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«Ci sarò,» dichiarò Crysania con voce ferma, osservando con piacere l’espressione di orrore e di shock di Bertrem. Facendo un cenno di saluto con la testa, appoggiò leggera la mano sullo schienale della seggiola scolpita.

Rimasta sola nella stanza calda e silenziosa, Crysania si genuflesse davanti alla sedia. «Oh, grazie, Paladine!» bisbigliò sommessa. «Accetto la tua sfida. Non ti deluderò! Non ti deluderò!».

Libro Primo.

Capitolo primo.

Alle sue spalle poteva udire il rumore di piedi artigliati che raschiavano in mezzo alle foglie della foresta. Tika divenne tesa, ma cercò di comportarsi come se non avesse udito, inducendo la creatura ad avanzare ancora verso di lei. Con fermezza serrò la spada nel pugno. Il suo cuore batteva. Il rumore di passi si avvicinava sempre più, poteva udire l’aspro respiro. Una mano artigliata le cadde sulla spalla. A quel tocco minaccioso, Tika si girò di scatto, fece roteare la propria spada e... un vassoio pieno di boccali cadde sul pavimento con uno schianto.

Dezra strillò e balzò indietro allarmata. I clienti seduti al bancone esplosero in rauche risate. Tika sapeva che la sua faccia doveva essere rossa come i suoi capelli. Il cuore le batteva. Le mani le tremavano.

«Dezra,» disse Tika, con freddezza, «hai tutta la grazia e il cervello di un nano dei burroni. Tu e Raf dovreste scambiarvi i posti. Tu porterai fuori la spazzatura e lascerò che sia lui a servire ai tavoli!»

Dezra sollevò lo sguardo da dove si era inginocchiata, intenta a raccogliere i pezzi dei boccali frantumati, che galleggiavano in un mare di birra. «Forse dovrei!» gridò piangendo la cameriera, buttando di nuovo i pezzi sul pavimento. «Servi tu stessa ai tavoli... oppure è al di sotto di te, adesso, Tika Majere, Eroina delle Lance?»

Lanciando a Tika un’occhiata ferita, Dezra si alzò in piedi, scostò con un calcio il vasellame rotto, e uscì di corsa dalla locanda.

Quando la porta d’ingresso si spalancò con un colpo secco, urtò con forza il telaio, strappando una smorfia a Tika la quale immaginò i graffi sul legno. Parole taglienti le salirono alle labbra, ma si morse la lingua, sapendo che se lo avesse fatto più tardi se ne sarebbe rincresciuta.

La porta rimase aperta, lasciando che la vivida luce del pomeriggio morente inondasse la locanda.

Il bagliore rossastro del sole calante susci in riflessi dal legno lucidato di fresco del bancone, sfavillando sui bicchieri. Danzò perfino sulla superficie della pozzanghera sul pavimento.

Accarezzò stuzzicante i fiammeggianti riccioli rossi di Tika, come la mano di un amante, inducendo parecchi degli ilari clienti a soffocare le loro risate e a fissare quella donna aggraziata con desiderio.

Non che Tika non se ne accorgesse. Ma adesso, vergognandosi della propria collera, sbirciò fuori dalla finestra e vide Dezra che si stava asciugando gli occhi con il grembiule. Un cliente entrò dalla porta aperta, tirandosela dietro e chiudendola. La luce esterna scomparve, lasciando la locanda ancora una volta immersa nella fresca semioscurità.

Tika si sfregò la mano sugli occhi. «Che razza di mostro sto diventando?» si chiese, piena di rimorsi. «Dopotutto non è stata colpa di Dezra. È questa orribile sensazione che provo dentro di me. Vorrei quasi che ci fossero dei draconici contro cui combattere. Per lo meno, allora sapevo cosa temevo, per lo meno allora potevo combattere con le mie stesse mani! come posso combattere, qui, contro qualcosa che non riesco neppure a nominare?»

Delle voci irruppero nei suoi pensieri, reclamando birra, cibo. Le risate tornarono a innalzarsi.

E’ questo che sono tornata a cercare. Tika tirò su con il naso e se lo pulì con lo straccio del bancone. Questa è casa mia. Questa gente è bella, calda e al posto giusto, come quel sole calante.

Sono circondata dalle voci dell’amore: le risate, la buona compagnia, un cane adorante...

Un cane adorante! Tika cacciò un gemito e uscì di corsa da dietro il bancone.

«Raf!» esclamò orripilata, fissando disperata il nano dei burroni.

«Birra rovesciata. Me pulire,» disse Raf, guardandola e passandosi allegramente la mano sulla bocca per asciugarsela.

Parecchi dei clienti abituali scoppiarono a ridere, ma ce n’erano alcuni, giunti per la prima volta nella locanda, che stavano fissando con disgusto il nano dei burroni.

«Usa questo straccio per pulire!» sibilò Tika dall’angolo della bocca, rivolgendo un pallido sorriso ai clienti per scusarsi. Lanciò a Raf lo straccio del bancone e il nano dei burroni l’agguantò al volo.

Ma si limitò a tenerlo in mano, fissandola con un’espressione perplessa.

«Cosa fare me con questo?»

«Pulisci quello che è stato rovesciato!» lo rimproverò Tika cercando, senza riuscirci, di nasconderlo alla vista dei clienti con la sua lunga camicia svolazzante.

«Oh, me niente bisogno questo,» dichiarò Raf in tono solenne. «Me non sporcare bello straccio.»

Restituito lo straccio a Tika, il nano dei burroni tornò a mettersi a quattro zampe e riprese a leccare la birra rovesciata, adesso mescolata al fango portato dentro la locanda dalle scarpe dei clienti.

Con le guance che le bruciavano per il rossore, Tika allungò una mano con uno scatto, afferrò Raf e lo trascinò in piedi, scrollandolo energicamente. «Adopera lo straccio!» gli bisbigliò furibonda. «I clienti stanno perdendo l’appetito! E quando avrai finito voglio che tu pulisca quel grande tavolo vicino al camino. Sto aspettando degli amici e...» Tika s’interruppe.

Raf la stava fissando con gli occhi spalancati, cercando di assimilare quelle complicate istruzioni.

In verità, per essere un nano dei burroni era eccezionale. Si trovava lì da tre settimane soltanto, e Tika gli aveva già insegnato a contare fino a tre (pochi nani dei burroni riuscivano a superare il due) ed era finalmente riuscita ad eliminare la sua puzza. Quella nuova prodezza intellettuale avrebbe fatto di lui un re nel regno dei nani, ma Raf non aveva nessuna ambizione del genere. Sapeva che nessun re viveva come viveva lui, pulendo la birra rovesciata per terra (se era veloce) e portando fuori la spazzatura. Ma c’erano limiti al talento di Raf, e Tika li aveva appena scoperti.

«Sto aspettando alcuni amici e...» cominciò a dire un’altra volta, poi ci rinunciò. «Oh, non ha importanza. Basterà che tu pulisca qui, con lo straccio,» aggiunse in tono severo, «poi vieni da me e ti dirò che cosa devi fare ancora.»

«Me niente bere?» cominciò a dire Raf, poi colse l’occhiata furibonda di Tika. «Me fare.»

Sospirando deluso, il nano dei burroni riprese lo straccio e lo passò sul pavimento, borbottando «Spreco buona birra...» Poi raccolse uno per uno i pezzi dei boccali rotti, e dopo averli fissati per qualche istante, sogghignò e se li cacciò nelle tasche della camicia.

Per un breve istante Tika si chiese che cosa avesse intenzione di farci, ma sapeva che era più saggio non chiederlo. Tornata al bancone ghermì altri boccali e li riempì, cercando di non badare a Raf che si era tagliato con alcuni dei frammenti più affilati e adesso si era accovacciato sui calcagni, osservando con vivo interesse il sangue che gli gocciolava dalla mano.

«Hai... uhm... visto Caramon?» chiese Tika al nano dei burroni in tono disinvolto.

«No.» Raf si pulì la mano insanguinata sui capelli. «Ma me sapere dove guardare.» Balzò in piedi con foga. «Me andare a trovare?»

«No!» scattò Tika, corrugando la fronte. «Caramon è a casa.»

«Me pensa di no,» disse Raf scuotendo la testa. «Non dopo che sceso sole...»

«È a casa!» sbottò Tika con tanta rabbia che il nano dei burroni si ritrasse da lei impaurito.

«Vuoi fare scommessa?» borbottò Raf, ma a voce molto bassa. In quei giorni l’umore di Tika era infiammato come i suoi avvampanti capelli rossi.