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«Quale onore, Aes Sedai» aveva detto. «Tre Aes Sedai sulla mia nave? Un onore davvero. Vi prometto un viaggio rapido fin dove volete. E nessun fastidio da parte dei briganti cairhienesi. Non faccio più scalo da quel lato del fiume. A meno che voi non lo chiediate, naturalmente. Soldati andorani tengono sotto controllo alcuni paesi sulla riva cairhienese. Un onore, Aes Sedai.»

Aveva di nuovo inarcato le sopracciglia, perché loro avevano chiesto una sola cabina per tutt’e tre... neppure Nynaeve voleva stare da sola di notte, se poteva farne a meno. Ciascuna di loro, aveva risposto il capitano, poteva avere una cabina personale, senza sovrapprezzo: non c’erano altri passeggeri e il carico era a bordo; se le Aes Sedai avevano affari urgenti a valle del fiume, lui non avrebbe aspettato nemmeno un’ora che altri s’imbarcassero. Loro avevano ribadito che una sola cabina sarebbe stata sufficiente.

Il capitano era rimasto sorpreso e dal suo viso era chiaro che non capiva; ma Chin Ellisor, nato e cresciuto a Tar Valon, non era tipo da fare domande alle Aes Sedai, una volta ricevute le istruzioni. E se due di loro parevano giovanissime... be’, esistevano anche Aes Sedai giovani.

Le rovine deserte svanirono alle spalle di Egwene. La colonna di fumo si avvicinò e comparvero anche i primi segni di un altro incendio ancora più lontano dalla riva. La foresta si mutava in colline erbose punteggiate di boschetti. Alberi a fioritura primaverile mostravano minuscoli boccioli, bianchi le torrubie, rosso vivo i bagolari. Un tipo d’albero a lei sconosciuto era coperto di fiori rotondi, bianchi, più granai di una mano. Di tanto in tanto un roseto rampicante metteva pennellate di giallo e di bianco fra i rami verdi di foglie o rossi di gemme. La scena formava un contrasto troppo netto con le ceneri e le macerie, per essere interamente piacevole.

Egwene avrebbe voluto avere in quel momento un’Aes Sedai a cui fare domande. Una di cui potesse fidarsi. Sfiorò con le dita la borsa e sentì appena il contorno dell’anello di pietra, il ter’angreal.

Dalla partenza da Tar Valon, l’aveva provato ogni notte, tranne due; e l’anello non aveva mai reagito allo stesso modo. Certo, ogni volta lei si era trovata nel Tel’aran’rhiod, ma vi aveva visto una sola cosa potenzialmente utile, ancora il Cuore della Pietra, ma senza Silvie. Di sicuro, niente che riguardasse l’Ajah Nera.

I suoi sogni, senza il ter’angreal, erano stati pieni d’immagini che parevano occhiate di sfuggita nel Mondo Invisibile. Rand con in pugno una spada che fiammeggiava come il sole, tanto da renderle difficile vedere che era una spada e distinguere che si trattava di Rand. Rand minacciato in decine di modi, nessuno minimamente reale. In un sogno Rand si trovava sopra un enorme tavoliere di pietra i cui sassolini bianchi e neri erano grossi come macigni ed evitava le mani mostruose che li muovevano e parevano volerlo schiacciare. Forse il sogno aveva un significato. Anzi, molto probabilmente. Ma, a parte il fatto che Rand era minacciato da un’entità, o da due entità, lei non capiva altro. E ora non poteva aiutarlo. Aveva un compito da portare a termine. Non sapeva neppure dove Rand si trovasse: probabilmente era a cinquecento leghe da lì.

Aveva sognato Perrin con un lupo, Perrin con un falco, Perrin con uno sparviero (falco e sparviero combattevano), Perrin che scappava da un’entità micidiale, Perrin che si gettava volontariamente in un baratro dicendo: «Devo farlo. Devo imparare a volare prima di toccare il fondo». Aveva fatto un sogno in cui c’era un Aiel e pensava che anch’esso riguardasse Perrin, ma non ne era certa. E un sogno in cui Min faceva scattare una trappola d’acciaio, entrandoci senza neppure vederla. In altri sogni compariva Mat, anche. Mat con dadi che gli turbinavano intorno (aveva l’impressione di sapere da dove proveniva questo sogno), Mat seguito da un uomo che non era lì (questo ancora non lo capiva: un uomo, o forse più d’uno, seguiva Mat, ma là non c’era nessuno), Mat che cavalcava disperatamente verso qualcosa d’invisibile in lontananza e che doveva raggiungere, Mat con una donna che pareva scagliare tutt’intorno fuochi d’artificio. Un Illuminatore, immaginava lei; ma il sogno non aveva più senso degli altri.

Aveva fatto tanti di quei sogni che cominciava a dubitare di tutti. Forse era dovuto all’uso frequente del ter’angreal o forse al semplice fatto di tenere su di sé l’anello. Forse imparava finalmente che cosa faceva una Sognatrice. Sogni frenetici, sogni sfrenati. Uomini e donne che uscivano da una gabbia e si mettevano la corona. Una donna che manovrava burattini. Un altro sogno in cui i fili dei burattini pendevano dalle mani d’altri burattini più grossi e così via, finché svanivano in altezze inimmaginabili. Sovrani morenti, regine in lacrime, infuriare di battaglie. Manti Bianchi che devastavano i Fiumi Gemelli. Aveva anche sognato di nuovo i Seanchan, più d’una volta. Questi sogni li aveva rinchiusi in un angolino buio, non voleva neppure pensarci. E sognava sua madre e suo padre, ogni notte.

Almeno, era certa del significato di quest’ultimo sogno. “Sono a caccia dell’Ajah Nera” pensò “e non so cosa significano i miei sogni né come fare per costringere quello stupido ter’angreal a comportarsi come dovrebbe e ho paura e... e nostalgia." Per un istante pensò a quanto sarebbe stato bello avere la mamma che la mandava a letto e sapere che al mattino tutto sarebbe andato meglio. “Solo, mia madre non può più risolvere per me i problemi e mio padre non può promettermi di cacciare via i mostri e fare in modo che ci creda. Ora devo farlo da sola."

Com’era lontano nel passato, tutto questo, adesso! Non lo rivoleva, in realtà, ma era stato un bel periodo e pareva trascorso da tantissimo tempo. Sarebbe stato magnifico rivedere i genitori, ascoltare la loro voce. Ma portava al dito l’anello e aveva fatto la scelta giusta.

Alla fine aveva permesso che Nynaeve e Elayne provassero, una notte ciascuna, a dormire con l’anello (si era sorpresa della riluttanza provata a lasciarlo) e le due al risveglio avevano parlato di un mondo che era di sicuro il Tel’aran’rhiod, ma nessuna aveva avuto più d’una fuggevole occhiata del Cuore della Pietra, niente che fosse utile.

Ora la densa colonna di fumo si trovava all’altezza della Gru Azzurra. Forse a cinque, sei miglia dalla riva, si disse Egwene. L’altra colonna era solo una macchia all’orizzonte, poteva quasi passare per una nuvola. Piccoli folti d’alberi crescevano lungo la riva; fra l’uno e l’altro, l’erba arrivava fino all’acqua, tranne nei punti dove una parte di sponda era franata.

Elayne venne sul ponte e le si affiancò alla murata; anche il suo mantello scuro svolazzava al vento. Pure lei indossava abiti di buona lana pesante. I vestiti erano stati l’oggetto di una discussione vinta da Nynaeve. Egwene aveva sostenuto che le Aes Sedai indossavano sempre gli abiti migliori, anche in viaggio (pensava alle vesti di seta che portava nel Tel’aran’rhiod) ma Nynaeve aveva fatto notare che, pur avendo in fondo all’armadio la borsa gonfia di monete d’oro ricevuta dall’Amyrlin, non sapeva quali sarebbero stati i prezzi a valle del fiume. Le cameriere dicevano che Mat aveva ragione sulla guerra civile nel Cairhien e sull’aumento dei prezzi. Con sorpresa di Egwene, Elayne aveva fatto notare che le Sorelle Marrone portavano abiti di lana più spesso che di seta. Elayne era così ansiosa d’allontanarsi dalle cucine, si era detta Egwene, che avrebbe indossato anche stracci.

Ora si domandò come se la cavava Mat. Senza dubbio avrebbe cercato di giocare a dadi con il capitano della nave su cui viaggiava.

«Terribile» mormorò Elayne. «Davvero terribile.»

«Cosa?» domandò distrattamente Egwene. Si augurò che Mat non mostrasse troppo in giro il documento che gli avevano dato.