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«Tale è la mia storia,» disse il cavaliere della morte senza muoversi. «E tu sei Raistlin, padrone del passato e del presente, colui che è stato predetto.»

I due rimasero là a fissarsi, dimentichi entrambi di Kitiara la quale, percependo la silenziosa, micidiale contesa ingaggiata dai due, dimenticò la propria rabbia, trattenendo il fiato per assistere al risultato.

«La tua magia è forte,» commentò Raistlin. Un leggero vento agitò i rami delle querce, accarezzando le pieghe delle nere vesti del mago.

«Sì,» disse Lord Soth con calma. «Posso uccidere con una singola parola. Posso scagliare una palla di fuoco in mezzo ai miei nemici. Comando uno squadrone di guerrieri scheletrici, che possono uccidere al solo tocco. Posso innalzare un muro di ghiaccio per proteggere coloro che servo. I miei occhi possono discernere l’invisibile. Gli incantesimi della comune magia si sgretolano in mia presenza.»

Raistlin annuì, le pieghe del suo cappuccio si mossero lentamente.

Lord Soth fissò il mago senza parlare. Avvicinandosi a Raistlin, si fermò soltanto a pochi centimetri dal suo fragile corpo. Il respiro di Kitiara accelerò.

Poi, con un gesto regale, il cavaliere maledetto di Solamnia appoggiò una mano su quella parte della sua anatomia che un tempo aveva contenuto il suo cuore.

«Ma m’inchino in presenza d’un maestro,» dichiarò infine. Kitiara si morse il labbro, soffocando un’esclamazione. Raistlin le lanciò una rapida occhiata. C’era una nota divertita nei suoi balenanti occhi dorati a forma di clessidra. «Delusa, mia cara sorella?».

Ma Kitiara era ben abituata ai venti mutevoli del destino. Aveva esplorato il nemico, scoperto ciò che le serviva sapere. Adesso poteva procedere con la battaglia. «Naturalmente no, fratellino,» rispose con quel tono furfantesco che tanti avevano trovato così affascinante. «Dopotutto sei tu che sono venuta a trovare. È passato troppo tempo da quando ci siamo fatti visita l’ultima volta. Sembri in buona salute.»

«Oh, lo sono, cara sorella,» rispose Raistlin. Facendosi avanti appoggiò la mano sottile sul braccio di lei. Kitiara trasalì al suo tocco, sentì la pelle che le si scaldava, come se bruciasse per la febbre.

Ma, vedendo i suoi occhi fissi su di lei, che osservavano ogni sua reazione, non si mosse. Raistlin sorrise, e proseguì: «È passato così tanto tempo da quando ci siamo visti per l’ultima volta. Quanto, due anni? Due anni fa, in primavera, in effetti,» continuò Raistlin, loquace, stringendo il braccio di Kitiara nella sua mano. La sua voce era colma di sarcasmo. «È stato nel Tempio della Regina delle Tenebre a Neraka, la fatidica notte in cui la mia regina andò incontro alla sua caduta e venne bandita da questo mondo...»

«Grazie al tuo tradimento,» disse Kitiara con voce dura, cercando, senza riuscire, di liberarsi dalla sua stretta. Raistlin continuava a tenere la mano sul suo braccio. Nonostante fosse più alta e più forte del fragile mago, e in apparenza capace di spezzarlo in due a mani nude, Kitiara si scoprì desiderosa di sottrarsi a quel tocco bruciante, ma allo stesso tempo smise di agitarsi. Raistlin rise e, sempre tirandola per il braccio, le fece strada fino alla porta esterna della Torre della Grande Stregoneria.

«Dobbiamo parlare di stregoneria, cara sorella? Non ti eri forse rallegrata quando ho usato la mia magia per distruggere lo scudo protettivo di lord Ariaka concedendo a Tanis Mezzelfo la possibilità di affondare la sua spada nel corpo del tuo signore e padrone? Non fui forse io, grazie a quell’azione, a fare di te il più potente dei Signori dei Draghi di Krynn?»

«Proprio a tanto mi è servito!» replicò Kitiara con amarezza. «Tenuta quasi prigioniera a Sanction dagli immondi Cavalieri di Solamnia, che regnano su tutte le terre circostanti! Sorvegliata giorno e notte da draghi dorati, ogni mia singola mossa scrutata. I miei eserciti dispersi, ridotti a vagare in lungo e in largo...»

«Eppure sei venuta qua,» disse Raistlin con semplicità. «I draghi dorati ti hanno forse fermata? I Cavalieri hanno forse saputo della tua partenza?»

Kitiara si fermò lungo il sentiero che conduceva alla Torre, fissando stupefatta suo fratello. «Opera tua?»

«Naturalmente!» Raistlin scrollò le spalle. «Ma parleremo di queste faccende più tardi, cara sorella,» aggiunse mentre riprendevano ad avanzare. «Hai freddo e sei affamata. Il bosco di Shoikan scuote anche i nervi più saldi. Soltanto un’altra persona ha valicato con successo i suoi confini, con il mio aiuto, naturalmente. Mi aspettavo che tu te la cavassi bene, ma devo ammettere di essere rimasto un po’ sorpreso dal coraggio dimostrato da Dama Crysania...»

«Dama Crysania» ripetè Kitiara, ancora più stupita. «Una Reverenda Figlia di Paladine! Le hai permesso di venire... qui?»

«Non soltanto gliel’ho permesso, l’ho invitata,» rispose Raistlin imperturbabile. «Senza quell’invito e un talismano protettivo non sarebbe mai passata, naturalmente.»

«Ed è venuta?»

«Oh, con molto slancio, posso assicurartelo.» Adesso fu Raistlin a fare una pausa. Erano fermi fuori dell’ingresso della Torre della Grande Stregoneria. La luce delle torce che usciva dalle finestre illuminava il volto di Raistlin. Kitiara poteva vederlo con chiarezza. Le labbra erano contorte in un sorriso, i suoi piatti occhi dorati luccicavano freddi e sottili come la luce del sole d’inverno. «Con molto slancio,» ripetè con voce sommessa.

Kitiara scoppiò a ridere.

Quella notte sul tardi, dopo che le due lune erano tramontate, nelle ore buie e immobili prima dell’alba, Kitiara sedeva nello studio di Raistlin con un bicchiere di vino rosso in mano, le sopracciglia corrugate.

Lo studio era confortevole, o così sembrava a guardarlo. Sedie grandi e comode della stoffa migliore e ottimamente lavorate sopra tappeti tessuti a mano che soltanto le persone più ricche di Krynn potevano permettersi di possedere. Intessute nei tappeti, immagini di bestie fantastiche e fiori variopinti attiravano l’occhio, tentando l’osservatore a smarrirsi per lunghe ore nella loro bellezza.

Qua e là c’erano tavoli di legno scolpito e oggetti rari e bellissimi, oppure rari e orrendi, decoravano la stanza.

Ma la caratteristica predominante erano i libri. Le pareti della stanza scomparivano dietro profondi scaffali di legno che contenevano centinaia e centinaia di volumi. Molti erano simili nell’aspetto, tutti con una rilegatura blu-notte, decorati con rune d’argento. Era una stanza confortevole ma, malgrado il fuoco che ruggiva in un gigantesco caminetto a un’estremità dello studio, che pareva un’immensa bocca spalancata, c’era nell’aria un freddo che faceva raggelare le ossa. Kitiara non ne era sicura, ma aveva la sensazione che provenisse dai libri.

Lord Soth si teneva lontano dal bagliore del fuoco, nascosto fra le ombre. Kit non poteva vederlo, ma era ben conscia della sua presenza, come lo era Raistlin. Il mago sedeva dirimpetto alla sua sorellastra su un grande scranno dietro ad un gigantesco tavolo di legno nero, scolpito con tanta destrezza che le creature che lo decoravano parevano osservare Kitiara con i loro occhi di legno.

Kitiara, a disagio, si agitò e bevve il vino troppo in fretta. Malgrado fosse avvezza alle bevande forti, cominciava a sentirsi stordita, e odiava questa sensazione. Significava che stava perdendo il controllo. Con rabbia spinse via il bicchiere, decisa a non bere più.

«Questo tuo piano è folle!» disse a Raistlin con irritazione. Poiché non le piaceva lo sguardo di quegli occhi dorati puntati su di lei, Kitiara si alzò in piedi e prese a camminare su e giù per la stanza. «È insensato! Una perdita di tempo. Con il tuo aiuto potremmo dominare Ansalon, tu ed io. In effetti...» Kitiara si voltò all’improvviso: la sua faccia ardeva letteralmente per la foga, «... con il tuo potere potremmo dominare il mondo! Non abbiamo bisogno di Dama Crysania o del nostro grosso e goffo fratello...»

«“Dominare il mondo”,» ripetè Raistlin con voce sommessa, gli occhi ardenti. «Governare il mondo? Tu non capisci ancora, mia cara sorella. Lascia che ti chiarisca questo con l’identica chiarezza con cui conosco te.» Adesso fu il suo turno di alzarsi in piedi. Premendo le mani sottili sulla superficie del tavolo, si sporse verso di lei come un serpente. «Non me ne importa un dannato niente del mondo!» disse con voce sommessa. «Potrei dominarlo domani, se volessi! Non voglio.»