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Altri due edifici attirarono il suo interesse. Un edificio nuovo, costruito al centro della città: un Tempio dedicato a Paladine. L’altro edificio era la sua destinazione. E su questo il suo sguardo si posò pensieroso.

Risaltava contrastando in maniera così vivida con la bellezza della città tutt’intorno che perfino lo sguardo gelido e insensibile di Kitiara lo notò. Ergendosi fuori dalle ombre che lo circondavano come l’osso calcinato di un dito, era intriso di tenebra e d’una contorta bruttura, cosa ancora più orribile poiché un tempo doveva essere stato l’edificio più splendido di Palanthas, l’antica Torre della Grande Stregoneria.

Le ombre la circondavano di giorno e di notte, poiché era protetta da un bosco di querce gigantesche, gli alberi più grandi che crescessero su Krynn, bisbigliavano sgomenti alcuni dei viaggiatori più navigati. Nessuno lo sapeva per certo, poiché nessuno, neppure della razza dei kender, riusciva a incamminarsi in mezzo alla temuta oscurità di quegli alberi.

«Il Bosco di Shoikan,» mormorò Kitiara a un invisibile compagno. «Nessun essere umano di qualsivoglia razza ha mai osato entrarvi. Nessuno, fino a quando non è arrivato lui: il padrone del passato e del presente.» Lo disse a se stessa con una nota di derisione nella voce, una nota che tremolò quando Skie cominciò a girare in cerchi sempre più stretti vicino a quella chiazza di oscurità.

Il drago azzurro si posò sulle strade deserte e abbandonate vicino al Bosco di Shoikan. Kit aveva sollecitato Skie con ogni possibile mezzo, dalle lusinghe alle minacce, perché volasse sopra il bosco fino alla Torre medesima. Ma Skie, benché solitamente disposto a versare fino all’ultima goccia del suo sangue per la sua padrona, gliel’aveva rifiutato. Era al di là del suo potere. Nessun essere mortale, neppure un drago, avrebbe potuto entrare in quell’anello maledetto di querce guardiane.

Skie se ne rimase là a fissare il bosco con odio, gli occhi rossi che ardevano, mentre i suoi artigli smuovevano nervosamente le piastrelle della pavimentazione stradale. Avrebbe impedito alla sua padrona di entrare, ma conosceva molto bene Kitiara. Una volta che avesse deciso di fare qualcosa, niente avrebbe potuto distoglierla. Così Skie ripiegò intorno al proprio corpo le grandi ali coriacee e fissò quella città bella e opulenta mentre pensieri di fiamme, fumo e fuoco lo riempivano di desiderio.

Kitiara scese lentamente dalla sella del suo drago. La luna d’argento, Solinari, era una pallida testa recisa nel cielo. La sua gemella, la luna rossa Lunitari, era appena spuntata e adesso tremolava all’orizzonte come il lucignolo d’una candela morente. La debole luce di entrambe le lune traeva riflessi dall’armatura di scaglie di drago di Kitiara, facendola apparire d’uno spettrale color sangue.

Kit studiò il bosco con attenzione, fece un passo verso di esso, poi si fermò innervosita. Alle sue spalle poteva udire un fruscio - le ali di Skie che le davano un tacito consiglio: Lasciamo questo luogo di morte, Signora! Fuggiamo fintanto che siamo ancora vivi!

Kitiara deglutì. Si sentiva la lingua secca e ingrossata. I muscoli del suo stomaco si annodavano dolorosamente. Vivi ricordi della sua prima battaglia le tornavano alla memoria, la prima volta che aveva affrontato Un nemico sapendo di dover uccidere quell’uomo, altrimenti sarebbe Stata lei a morire. Poi, aveva vinto con gli abili colpi della sua spada. Ma questo?

«Ho camminato per molti luoghi bui in questo mondo,» disse Kit al suo invisibile compagno con voce bassa e profonda, «e non ho mai conosciuto la paura. Ma qui non posso entrare.»

«Semplicemente tieni alto il gioiello che lui ti ha dato,» disse il suo compagno, materializzandosi dalla notte. «I Guardiani del Bosco saranno impotenti, non potranno farti alcun male.»

Kitiara aguzzò lo sguardo dentro il folto cerchio di quegli alberi altissimi. I loro enormi rami che si protendevano in tutte le direzioni oscuravano la luce delle lune e delle stelle, la notte, e il bagliore del sole di giorno. Intorno alle loro radici scorreva la notte perpetua. Nessuna brezza delicata sfiorava le loro braccia vetuste, nessun vento di tempesta smuoveva i loro arti massicci. Si diceva che perfino durante le orrende giornate del Cataclisma, quando tempeste quali non si erano mai viste prima su Krynn spazzavano la terra, soltanto gli alberi del Bosco di Shoikan non si fossero piegati alla collera degli dei.

Ma si diceva che ancora più orribile della loro perpetua oscurità fosse l’eco della vita eterna che pulsava dalle loro profondità, una vita eterna, ,una eterna infelicità e un eterno tormento...

«Quello che la mia testa dice, lo crede,» rispose Kitiara, rabbrividendo, «ma non il mio cuore, Lord Soth.»

«Gira la schiena, allora,» rispose il cavaliere della morte, scrollando le spalle. «Mostragli che il più potente Signore dei Draghi al mondo è un codardo.» Kitiara fissò Lord Soth dalle fessure degli occhi dell’elmo di drago. I suoi occhi castani luccicarono, la sua mano si chiuse spasmodica sull’elsa della spada. Soth le restituì l’occhiata, la fiamma arancione che tremolava tra le sue occhiaie arse di una luce più vivida, orrenda e beffarda. E se i suoi occhi ridevano di lei, che cosa avrebbero rivelato quegli occhi dorati del mago? Non risate... trionfo!

Serrando con forza le labbra, Kitiara afferrò la catena che aveva intorno al collo, dalla quale pendeva il talismano che Raistlin le aveva mandato. La strinse e le diede un fulmineo strattone, spezzandola con facilità. Poi tenne il gioiello fra le mani guantate.

Nero come il sangue di drago, il gioiello dava una sensazione di gelo al tatto, irradiandolo perfino attraverso i suoi pesanti guanti di cuoio.

Tutt’altro che gradevole, smorto, giaceva pesante nel palmo della sua mano.

«Come possono vederlo questi Guardiani?» volle sapere Kitiara, sollevandolo alla luce delle lune.

«Guarda, non luccica né sfavilla. Mi sembra di reggere in mano soltanto un pezzo di carbone.»

«Non puoi vedere la luna che non risplende sul gioiello della notte, né esiste qualcuno che possa vederla se non coloro che la venerano,» rispose Lord Soth. «Quelli... e i morti che, come me, sono stati condannati alla vita eterna. Noi possiamo vederla! Per noi risplende con più fulgore di qualsiasi altra luce nel cielo. Tienilo alto, Kitiara, tienilo alto e incamminati. I Guardiani non ti fermeranno. Togliti l’elmo, in modo che possano vedere la luce del gioiello riflettersi nei tuoi occhi.»

Kitiara esitò un momento ancora. Poi - al pensiero della risata beffarda di Raistlin che le riecheggiava nelle orecchie - la Signora dei Draghi si tolse l’elmo cornuto. Tuttavia, rimase ancora là ferma a guardarsi intorno. Nessun alito di vento le scarmigliava le ciocche scure. Sentiva un sudore freddo colarle lungo le tempie. Con un rabbioso colpo della mano guantata lo asciugò via.

Alle sue spalle sentiva ancora il drago che uggiolava, uno strano suono che mai prima di allora aveva sentito uscire da Skie. La sua determinazione vacillò. La mano con la quale reggeva il gioiello tremò.

«Si nutrono di paura, Kitiara,» le disse Lord Soth con voce sommessa. «Tieni alto il gioiello, fai che lo vedano riflesso nei tuoi occhi!»

Fagli vedere che sei una codarda! Queste parole echeggiarono nella sua mente. Stringendo il gioiello della notte, alzandolo sopra la sua testa, Kitiara entrò nel Bosco di Shoikan.

L’oscurità scese, calando così all’improvviso che Kitiara pensò, per un orribile, paralizzante momento, di essere stata accecata. Soltanto la vista degli occhi fiammeggianti di Lord Soth che tremolavano all’interno del suo pallido viso scheletrico la rassicurò.

Si costrinse a rimanere calma, lasciando che quel debilitante momento di paura svanisse. E poi osservò per la prima volta un luccichio emanare dal gioiello. Non assomigliava a nessun’altra luce che avesse mai visto. Non illuminava l’oscurità, piuttosto permetteva a Kitiara di distinguere tutto quello che viveva dentro l’oscurità dall’oscurità stessa.