre.

Ad Afra sembrò che avessero soltanto quattro dita, anziché cinque; inoltre, le dita sembravano non avere affatto giunture, poiché si piegavano senza formare angoli.

Era impossibile indovinare la forma dei loro piedi, che affondavano nel morbido tappeto che rivestiva il passaggio. I loro abiti avevano una tinta rosso-cupa.

Più a lungo gli astronauti venuti dalla Terra osservavano gli sconosciuti provenienti dal pianeta di fluoro e meno strano appariva il loro aspetto.

E, soprattutto, si rendevano conto che stavano guardando esseri dotati di una notevole, particolare bellezza. Il segreto del fascino degli stranieri consisteva principalmente nei grandi occhi che guardavano i terrestri con un caldo riflesso di intelligenza e di benevolenza.

«Guardate quegli occhi!» esclamò Afra. «E’ molto più facile diventare umani quando si possiedono occhi come quelli… anche sé i nostri occhi sono, a loro volta, meravigliosi!»

«Perché dici questo?» chiese Tey, in un sussurro.

«Più un occhio è grande, e più vasta è la visione dei mondo che può cogliere.»

Tey annuì.

Uno degli stranieri fece qualche passo avanti e compì un gesto con la mano. La luce cui i terrestri erano abituati si spense, dall’altro lato della divisione.

«Avrei dovuto pensare alle luci!» mormorò Moot Ang.

«Ci ho pensato io,» disse Kari, spegnendo l’illuminazione normale e accendendo due potenti lampade munite di filtri 430.

«Ma questa luce ci farà sembrare altrettanti cadaveri!» esclamò Taina. «L’umanità non può apparire nel suo aspetto, migliore, in questo modo!»

«Non dobbiamo preoccuparci per così poco,» rispose Moot Ang. «La loro visione si estende molto profondamente nella regione del violetto, e forse perfino nell’ultravioletto. Questo mi induce a credere che siano sensibili ad un maggior numero di sfumature e che ricevano immagini molto più “morbide” di quelle che riceviamo noi.»

«Quindi, probabilmente, ai loro occhi noi sembriamo più gialli di quanto siamo in realtà?» chiese Tey, dopo un attimo di riflessione.

«E’ sempre meglio del colorito azzurrognolo d’un cadavere,» disse Taina. «Guardati attorno!»

Capitolo IX

I terrestri scattarono parecchie fotografie, poi fecero passare un altoparlante a cristalli di osmio attraverso una piccola apertura stagna della parete divisoria. Gli stranieri lo presero e lo collocarono su di un treppiedi.

Kari diresse un fascio molto stretto di radio-onde verso l’antenna e il linguaggio e la musica della Terra raggiunsero l’astronave del pianeta ai fluoro.

Nello stesso modo furono passati strumenti per l’analisi dell’atmosfera e per la misurazione della temperatura. Come era prevedibile, nell’interno dell’astronave bianca la temperatura era molto bassa, non più di sette gradi. La pressione atmosferica era invece superiore a quella terrestre; la gravità era press’a poco eguale.

«La temperatura dei loro corpi è probabilmente più alta,» notò Afra. «Anche la nostra temperatura è superiore di una ventina di gradi alla temperatura media della Terra. Direi che la temperatura del loro corpo deve aggirarsi intorno ai quattordici gradi.»

Anche gli stranieri fecero passare alcuni strumenti, chiusi in involucri rigidi che rendevano impossibile indovinare la loro funzione.

Uno dei due involucri emetteva suoni intermittenti piuttosto acuti, che sembravano svanire in distanza. I terrestri ne dedussero che gli stranieri potevano udire note più alte; se la portata del loro udito era all’incirca eguale a quella dei terrestri, non erano in grado di udire le note più basse del linguaggio e della musica umana.

Poi gli stranieri tornarono ad accendere l’illuminazione di tipo terrestre. I terrestri, a loro volta, spensero la luce azzurra. Due degli abitanti del pianeta al fluoro, un uomo ed una donna, si avvicinarono alla parete trasparente; si tolsero gli abiti rosso-cupo e rimasero nudi, tenendosi per mano, davanti ai terrestri. La somiglianza con gli uomini, già notevole nei volti, era ancora più grande nella struttura dei corpi. Le loro proporzioni armoniose si accordavano perfettamente con il concetto terrestre della bellezza. Le linee erano più definite, più angolose, e davano la sensazione di trovarsi di fronte a sculture; questa sensazione era accresciuta dal gioco delle luci e delle ombre sulla loro pelle grigia.

Le loro teste erano orgogliosamente erette sui colli lunghi. L’uomo aveva le spalle ampie e la struttura fisica di un lavoratore o di un combattente, ed i fianchi larghi della donna non discordavano affatto con la impressione di potenza intellettuale che emanava da entrambi.

Poi i due indietreggiarono facendo il gesto d’invito ormai familiare e le luci gialle di tipo terrestre si spensero; i terrestri non esitarono.