Avrebbe tirato da trecento passi, decise. Che idea sciocca! A questa distanza, avrebbe avuto le sue brave difficoltà a colpire un bersaglio fermo. Ma se avesse aspettato, vista la loro velocità... Si mise accanto a Moiraine, alzò l’arco, portò alla guancia l’impennatura e scagliò la freccia. Era sicuro che la freccia si era confusa con la sagoma più vicina, ma l’unico risultato fu un ringhio. Non avrebbe funzionato: arrivavano troppo velocemente! Aveva già teso l’arco. Ma perché Moiraine non faceva qualcosa? Scorgeva gli occhi dei Segugi, lucidi come argento, e le zanne che risplendevano come acciaio brunito. Neri come la notte stessa e grossi come un piccolo pony, i Segugi correvano verso di lui, in silenzio, pronti a uccidere. Il vento portava un puzzo di zolfo bruciato: i cavalli, anche il morello di Lan, nitrirono, atterriti. “Maledizione, Aes Sedai, fai qualcosa!" pensò Perrin. Scagliò la seconda freccia; il primo Segugio incespicò e continuò ad avanzare. Non sono immortali! Scagliò un’altra freccia: il primo Segugio ruzzolò, si rialzò barcollando, ricadde. Eppure Perrin provò un attimo di disperazione: uno era caduto, ma gli altri nove avevano già superato due terzi della distanza e parevano correre più velocemente, come ombre che scivolassero sul terreno. “Ancora una freccia” pensò Perrin. “Ho il tempo per una, forse. Poi tocca all’ascia. Maledizione, Aes Sedai!" Tese l’arco.
«Ora» disse Moiraine, mentre la freccia partiva. L’aria fra le sue mani prese fuoco e saettò verso i Segugi Neri, squarciando la notte. I cavalli nitrirono e s’impennarono per liberarsi.
Col braccio Perrin si protesse gli occhi dal bagliore e dal calore degno d’una forgia spalancata. Nella notte fiorì all’improvviso la luminosità del mezzogiorno e subito svanì. Perrin riaprì gli occhi: vedeva tremolare puntini luminosi e l’immagine residua di quella saetta di fuoco. Dove si erano trovati i Segugi Neri, rimanevano soltanto terreno oscurato dalla notte e pioggerella; le uniche ombre in movimento erano gettate dalle nubi che passavano davanti alla luna.
Perrin aveva immaginato che Moiraine scagliasse contro i Segugi fuoco o fulmini, non quella... «Cos’era?» domandò, con voce rauca.
Moiraine scrutava di nuovo dalla parte di Illian, come se potesse vedere al di là delle miglia di tenebra. «Forse lui non ha visto» disse, quasi tra sé. «Considerata la distanza, se non guardava da questa parte, forse non ha notato niente.»
«Chi?» domandò Zarine, con voce scossa. «Sammael? Hai detto che era a Illian. Come può vederci? Cos’hai fatto?»
«Una cosa proibita» rispose Moiraine, gelida. «Proibita da voti forti quasi quanto i Tre Giuramenti.» Prese dalle mani della ragazza le redini di Aldieb e accarezzò il collo della giumenta, per calmarla. «Una cosa mai più usata da quasi duemila anni. Potrebbero quietarmi solo perché ne sono a conoscenza.»
«E se... e se ce ne andassimo?» disse Loial, con voce debole. «Potrebbero essercene altri.»
«Non credo» replicò Moiraine, montando in sella. «Anche se li avesse avuti, non avrebbe sguinzagliato due branchi insieme: si sarebbero lanciati l’uno contro l’altro, anziché sulla preda. E non credo che siamo noi la sua preda principale, altrimenti sarebbe venuto di persona. Siamo... una seccatura, credo.» Lo disse in tono calmo, ma era chiaro che non le piaceva che la tenessero in così poco conto. «E forse un extra da mettere in carniere senza troppo scomodarsi. Però è meglio non rimanergli vicino più del necessario.»
«Rand?» domandò Perrin. Quasi sentì Zarine sporgersi per udire meglio. «Se non siamo noi, la preda è Rand?»
«Forse» rispose Moiraine. «O forse Mat. Anche lui è ta’veren. E ha suonato il Corno di Valere.»
Zarine parve strozzarsi. «Ha suonato? Hanno già trovato il Corno di Valere?»
Moiraine non le badò; si sporse dalla sella per guardare negli occhi Perrin. «Ancora una volta gli eventi mi lasciano indietro» disse. «Non mi piace. E non dovrebbe piacere neppure a te. Se gli eventi mi precedono, potrebbero anche calpestarti e calpestare insieme con te il resto del mondo.»
«Mancano ancora molte leghe per arrivare a Tear» disse Lan. «Il suggerimento dell’Ogier è saggio.» Era già in sella.
Moiraine si raddrizzò e diede di tallone. Era già a metà della discesa, prima che Perrin staccasse la corda dell’arco e prendesse da Loial le redini di Stepper. Maledizione a Moiraine! Avrebbe trovato da qualche parte le risposte!
Appoggiato a un tronco caduto, Mat si godeva il calore del fuoco da campo (da tre giorni la pioggia si era spostata verso meridione, ma lui si sentiva ancora umido) eppure al momento quasi non s’accorgeva delle fiamme danzanti. Teneva in mano un cilindretto coperto di cera e lo esaminava pensierosamente. Thom era impegnato ad accordare l’arpa; borbottava tra sé di pioggia e di umidità, senza guardare dalla parte di Mat. Nel folto d’alberi, i grilli cantavano. Colti dal tramonto a metà strada fra due villaggi, avevano scelto quel boschetto a una certa distanza dalla carreggiata. Due notti avevano provato ad affittare una stanza; due volte un contadino aveva scatenato contro di loro i suoi cani.
Mat tolse dalla cintura il coltello ed esitò. “Fortuna” pensò. “Non sempre esplodono, ha detto. Ci vuole fortuna." Con la massima cautela praticò un taglio lungo il cilindretto. Come pensava, era davvero un tubo di carta, in vari strati (al paese aveva trovato per terra pezzetti di carta, dopo l’esplosione dei fuochi d’artificio) ma pareva pieno di terriccio o di ghiaietta grigia mista a terriccio. Ne mise un pizzico sul palmo e smosse i granelli. Com’era possibile che i sassolini esplodessero?
«La Luce m’incenerisca!» sbottò Thom. Infilò nell’astuccio l’arpa, come per proteggerla dalla roba in mano a Mat. «Vuoi uccidere tutt’e due, ragazzo? Non hai sentito che esplodono anche a contatto dell’aria? I fuochi d’artificio sono la cosa più vicina al lavoro delle Aes Sedai, ragazzo.»
«Può darsi» replicò Mat. «Però Aludra non m’è sembrata un’Aes Sedai. Pensavo la stessa cosa dell’orologio di mastro al’Vere... cioè, che era opera delle Aes Sedai... ma poi ho aperto la parte posteriore e ho visto che era pieno di pezzettini metallici.» Al ricordo, provò un certo disagio: quella volta, comare al’Vere era stata la prima ad agguantarlo, precedendo di poco la Sapiente, suo padre e il Sindaco; ma nessuno aveva creduto che lui volesse soltanto dare un’occhiata. Se l’avessero lasciato fare, avrebbe rimesso a posto tutti i pezzetti. «Perrin avrebbe potuto fabbricarne uno, se avesse visto le rotelline e le piccole molle e non so cos’altro.»
«Saresti rimasto sorpreso, ragazzo» disse Thom, ironico. «Anche un cattivo fabbricante d’orologi è notevolmente ricco: gli orologiai si sudano quel che guadagnano. Ma un orologio non ti esplode in faccia!»
«Nemmeno questo. Be’, ormai è rovinato.» Gettò nel fuoco la manciata di carta e di ghiaietta, provocando lo strillo di Thom: i sassolini mandarono scintille, piccoli lampi, fumo e un puzzo acre.
«Cerchi davvero di ucciderci!» sbottò Thom, scosso, continuando ad alzare la voce. «Se ho voglia di morire, appena a Caemlyn andrò al Palazzo Reale e darò un pizzicotto a Morgase!» Agitò i baffi. «Non farlo mai più!»
«Non è esploso» disse Mat, perplesso, guardando il fuoco. Prese dal rotolo di tela cerata un tubo più grosso del precedente. «Chissà perché non c’è stato il botto.»
«Me ne frego se non c’è stato! Non riprovarci!»
Mat lo guardò e si mise a ridere. «Smettila di tremare, Thom. Niente paura, ora so cosa contengono. Almeno, so quale aspetto ha il contenuto, ma... Sì, ho capito, non ne apro altri. E poi, è più divertente farli esplodere.»