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«Loial, pensi di trovare qui altri Ogier?» gli domandò. Sentì il movimento di Zarine e maledisse la propria lingua lunga. Voleva che la ragazza venisse a sapere anche meno di quanto Moiraine intendeva dirle. Così, forse, si sarebbe annoiata tanto da andarsene. Se Moiraine l’avrebbe lasciata andare via, ora. Maledizione, lui non voleva falchi appollaiati sulla spalla, per quanto graziosi.

Loial annuì. «I nostri costruttori a volte vengono qui» disse, in un bisbiglio appena percettibile anche per Perrin. «Da Stedding Shangtai, voglio dire. Sono stati costruttori del nostro stedding a edificare una parte di Illian... il Palazzo dell’Assemblea, la Grande Sala del Consiglio, alcuni altri edifici. Ci chiamano sempre, quando occorrono riparazioni. Perrin, se qui ci sono degli Ogier, mi costringeranno a tornare allo stedding. Dovevo pensarci prima. Questa città mi mette a disagio.» Mosse nervosamente le orecchie.

Perrin gli si avvicinò e gli diede un colpetto sulla spalla. Dovette allungare la mano fin sopra la testa, per riuscirci. Consapevole della presenza di Zarine, scelse con cura le parole. «Loial, non credo che Moiraine ti lascerà portare via. Sei stato con noi troppo tempo e si direbbe che lei voglia la tua presenza. Non ti lascerà andare via.» “Perché no?" si domandò a un tratto. “Mi tiene perché pensa che forse sono importante per Rand e perché non vuole che racconti a nessuno quel che so. Forse proprio per questo vuole che Loia) rimanga."

«Non lo permetterebbe, naturalmente» disse Loial, con voce appena appena più alta; drizzò le orecchie. «Sono molto utile, in fin dei conti. Potrebbe avere bisogno di percorrere di nuovo le Vie: le sarebbe impossibile, senza di me.» Zarine cambiò posizione contro la schiena di Perrin, che scosse la testa e cercò d’incrociare lo sguardo di Loial. Ma l’Ogier non guardava dalla sua parte. Pareva essersi reso conto solo in quel momento di ciò che aveva appena detto e abbassò un poco le orecchie. «Mi auguro che non si tratti solo di questo, Perrin» soggiunse. Si guardò intorno e abbassò del tutto le orecchie. «Questo posto non mi piace.»

Moiraine si avvicinò a Lan e gli parlò sottovoce, ma Perrin riuscì a udire. «In città c’è qualcosa che non quadra.» Il Custode annuì.

Perrin sentì un prurito fra le scapole. Moiraine aveva usato un tono sinistro. Prima Loial, poi l’Aes Sedai. Gli sfuggiva qualcosa? Il sole splendeva sulle tegole, traeva riflessi dai muri di pietra. Gli edifici davano l’impressione d’essere freschi, all’interno. Erano chiari e puliti, come la gente. La gente.

Sulle prime non vide niente di straordinario: uomini e donne pensavano ai propri affari, ma si muovevano con lentezza maggiore di quanto non si usasse a settentrione, forse a causa del caldo e del sole cocente. Poi notò un garzone di fornaio che trotterellava per la via, reggendo in equilibrio sulla testa un grosso vassoio di pagnotte fresche: aveva in viso una smorfia che era quasi un ringhio. La donna davanti alla bottega di tessitore pareva sul, punto di mordere l’uomo che le mostrava alcune pezze di stoffa dai colori brillanti. Sul cantone, un giocoliere digrignava i denti e fissava quasi con odio la gente che gli gettava nel berretto qualche moneta. Non tutti avevano questa espressione, ma pareva che almeno una faccia su cinque fosse rabbiosa e piena d’odio. E secondo lui non se ne accorgevano nemmeno.

«Cosa c’è?» domandò Zarine. «Ti sei irrigidito. Mi pare di reggermi a un sasso.»

«Qualcosa non quadra» rispose Perrin. «Non so cosa.»

Loial annuì mestamente e si lamentò che l’avrebbero costretto a tornare a casa.

Mentre attraversavano altri ponti e si dirigevano alla parte opposta della città, gli edifici cominciarono a cambiare. Ora i muri erano anche di pietra grezza, non solo levigata. Torri e palazzi lasciarono posto a locande e magazzini. Per le vie, molti uomini e parecchie donne avevano una bizzarra andatura dondolante e camminavano scalzi, come i marinai. L’odore di pece e di canapa era intenso, come quello di legno, sia tagliato da poco sia stagionato, misto al puzzo di fanghiglia. Anche gli odori dei canali erano cambiati e facevano arricciare il naso. “Vasi da notte” pensò Perrin. “Vasi da notte e latrine." Gli veniva la nausea.

«Il Ponte dei Fiori» annunciò Lan, mentre attraversavano l’ennesimo, basso ponte. Inspirò a fondo. «Ora siamo nel Quartiere Odoroso. Gli illianesi sono un popolo poetico.»

Zarine soffocò una risata.

Come se a un tratto fosse impaziente per i lenti ritmi di Illian, il Custode li guidò rapidamente a una locanda, due piani di pietra scabra, venata di verde, col tetto di tegole verde chiaro. Scendeva la sera e la luce si affievoliva. Il tramonto del sole dava un certo sollievo, ma il caldo era sempre notevole. Dei ragazzi seduti sui gradini davanti alla locanda balzarono in piedi per prendere i cavalli. Un bambino dai capelli neri, sui dieci anni, domandò a Loial se era un Ogier; alla risposta affermativa, commentò: «Ne ero sicuro» con aria soddisfatta. Condusse via il cavallo di Loial, lanciando in aria la moneta avuta dall’Ogier e riprendendola al volo.

Per un attimo, prima di seguire gli altri all’interno, Perrin guardò, perplesso, l’insegna della locanda. Un tasso a strisce bianche, ritto sulle zampe posteriori, ballava con un uomo che reggeva una sorta di pala d’argento. Il Tasso Alleggerito, si chiamava la locanda. Doveva trattarsi di una storia che lui non aveva mai udito.

La sala comune aveva il pavimento coperto di segatura ed era piena di fumo di tabacco. Puzzava anche di vino e di pesce fritto e mandava un intenso profumo di fiori. Le travi a vista del soffitto erano rozzamente squadrate e annerite dal tempo. A quell’ora solo un quarto degli sgabelli e delle panche era occupato da uomini in comuni abiti da lavoro, alcuni scalzi come i marinai. Tutti sedevano il più vicino possibile al tavolo su cui una graziosa ragazza dagli occhi scuri cantava al suono d’una tarabusa a dodici corde e danzava con svolazzi di sottane. L’ampia camicetta era molto scollata. Perrin riconobbe il motivo, “La ballerina"; ma le parole della canzone erano diverse da quelle che conosceva.

Una ragazza del Lugard venne in città per vedere tutto ciò che poteva. Con un batter di ciglia e un sorriso agganciò un ragazzo o tre, o tre. Con le snelle caviglie e la morbida pelle catturò il padrone d’una nave, d’una nave. Con un debole sospiro e una gaia risatina visse in piena libertà, in libertà.

La ragazza si lanciò in un’altra strofa; quando Perrin si rese conto del significato, divenne tutto rosso. Credeva che niente l’avrebbe sconvolto, dopo aver visto danzare le ragazze dei Calderai; ma quelle facevano solo accenni velati, questa invece cantava senza peli sulla lingua.

Zarine muoveva la testa a tempo con la musica e sorrideva. Guardò Perrin e rise apertamente. «Cosa c’è, contadino? Non credo d’avere mai visto un uomo della tua età ancora capace d’arrossire.»

Perrin le diede un’occhiataccia e si trattenne appena in tempo dal replicare con una frase che, lo sapeva, sarebbe suonata sciocca. Quella maledetta lo faceva trasalire prima di dargli il tempo di riflettere. Di sicuro era convinta che lui non avesse mai baciato una ragazza! Cercò di non ascoltare le parole della canzone. Se non si fosse tolto il rossore di faccia, Zarine di sicuro l’avrebbe fatto aumentare.

Al loro ingresso, un lampo di sorpresa era passato sul viso della proprietaria: una donnona tonda, con i capelli raccolti in una grossa crocchia alla base della nuca e un forte odore di sapone tutt’intorno; la donna cancellò subito la sorpresa e si avvicinò rapidamente a Moiraine.

«Lady Mari!» salutò. «Non avrei mai pensato di vederti qui oggi.» Esitò, guardando Perrin e Zarine; diede una sola occhiata a Loial, ma non lo squadrò come aveva fatto con gli altri due. A dire il vero, s’illuminò alla vista dell’Ogier, ma la sua attenzione era tutta per lady Mari. Abbassò la voce. «I miei piccioni non sono arrivati?» domandò. Pareva accettare Lan come parte di Moiraine.