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Ma ora, il semplice pensiero delle grandi prospettive che si sarebbero aperte nei prossimi sette secoli… secoli densi di cambiamenti, di miglioramenti, di conoscenze sempre nuove, sgomentava l’immaginazione.

E se la vera felicità consiste nel cambiamento, nel movimento, nel rapido progresso, rifletté Moot Ang, chi poteva essere più felice di lui stesso e dei suoi compagni?

Ma la situazione non era semplice come poteva apparire.

La natura dell’uomo è complessa quanto l’ambiente che lo circonda. Mentre ci protendiamo verso il futuro, ci rattristiamo sempre per il trascorrere del tempo, o meglio per la perdita delle belle cose del passato… le cose che vengono conservate dalla memoria e che anticamente davano origine alle leggende dell’età dell’oro svanita nei labirinti del tempo.

Gli uomini non potevano fare a meno di ricordare tutto ciò che c’era stato di bello nel passato, e desideravano il suo ritorno, perché soltanto coloro che disponevano delle menti più limpide erano in grado di prevedere l’inevitabile avvento di cose ancora migliori, nel futuro.

E da sempre, nelle menti degli uomini continuava a sussistere un rimpianto profondo per ciò che era ormai passato, un desiderio nostalgico per ciò che non era più, una tristezza invincibile che aggrediva alla vista degli antichi ruderi e dei monumenti dell’antica storia dell’umanità. E questi sentimenti diventano sempre più pungenti, man mano che uno invecchia…

Moot Ang si alzò dal sedile e raddrizzò le spalle poderose.

Sì, tutto questo era descritto con grande vivezza nei romanzi storici. Ma non c’era nulla che potesse spaventare un equipaggio di giovani, a bordo di una astronave lanciata verso il futuro. La solitudine, forse? La perdita dei parenti? La solitudine di un uomo proiettato verso il futuro era stata descritta molto spesso, negli antichi romanzi. Significava essere strappati alla propria stirpe. Ma quella stirpe era costituita soltanto da un pugno di individui legati fra loro soltanto da formali vincoli di sangue. E adesso tutti gli uomini erano fratelli, e tutte le vecchie convenzioni, le vecchie barriere che avevano diviso gli uomini, sulla Terra, erano state distrutte per sempre.

Cosa avrebbe dovuto dire ai suoi giovani colleghi lui, il capitano della Tellur?

«Noi della Tellur abbiamo perduto tutti coloro che ci erano vicini, che ci erano cari sulla Terra. Ma coloro che ci attendono nel futuro non ci sono meno vicini e meno cari… Le loro menti saranno più acute, i loro sentimenti più ricchi di quelli dei contemporanei che ci siamo lasciati alle spalle…»

Sì, era questo, che avrebbe dovuto dire.

Nel frattempo, Tey Eron era al lavoro nella sala comando. Come al solito, aveva spento tutte le luci non necessarie e, nella penombra, la grande sala rotonda sembrava più comoda, più familiare. Canticchiando una melodia, Tey Eron stava controllando ancora una volta i calcoli. L’astronave si stava avvicinando alla meta estrema del suo viaggio. Oggi la rotta sarebbe stata deviata verso il Serpentario, per avvicinare la stella al carbonio che si doveva studiare.

Ma era ancora pericoloso avvicinarla. La pressione crescente della sua radiazione avrebbe potuto fracassare una nave che si muoveva ad una velocità di poco inferiore a quella della luce.

Tey Eron si voltò, sentendo che qualcuno si avvicinava: e si trovò di fronte il comandante.

Moot Ang si curvò per osservare i dati dell’indicatore che scintillavano in una fila di piccoli riquadri lungo l’orlo inferiore del pannello dei comandi.

Tey Eron alzò verso di lui uno sguardo interrogativo. Il capitano fece un cenno di consenso. In risposta al movimento appena percettibile delle dita di Tey Eron, il sistema di intercomunicazione entrò in azione. Vi fu un suono di campane lungo tutta la nave, accompagnate da una voce metallica.

«Attenzione! Attenzione!»

Moot Ang prese il microfono; sapeva che tutti i componenti dell’equipaggio aspettavano ansiosi le parole che stavano per scendere dagli altoparlanti nascosti nelle pareti.

«Attenzione!» ripeté Moot Ang. «Fra quindici minuti comincerà la decelerazione. Tutti coloro che non sono di servizio dovranno ritirarsi nelle rispettive cabine. La prima fase di decelerazione finirà alle diciotto; la seconda fase, a sei gravità, proseguirà per centoquarantaquattro ore. Cambiamento di rotta dopo la segnalazione di Pericolo di Collisione. E’ tutto.»

Alle diciotto il capitano si alzò dal sedile. Provava il solito dolore al dorso ed alla nuca, come sempre durante le fasi di decelerazione. Annunciò che si sarebbe ritirato nella sua cabina per i sei giorni di azione frenante che ancora rimanevano. Gli altri componenti dell’equipaggio sedevano inchiodati ai loro strumenti, poiché era la loro ultima possibilità di osservare la stella al carbonio.

Tey Eron si accigliò mentre il capitano lasciava la sala comando. Si sarebbe sentito molto meglio se il comandante fosse rimasto accanto a lui, durante la difficile manovra. Anche se non c’era un confronto fra una astronave poderosa come la Tellur ed i piccoli scafi che varcavano i mari della Terra, era pur sempre un fragile guscio d’uovo nell’infinito dello spazio.

Capitolo III

Kari Ram trasalì al suono della risata di Moot Ang.

Qualche giorno prima, l’equipaggio aveva saputo che il capitano si era improvvisamente ammalato. Soltanto il medico aveva potuto entrare nella sua cabina, e tutti abbassavano la voce istintivamente, quando passavano davanti alla porta a chiusura ermetica. E, a causa della malattia del capitano, il compito di dirigere la nave e di accelerarla di nuovo per allontanarla dalla zona di radiazione della stella al carbonio per ricondurla verso il sole, verso la Terra, era toccato a Tey Eron.

Adesso Tey Eron camminava a fianco del capitano, e un debole sorriso gli sfiorava le labbra. Da pochi minuti aveva saputo che Moot Ang s’era accordato con il medico per lasciare l’astronave nelle mani di Tey Eron, per costringerlo a contare soltanto su se stesso.

E Tey non avrebbe mai confessato i dubbi tremendi che lo avevano assalito quando si era trattato di invertire la rotta dell’astronave; tuttavia, rimproverava al capitano di avere allarmato inutilmente l’equipaggio.

Moot Ang rise e garantì a Tey che l’astronave era perfettamente sicura nei vasti spazi aperti del cosmo. Gli strumenti non potevano errare, il sistema di controllo quadruplo per ogni calcolo escludeva la possibilità di uno sbaglio. E non c’erano nemmeno fasce di asteroidi o meteoriti, nei dintorni della stella al carbonio: la pressione della radiazione era troppo forte.

«Credi davvero che non avremo altre sorprese?» chiese Kari Ram, incuriosito.

«Qualche incidente imprevedibile può sempre verificarsi. Ma la grande legge universale che noi chiamiamo legge delle medie lavora in nostro favore. Puoi essere sicuro che in questo angolo deserto dell’universo non corriamo il rischio di imbatterci in qualcosa di nuovo. Ripercorreremo la nostra vecchia strada verso il sole, passando accanto al Cuore del Serpente. Adesso, per qualche giorno, punteremo verso il Serpentario. Lo raggiungeremo presto.»

«E’ strano, ma non provo la minima soddisfazione per un lavoro ben fatto: niente che possa giustificare la rinuncia alla vita terrestre per un periodo di settecento anni,» continuò Kari, in tono pensieroso. «Sicuro, so benissimo che abbiamo raccolto decine di migliaia di dati, di fotografie e di osservazioni, e tutto questo servirà a conoscere meglio i segreti della materia, laggiù, sulla Terra. Ma tutto questo mi sembra inconsequenziale! Una semplice spora del futuro… nient’altro.»

«Ti sei mai fermato a riflettere sugli sforzi compiuti dall’umanità e sulle vite sacrificate per amore di ciò che tu chiami spore del futuro… per non parlare delle innumerevoli generazioni di animali irrazionali che l’hanno preceduta nella scala del progresso storico?» ribatté Tey Eron, accalorandosi.