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«Silenzio!» L’uomo vestito di nero non alzò la voce, ma non ne aveva bisogno. Per un attimo, nel dire questa parola, aveva sollevato la testa: occhi e bocca erano fori aperti in una fornace ruggente, pieni di fiamme e di bagliore.

Allora Perrin lo riconobbe: Ba’alzamon. Stava guardando Ba’alzamon in persona. Fu inchiodato dalla paura. Sarebbe fuggito, ma non sentiva i piedi.

Hopper si agitò. Perrin gli strinse forte il pelame irsuto. Una cosa reale. Più reale, si augurò, di ciò che vedeva. Ma sapeva che tutt’e due le cose erano reali.

Gli uomini rannicchiati si fecero piccoli per la paura.

«Vi sono stati assegnati degli incarichi» disse Ba’alzamon. «Alcuni sono stati portati a termine. Altri si sono conclusi in un fallimento.» Di tanto in tanto gli occhi e la bocca svanivano di nuovo nelle fiamme e gli specchi lampeggiavano per il riflesso. «Chi è stato segnato per morire, deve morire. Chi è stato segnato per essere preso, deve inchinarsi a me. Il fallimento in un incarico del Signore delle Tenebre non ammette perdono.» Il fuoco gli risplendette negli occhi e intorno a lui le tenebre turbinarono. «Tu!» Ba’alzamon indicò l’uomo che aveva parlato di Tar Valon, un tizio vestito come un mercante, con abiti di taglio normale ma di ottima stoffa. Gli altri si ritrassero da lui come se avesse la febbre nera e lo lasciarono a farsi piccolo di paura da solo. «Hai lasciato che il ragazzo andasse via da Tar Valon.»

L’uomo urlò e cominciò a tremare come lima sbattuta contro un’incudine. Parve divenire meno solido e le urla si affievolirono con lui.

«Tutti al momento sognate» disse Ba’alzamon. «Ma ciò che avviene in questo sogno è reale.» L’uomo che aveva urlato era un semplice grumo di nebbia con forma umana le cui grida echeggiavano remote; poi anche la nebbia scomparve. «Temo che non si sveglierà più!» rise Ba’alzamon e dalla bocca eruttò fiamme. «Ma voi non fallirete di nuovo. Sparite! Svegliatevi e ubbidite!» Gli altri svanirono.

Per un momento Ba’alzamon restò da solo, poi all’improvviso con lui ci fu una donna, vestita di bianco e d’argento.

Perrin rimase sconvolto. Non avrebbe mai dimenticato una donna così bella: era quella che in sogno l’aveva incitato a cercare la gloria.

Dietro di lei comparve un trono d’argento riccamente ornato; la donna si sedette e si aggiustò con cura le sottane si seta. «Fai libero uso del mio dominio» disse.

«Del tuo dominio?» replicò Ba’alzamon. «Lo ritieni tuo, allora? Non servi più il Sommo Signore delle Tenebre?» Le tenebre intorno a lui s’infittirono per un istante, parvero ribollire.

«Lo servo» disse lei in fretta. «Ho servito a lungo il Signore del Crepuscolo. A lungo, perché lo servivo, sono stata imprigionata in un sonno eterno e privo di sogni. Solo ai Grigi e ai Myrddraal sono negati i sogni. Perfino i Trolloc sognano. I sogni sono sempre stati miei, per usarli e camminarvi. Ora sono di nuovo libera e userò ciò che è mio.»

«Ciò che è tuo» ripeté Ba’alzamon, mentre l’oscurità pareva turbinare allegramente intorno a lui. «Ti sei sempre creduta più importante di quanto tu non sia, Lanfear.»

Il nome colpì Perrin come coltello appena affilato. Nei suoi sogni si era manifestato uno dei Reietti. Moiraine aveva ragione: alcuni di loro erano liberi.

La donna adesso era in piedi e il trono era scomparso. «Pensa per te» replicò Lanfear. «Cos’hanno prodotto, i tuoi piani? Tremila e più anni a bisbigliare all’orecchio e a tirare fili di burattini sul trono, come un’Aes Sedai!» Caricò del massimo disprezzo possibile le ultime due parole. «Tremila anni: eppure Lews Therin cammina ancora nel mondo e le Aes Sedai quasi lo tengono al guinzaglio. Puoi controllarlo? Puoi convertirlo? Era mio, prima ancora che quella bamboccia dai capelli biondi, Ilyena, lo vedesse. Sarà mio di nuovo!»

«Ora servi te stessa, Lanfear?» disse Ba’alzamon, con calma, mentre le fiamme gli ruggivano in continuazione negli occhi e nella bocca. «Hai rinnegato i giuramenti al Sommo Signore delle Tenebre?» Per un istante le ombre quasi lo cancellarono e lasciarono scorgere solo il bagliore delle fiamme. «Non sono così facili da rinnegare come quelli della Luce, quando dichiarasti chi era il tuo nuovo padrone, nella stessa Sala dei Servitori. Il tuo padrone ti rivendica in eterno, Lanfear. Lo servi... o preferisci un’eternità di sofferenza, di morte senza rinascita?»

«Lo servo.» Malgrado le parole, Lanfear aveva un’aria di sfida. «Servo il Sommo Signore delle Tenebre e nessun altro. Per l’eternità!»

L’infinita serie di specchi iniziò a svanire, come coperta da ondate di tenebra sempre più vicine allo spiazzo centrale. La marea nera rotolò sopra Ba’alzamon e Lanfear. Ci fu solo tenebra.

Perrin sentì Hopper muoversi e fu felice di seguirlo, guidato solo dal contatto. Soltanto dopo essersi mosso, si rese conto di potersi muovere. Cercò di dare un senso alla scena appena vista, ma non ci riuscì. Ba’alzamon e Lanfear. Aveva la lingua incollata al palato. Per oscuri motivi era più atterrito da Lanfear che da Ba’alzamon Forse perché lei gli era comparsa nei sogni, fra le montagne E, se non aveva capito male, lei aveva sfidato il Tenebroso. A lui avevano insegnato che l’Ombra non può avere potere su nessuno, se la si rinnega; ma come poteva, un Reietto, sfidare l’Ombra?

Lentamente l’oscurità ridivenne nebbia e a poco a poco la nebbia si assottigliò, finché Perrin non ne uscì, insieme con Hopper, e si ritrovò in un pendio erboso, in piena luce del giorno. Da un folto d’alberi ai piedi dell’altura proveniva il cinguettio d’uccelli Una piana ondulata, punteggiata di boschetti, si estendeva all’orizzonte Non c’era segno di nebbia. Il grosso lupo grigio lo fissava.

"Cos’era?" domandò Perrin, sforzandosi di mutare nella propria mente la domanda in pensieri comprensibili al lupo. “Perché mi hai mostrato quella scena? Cos’era?"

Fu invaso da immagini e da sensazioni che tramutò in parole. “Era ciò che dovevi vedere. Sii prudente, Giovane Toro. Questo posto è pericoloso. Sii cauto come cucciolo a caccia d’un porcospino." L’ultima immagine s’avvicinava maggiormente a “piccolo dorso spinoso", ma Perrin la tradusse nel nome che conosceva come uomo. “Sei troppo giovane, troppo inesperto” trasmise ancora Hopper.

"Era reale?"

"Tutto è reale, ciò che si è visto e ciò che non si è visto." Pareva che Hopper non avrebbe aggiunto altro.

"Hopper, come mai sei qui? Ti ho visto morire. Ti ho sentito morire!"

"Tutti sono qui. Tutti i fratelli e le sorelle esistenti, tutti quelli che furono, tutti quelli che saranno." Perrin sapeva che i lupi non sorridono, non alla maniera degli esseri umani, ma per un attimo ebbe l’impressione che Hopper sogghignasse. “Qui volo in alto come le aquile” soggiunse il lupo. Si raccolse e balzò in aria. Salì sempre più in alto, fino a ridursi a un puntino nel cielo, e trasmise un ultimo pensiero: “Volo in alto".

Perrin rimase a fissarlo a bocca aperta. Hopper ce l’aveva fatta! All’improvviso si sentì bruciare gli occhi, si schiarì la gola e si strofinò il naso. Ancora un poco, e si sarebbe messo a piangere come una ragazzina! Istintivamente si guardò intorno per vedere se qualcuno avesse assistito alla scena e tutto cambiò d’incanto.

Si trovava su di un’altura circondata di avvallamenti ombreggiati e indistinti che parevano svanire in lontananza prima del dovuto. Più in basso c’era Rand, Rand e un cerchio irregolare di Myrddraal e di uomini e di donne che lui pareva non vedere Da qualche parte, in lontananza, dei cani ululavano e Perrin sapeva che davano la caccia a qualcosa. Il lezzo di Myrddraal e il puzzo di zolfo bruciato riempivano l’aria. Perrin si sentì rizzale i capelli.

Il cerchio di Myrddraal e di esseri umani si avvicinò a Rand: tutti camminavano come nel sonno. E Rand cominciò a ucciderli. Palle di fuoco volarono dalle sue mani e ne incenerirono due. Dall’alto cadde il fulmine a bruciarne altri. Barre di luce come di ferro al calor bianco saettarono dai suoi pugni e uccisero. I sopravvissuti continuarono la lenta avanzata, come se nessuno vedesse che cosa accadeva. Morirono uno dopo l’altro, finché non ne rimase nessuno, e Rand si lasciò cadere sulle ginocchia, ansimando. Perrin non capì se ridesse o piangesse: tutt’e due le cose insieme, pareva.