Il Lugard era molto più lontano di Caemlyn e Mat all’improvviso ricordò il tozzo di pane duro. La donna aveva detto di non avere denaro. I fuochi d’artificio non le avrebbero procurato pasti, finché lei non avesse trovato chi poteva permettersi di acquistarli. Ma non aveva neppure dato un’occhiata alle monete d’oro e d’argento che gli erano cadute di tasca e brillavano fra lo strame. Non poteva lasciarla andare via affamata, si disse. Raccolse in fretta alcune monete.
«Ah... Aludra? Ne ho un mucchio, lo vedi. Pensavo che forse...» Le tese le monete. «Posso sempre vincerne altre.»
Aludra si fermò, col mantello per metà sulle spalle; mentre terminava di coprirsi, sorrise a Thom. «È ancora giovane, eh?» commentò.
«È giovane» convenne Thom. «E cattivo nemmeno la metà di quanto gli piacerebbe credersi. A volte.»
Mat li guardò in cagnesco e abbassò la mano.
Aludra alzò le stanghe e girò il carretto; si diresse alla porta e, nel passare, diede un calcio nelle costole a Tammuz, che gemette, ancora intontito.
«Vorrei sapere una cosa, Aludra» disse Thom. «Come hai fatto, al buio, ad accendere così in fretta la lanterna?»
Lei si fermò e gli sorrise, girando solo la testa. «Vuoi che ti riveli tutti i miei segreti? Sono riconoscente, non innamorata. Questo segreto è ignoto perfino alla Gilda, perché l’ho scoperto io. Ti dirò una cosa: quando scoprirò il modo di farli funzionare senza intoppi e solo quando voglio io, i bastoncini faranno la mia fortuna.» Fece leva sulle stanghe, spinse sotto la pioggia il carretto e fu inghiottita dalla notte.
«Bastoncini?» disse Mat. Si domandò se non fosse un po’ tocca nella testa.
Tammuz gemette di nuovo.
«Meglio imitarla, ragazzo» disse Thom. «Altrimenti saremo costretti a tagliare quattro gole e forse passare i prossimi giorni a dare spiegazioni alle Guardie della Regina. Quelli hanno l’aria di chi da la caccia alla gente solo per ripicca. E di motivi di ripicca nei nostri confronti ne hanno a sufficienza.»
Un compagno di Tammuz si agitò come se stesse per rinvenire e borbottò qualche parola incomprensibile.
Mat e Thom radunarono le proprie cose e sellarono i cavalli; intanto, Tammuz si era alzato carponi e ciondolava la testa; anche gli altri si muovevano e gemevano.
Mat montò in sella e fissò la pioggia che cadeva a dirotto. «Un maledetto eroe» disse. «Thom, se mi vedi di nuovo sul punto di fare l’eroe, prendimi a calci.»
«Cosa avresti fatto, altrimenti?»
Mat lo fissò in cagnesco, si calò il cappuccio e allargò la falda del mantello sopra il rotolo legato dietro l’arcione posteriore. Anche se la tela era cerata, una piccola protezione in più non avrebbe fatto male. «Prendimi a calci e basta!» replicò. Spronò il cavallo e galoppò nella notte e nella pioggia.
41
Giuramento di Cercatore
Mentre l’Oca delle Nevi, con le vele arrotolate e spinta dai remi, si muoveva verso i lunghi moli di pietra di Illian, Perrin, a poppa, guardava i numerosi uccelli dalle lunghe zampe sguazzare fra le alte erbe di palude che quasi circondavano il grande porto. Riconobbe le piccole gru bianche e pensò che alla stessa famiglia appartenessero quelle più grandi, azzurre; ma non conosceva affatto molti uccelli col ciuffo, dal piumaggio rosso o rosato, alcuni con il becco piatto, più largo di quello delle papere. Gabbiani d’una decina di tipi diversi calavano in picchiata e risalivano sopra il porto; un uccello nero dal becco lungo e aguzzo scivolava a pelo d’acqua, scavando un solco, con la parte inferiore del becco. Navi lunghe tre quattro volte l’Oca delle Nevi, ancorate nel porto, aspettavano il proprio turno per accostarsi ai moli oppure il cambio di marea per superare il lungo frangiacqua. Piccole barche da pesca si muovevano nei pressi della palude e nei sinuosi canali che la intersecavano: due o tre uomini per ogni barca tiravano reti appese a lunghi pali e calate su entrambi i lati.
Il vento portava un forte odore di salsedine e non mitigava il gran caldo. Il sole indicava pomeriggio inoltrato, ma il caldo era quello del mezzodì. L’aria era umida. Perrin colse l’odore di pesce fresco, proveniente dalle barche, e il puzzo acre di un grosso spiazzo per la concia situato sopra un isolotto privo d’alberi fra le erbacce della palude.
Alle sue spalle, il capitano Adarra borbottò qualcosa a bassa voce; la barra del timone cigolò e l’Oca delle Nevi modificò la direzione. Gli scalzi marinai ai remi si muovevano come se non volessero fare il minimo rumore.
Perrin scrutò la conceria e guardò gli addetti grattare le pelli distese su file d’intelaiature di legno, mentre altri prendevano con l’aiuto di lunghi bastoni quelle a bagno in enormi vasche interrate. A volte impilavano su carriole le pelli e le trasportavano nei lungo e basso edificio ai limitare dello spiazzo; a volte le rimettevano nelle vasche, con l’aggiunta di liquidi versati da grosse giare di pietra. Probabilmente producevano in un giorno più cuoio di quanto se ne facesse a Emond’s Field in un mese; sopra un altro isolotto più lontano si scorgeva un’altra conceria.
Non che Perrin s’interessasse molto alle navi o alle barche da pesca o alle concerie o agli insoliti uccelli (anche se si domandava cosa pescassero quelli dal piumaggio rosato, con quel loro becco piatto, e anche se si diceva che alcuni parevano buoni da mangiare, se non si controllava) ma preferiva guardare qualsiasi cosa, anziché la scena alle sue spalle, sul ponte dell’Oca delle Nevi. L’ascia che portava alla cintola non era una difesa, contro quella scena. E neppure un muro di pietra sarebbe stato difesa sufficiente.
Moiraine non aveva manifestato piacere né dispiacere, scoprendo che Zarine (lui non l’avrebbe chiamata Faile, pensò Perrin, qualsiasi cosa dicesse: non era un falco!) sapeva che lei era Aes Sedai, ma forse era rimasta un po’ turbata perché lui glielo aveva taciuto. Be’, non molto turbata: l’aveva chiamato sciocco, ecco tutto. Moiraine pareva indifferente al fatto che Zarine fosse un Cercatore del Corno. Ma, una volta saputo che la ragazza era convinta che loro l’avrebbero guidata al Corno di Valere, una volta saputo che Perrin le aveva taciuto anche questo particolare (Zarine era stata fin troppo pronta a parlarne con Moiraine, secondo Perrin) gli aveva rivolto uno sguardo che l’aveva fatto sentire come se l’avessero infilato in una botte di neve in pieno inverno. L’Aes Sedai non aveva detto niente, ma lo fissava troppo spesso e con troppa durezza, perché lui si sentisse a proprio agio.
Si guardò alle spalle e riprese subito a studiare la riva. Zarine, seduta a gambe incrociate sul ponte, accanto ai cavalli impastoiati, con a fianco il fagotto e il mantello e con le sottane in bell’ordine, fingeva di guardare i tetti e le torri della città sempre più vicina. Anche Moiraine, appena più in là dei rematori, guardava Illian; ma di tanto in tanto dava un’occhiataccia alla ragazza, da sotto il cappuccio dell’elegante mantello di lana grigia. Come faceva, si domandò Perrin, a sopportare quel mantello così pesante? Lui si era sbottonato la giubba e il collo della camicia.
A ogni occhiata Zarine rispondeva con un sorriso; però, appena Moiraine girava la testa, deglutiva e si asciugava la fronte.
Perrin l’ammirava per come riusciva a sorridere, quando Moiraine la guardava: lui non ci sarebbe certo riuscito. Non aveva mai visto l’Aes Sedai perdere davvero la calma, ma avrebbe preferito che gridasse o che s’infuriasse... qualsiasi cosa, anziché quegli sguardi fissi. No, non proprio qualsiasi cosa. Forse quegli sguardi erano sopportabili.