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«Stanca» mormorò Elayne. «E affamata. Dove siamo? C’erano alcuni uomini armati di fionda...»

Egwene le raccontò rapidamente che cos’era accaduto. Molto prima della fine, Elayne si era scurita in viso.

«E ora» disse Nynaeve, con voce dura come acciaio «mostreremo a questi bastardi cosa significa impicciarsi nei nostri affari.» Intorno a lei brillò di nuovo Saidar.

Elayne si alzò, malferma, ma circondata dal bagliore. Egwene si protese quasi con gioia verso la Vera Fonte.

Quando guardarono di nuovo dalle fessure per sapere esattamente con chi avevano a che fare, nella stanza c’erano tre Myrddraal.

Con l’abbigliamento nero che pendeva immobile in maniera innaturale, erano fermi accanto al tavolo; ognuno, Adden escluso, si era spostato il più lontano possibile e teneva la schiena contro la parete e gli occhi fissi sul pavimento di terra battuta. Dall’altra parte del tavolo rispetto ai Myrddraal, Adden affrontava quelle facce prive d’occhi, ma il sudore gli colava in rivoli sul viso sporco.

Un Fade raccolse dal tavolo un anello. Egwene vide che si trattava di un cerchietto d’oro molto più pesante di quelli col Gran Serpente.

Con il viso premuto contro la fessura fra due tronchi, Nynaeve ansimò piano e si frugò nel collo della veste.

«Tre Aes Sedai» sibilò il Mezzo Uomo, divertito, con un suono simile a cose morte che si riducano in polvere. «E una aveva addosso questo anello.» Lo gettò sul tavolo. Il cerchietto d’oro produsse un tonfo sordo.

«Sono quelle che cerco» gracchiò un altro Myrddraal. «Sarai ben ricompensato, uomo.»

«Dobbiamo prenderli di sorpresa» disse piano Nynaeve. «Che tipo di lucchetto c’è alla porta?»

Egwene lo scorgeva appena: un affare di ferro in una catena tanto grossa da trattenere un toro infuriato. «Sii pronta» disse.

Assottigliò un rivolo di Terra fino a renderlo più sottile d’un capello, augurandosi che i Mezzi Uomini non lo percepissero, e lo intessé nella catena nei suoi più piccoli componenti.

Un Myrddraal alzò la testa. Un altro si sporse sul tavolo, verso Adden. «Sento prurito, uomo» disse. «Sei sicuro che dormano?» Adden deglutì con forza e annuì.

Il terzo Myrddraal si girò a fissare la porta della stanza dove Egwene e le altre due erano acquattate.

La catena cadde a terra, il Myrddraal ringhiò e la porta esterna si spalancò, lasciando entrare dalla notte la morte velata di nero.

La stanza divenne un vulcano di urla e di grida, mentre uomini artigliavano la spada per reagire alle lance Aiel. I Myrddraal sguainarono lame più nere delle proprie vesti e combatterono anch’essi per la propria vita. Egwene una volta aveva assistito a uno scontro fra sei gatti: era la stessa scena, ingrandita cento volte. Eppure nel giro di qualche secondo regnò il silenzio. O quasi.

Ogni essere umano che non avesse sul viso un velo nero giaceva cadavere, trafitto da una lancia; un’altra lancia teneva inchiodato alla parete Adden. Anche due Aiel giacevano immobili nella confusione di mobilio e di cadaveri. I tre Myrddraal erano al centro della stanza, schiena contro schiena, spada in pugno. Uno si stringeva il fianco, come se l’avessero ferito. Un altro aveva un lungo squarcio sul viso livido, ma non sanguinava. Intorno a loro si muovevano, tenendosi acquattati, i cinque Aiel velati ancora vivi. Dall’esterno provennero urla e clangore di ferro, segno che altri Aiel combattevano nella notte, ma nella stanza c’era un altro rumore, meno forte.

Nel girare intorno ai Myrddraal, gli Aiel battevano la lancia contro il piccolo scudo di cuoio. Tum-tum-TUM-tum... tum-tum-TUM-tum... tum-tum-TUM-tum. I Myrddraal seguivano il movimento degli Aiel e parevano incerti, a disagio perché la paura provocata dal loro sguardo pareva non toccare il cuore di questi avversari.

«Danza con me, Uomo Ombra» gridò a un tratto un Aiel, con tono provocatorio. Aveva voce giovanile.

«Danza con me, Senzocchi.» Era un donna.

«Danza con me.»

«Danza con me.»

Nynaeve si raddrizzò. «Penso che sia il momento» disse. Spalancò la porta. Tre donne avvolte nel bagliore di Saidar entrarono nella stanza.

Parve che per i Myrddraal gli Aiel avessero smesso d’esistere. E viceversa. Gli Aiel fissarono da sopra il velo Egwene e le altre due, come se non fossero del tutto sicuri di ciò che vedevano; una delle donne ansimò forte. Lo sguardo dei Myrddraal era diverso, rivelava la consapevolezza della morte. I Fade riconoscevano una donna in contatto con la Vera Fonte, quando la vedevano. Egwene fu sicura di percepire anche un desiderio della sua morte, se la loro stessa morte avrebbe ottenuto la sua, e un desiderio ancora più forte di strapparle l’anima e farne un giocattolo per l’Ombra, un desiderio di...

Era appena entrata nella stanza, eppure aveva l’impressione di sostenere da ore quello sguardo. «Ne ho abbastanza» ringhiò. Scatenò un flusso di Fuoco.

Fiamme eruttarono dai Myrddraal e schizzarono in ogni direzione, mentre i tre urlavano col rumore d’ossa scheggiate che inceppassero un tritacarne. Tuttavia Egwene aveva dimenticato di non essere da sola, aveva dimenticato che Elayne e Nynaeve erano con lei. Mentre le fiamme consumavano i Mezzi Uomini, l’aria stessa parve all’improvviso spingerli uno contro l’altro, schiacciarli in una palla di fuoco e di tenebra che diventava sempre più piccola. Le urla dei Myrddraal straziavano la spina dorsale di Egwene e qualcosa saettò dalle mani di Nynaeve... una sottile barra di luce così bianca da far sembrare scuro il sole di mezzogiorno, una barra di fuoco da far sembrare gelido il metallo fuso, che collegò ai Myrddraal le sue mani. E i Mezzi Uomini cessarono d’esistere, come se non ci fossero mai stati. Nynaeve sobbalzò, sorpresa, e il bagliore intorno a lei svanì.

«Che... che cos’era?» disse Elayne.

Nynaeve scosse la testa, stupita quanto Elayne. «Non lo so... Ero... ero così inferocita, così atterrita per quel che volevano... Non so cosa fosse.»

Fuoco malefico, pensò Egwene. Non sapeva come l’avesse riconosciuto, ma era sicura. Con riluttanza si staccò da Saidar. Non aveva visto niente di ciò che Nynaeve aveva fatto!

Allora gli Aiel abbassarono il velo. Con una certa fretta, notò Egwene, come per dire loro che non intendevano combattere. Tre Aiel erano maschi, uno dei quali abbastanza anziano, a giudicare dal grigio nei capelli rossicci. Erano alti di statura e tutti, giovani e anziani, avevano negli occhi la calma, la sicurezza, la micidiale grazia di movimento che Egwene associava ai Custodi; sulle loro spalle cavalcava la morte: loro lo sapevano e non ne erano spaventati. Una delle donne era Aviendha. All’esterno, urla e grida si affievolivano e svanivano.

Nynaeve si mosse verso gli Aiel caduti.

«È inutile, Aes Sedai» disse l’Aiel più anziano. «Hanno preso acciaio degli Uomini Ombra.»

Nynaeve si chinò ugualmente a controllare ciascuno, scostando il velo per rovesciare loro le palpebre e tastare la gola in cerca di pulsazioni. Quando si rialzò, era bianca in viso: il secondo Aiel era Dailin. «Maledizione! Maledizione!» Non fu chiaro se si riferisse a Dailin o all’uomo dai capelli brizzolati, o a Aviendha o a tutti gli Aiel. «Non l’ho Guarita perché morisse così!»

«La morte viene a noi tutti» cominciò Aviendha; ma quando Nynaeve si girò verso di lei, tacque. Gli Aiel si scambiarono occhiate, incerti se Nynaeve avrebbe fatto loro ciò che aveva fatto ai Myrddraal. Nei loro occhi non c’era paura, soltanto consapevolezza.

«Il ferro degli Uomini Ombra uccide, non ferisce» disse Aviendha. L’Aiel più anziano la guardò con lieve sorpresa (Egwene si disse che, come per Lan, per quell’uomo un battito di palpebre equivaleva all’aperto stupore d’ogni altro) e Aviendha soggiunse: «Di certe cose sanno ben poco, Rhuarc.»

«Ci scusiamo» disse Elayne, con voce chiara «d’avere interrotto la vostra... danza. Forse non dovevamo interferire.»