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Zarine girò a disagio la testa, guardò con un occhio solo Moiraine. «Posso venire con voi, se giuro?» domandò. L’Aes Sedai annuì. «Sarò una di voi, come Loial o Faccia di Pietra. Ma non devo fare domande. Loro hanno il permesso di farne?» Moiraine si mostrò irritata. Zarine drizzò le spalle e alzò la testa. «Benissimo. Lo giuro, sul giuramento fatto come Cercatore. Se manco a uno, manco a tutt’e due. Lo giuro!»

«Fatto» disse Moiraine, toccandole la fronte. Zarine rabbrividì. «Perrin, poiché l’hai condotta a noi, sarai responsabile di lei.»

«Io?» protestò Perrin.

«Sono l’unica responsabile di me stessa!» quasi gridò Zarine. Moiraine proseguì con calma, come se non avessero aperto bocca. «Si direbbe che tu abbia trovato il falco di Min, ta’veren. Ho cercato di dissuaderla; ma a quanto pare, qualsiasi cosa faccia, se ne starà appollaiata sulla tua spalla. Il Disegno intesse un futuro per te, si direbbe. Tuttavia, ricorda una cosa: se sarà necessario, staccherò dal Disegno il tuo filo. Se la ragazza mette in pericolo ciò che dev’essere fatto, condividerai la sua sorte.»

«Non le ho chiesto io di seguirci!» protestò Perrin. Con calma, Moiraine montò in arcione e si aggiustò il mantello. «Non l’ho voluta io!» protestò ancora Perrin. Loial gli rivolse una scrollata di spalle e disse qualcosa, muovendo solo le labbra. Senza dubbio un proverbio sui pericoli di far arrabbiare le Aes Sedai.

«Sei ta’veren?» disse Zarine, incredula. Guardò i grossolani vestiti da contadino e si soffermò sugli occhi gialli. «Be’, forse. In ogni caso, ti minaccia con la stessa facilità con cui minaccia me. Chi è Min? Cosa intende, dicendo che ti starò appollaiata sulla spalla?» Indurì l’espressione. «Se ti provi a badare a me, ti stacco le orecchie. Capito?»

Con una smorfia Perrin infilò l’arco sotto le cinghie della sella e montò in groppa a Stepper. Irrequieto, dopo tanti giorni di nave, il grigio iniziò a scalpitare, rendendo onore al nome, finché Perrin non lo calmò con una pacca sul collo e con la ferma pressione sulle redini.

«Nessuna di queste domande merita risposta» brontolò. Min ne aveva parlato a Moiraine! Imprecò tra sé contro Min, contro Moiraine, contro Zarine. Non ricordava d’avere mai visto Rand o Mat subire le prepotenze delle donne. Neanche lui le aveva subite, prima di lasciare Emond’s Field. Nynaeve era stata l’unica. E comare Luhhan, ovviamente: lei faceva filare Perrin e mastro Luhhan, dovunque, tranne che nella fucina. Ed Egwene aveva il suo modo di fare, ma soprattutto con Rand. Comare al’Vere, la madre di Egwene, aveva sempre un sorriso, ma alla fine le cose andavano sempre come voleva lei. E la Cerchia delle Donne teneva tutti sott’occhio.

Brontolando, afferrò per il braccio Zarine; lei strillò e lasciò quasi cadere il fagotto, mentre Perrin l’alzava di peso e la depositava in sella, dietro di sé. Le sottane divise le rendevano facile stare in arcione.

«Moiraine dovrà comprarti un cavallo» brontolò Perrin. «Non puoi fare a piedi tutta la strada.»

«Sei forte, fabbro» disse Zarine, massaggiandosi il braccio «ma io non sono un pezzo di ferro.» Si spostò per mettere fra sé e Perrin il fagotto e il mantello. «Se mi serve un cavallo, posso comprarmelo da sola. Tutta la strada fin dove?»

Lan aveva già lasciato il molo ed entrava in città, seguito da presso da Moiraine e da Loial. L’Ogier girò la testa a guardare Perrin.

«Niente domande, ricordi?» rispose Perrin. «E mi chiamo Perrin, Zarine. Non “contadino", “fabbro” o altro. Perrin. Perrin Aybara.»

«E io mi chiamo Faile, Testariccia.»

Con un verso assai simile a un ringhio, Perrin spinse Stepper sulle tracce degli altri. Zarine fu costretta ad aggrapparsi a lui, per non cadere dal posteriore del cavallo. Perrin pensò che ridesse.

42

Il Tasso Alleggerito

Le voci della città sommersero rapidamente la risata di Zarine, se di risata si trattava, nel chiasso che Perrin aveva già sentito a Caemlyn e a Cairhien. Qui i rumori erano più lenti e di tonalità diversa, ma sempre della stessa origine: stivali e ruote e zoccoli su pietre ruvide e irregolari, cigolio d’assali di carri e di carretti, musica e canti e risate provenienti dalle locande e dalle taverne. Voci. Un ronzio di voci, come di gigantesco alveare. Una grande città, piena di vita.

Dal fondo di una traversa Perrin udì provenire il clangore di martello contro incudine; senza accorgersene, mosse le spalle nei gesti da fabbro. Sentiva la mancanza del maglio e delle lunghe pinze, del metallo incandescente che sprizzava scintille mentre i colpi lo sagomavano. Il rumore di fucina rimase indietro e svanì, sepolto sotto il rintronare di carri e di carretti, il vociare di bottegai e di passanti. Sotto gli odori di persone e di cavalli, di cucina e di forno e di cento altre cose peculiari d’ogni città, c’era quello di palude e di salsedine.

Quando giunsero per la prima volta a un ponte all’interno della città — una bassa arcata di pietra sopra un canale non più largo di trenta passi — Perrin rimase sorpreso; ma al terzo ponte capì che Illian era intersecata da tanti canali quante vie: la gente spingeva con la pertica le chiatte cariche, con altrettanta frequenza con cui usava la frusta per far avanzare pesanti carri. Tra la folla passavano portantine e di tanto in tanto una carrozza laccata, d’un ricco mercante o d’un nobile, con l’emblema della Casa dipinto in grande sugli sportelli. Molti portavano la barba, in un’insolita foggia che lasciava scoperto il labbro superiore; le donne parevano preferire cappelli ad ampia tesa con attaccate sciarpe da annodare al collo.

Una volta attraversarono una vasta piazza, lunga e larga diverse centinaia di passi, circondata da enormi colonne di marmo bianco alte almeno quindici braccia e spesse due, che sostenevano soltanto serti d’olivo scolpiti nel marmo in cima a ogni colonna. Due enormi palazzi bianchi sorgevano alle estremità della piazza, uno per parte, composti di colonnati e di alte balconate, di snelle torri e di tetti violacei. A prima vista, ciascuno era l’immagine dell’altro; ma Perrin si accorse che uno era un po’ più piccolo in ogni dimensione e aveva torri un po’ meno alte.

«Il Palazzo Reale» disse Zarine, contro la schiena di Perrin «e la Grande Sala del Consiglio. Si dice che il primo re di Illian concedesse al Consiglio dei Nove qualsiasi palazzo volesse, purché non fosse più grande del proprio. Così il Consiglio copiò esattamente il Palazzo Reale, ma lo tenne di due piedi più corto in ogni misura. Da allora questo è sempre stato il modo di vita di Illian. Il re e il Consiglio dei Nove litigano fra loro e l’Assemblea con tutt’e due; nel frattempo il popolo vive come preferisce, senza che nessuno stia molto attento a cosa accade. Non è una brutta vita, se devi stare legato a una stessa città. T’interesserà sapere anche, fabbro, che questa è piazza Tammuz, dove ho pronunciato il Giuramento di Cercatore. Finirò per insegnarti tante di quelle cose che nessuno si accorgerà dei fili di paglia che hai nei capelli.»

Con uno sforzo Perrin tenne a freno la lingua e si ripromise di smetterla di fissare a bocca aperta ogni cosa.

Pareva che nessuno considerasse Loial uno spettacolo fuori del comune. Qualcuno gli dava una seconda occhiata e dei bambini seguirono per un poco il gruppetto, ma pareva proprio che a Illian gli Ogier non fossero sconosciuti. Inoltre, nessuno pareva fare caso al caldo e all’umidità.

Una volta tanto, Loial non parve compiaciuto per l’accoglienza della gente. Abbassò le sopracciglia e piegò le orecchie; ma Perrin non fu sicuro che la reazione non fosse dovuta semplicemente all’aria afosa. Lui aveva la camicia appiccicata alla pelle, per il sudore e per l’umidità.