La strada portava a una porta ad arco, alta venti piedi, spalancata e sorvegliata da Guardie della Regina, in giubba rossa e pettorale scintillante; le guardie diedero a Thom e a Mat la stessa occhiata che davano agli altri e non badarono neppure al bastone ferrato posto di traverso sulla sella di Mat: parevano preoccuparsi soltanto che il traffico scorresse senza intoppi. Mat e Thom varcarono la porta. Snelle torri si alzavano anche più in alto di quelle di guardia e le cupole mandavano riflessi bianchi e dorati sopra le vie formicolanti di gente. Appena all’interno delle mura, la strada si divideva in due vie parallele separate da un’ampia striscia erbosa e alberata. Le colline formavano una sorta di scalinata verso il cocuzzolo circondato da mura d’un bianco scintillante come quelle di Tar Valon, che racchiudevano altre cupole e torri. Si trattava della Città Interna, ricordò Mat: in cima al cocuzzolo sorgeva il Palazzo Reale.
«Inutile aspettare» disse a Thom. «Consegno subito la lettera.» Guardò le portantine e le carrozze che fendevano la folla, le botteghe che esponevano mercanzie. «Si può guadagnare dell’oro, Thom, in questa città; basta trovare dove si gioca a dadi o a carte.» Con queste ultime aveva meno fortuna che con i dadi, però pochi, a parte i nobili e i ricchi, vi giocavano.
Thom sbadigliò e si strinse nel manto da menestrello come se fosse una coperta. «Abbiamo cavalcato tutta la notte, ragazzo» rispose. «Prima, almeno, troviamo qualcosa da mangiare. Alla Benedizione della Regina si mangia bene.» Sbadigliò di nuovo. «E si dorme bene.»
«Mi ricordo» disse lentamente Mat. In un certo modo, era vero. Ricordava il nome del grasso e brizzolato locandiere, mastro Gill. Proprio in quella locanda Moiraine aveva raggiunto Rand e Mat stesso, quando Mat pensava che finalmente si erano liberati di lei. Ma ora Moiraine era lontano a giocare il suo gioco con Rand, non aveva niente a che fare con lui. Non più. «Passerò da lì, Thom» soggiunse. «Ho detto che mi sarei liberato della lettera entro un’ora dall’arrivo in città e sono deciso a farlo. Tu vai avanti.»
Thom annuì e cambiò direzione; sbadigliando ancora, girò la testa. «Non perderti, ragazzo» disse a mo’ di saluto. «Caemlyn è una città grande.»
"È ricca” pensò Mat, spingendo il cavallo nella via affollata. “Figuriamoci se mi perdo! So trovare benissimo la maledetta strada!" A quanto pareva, la malattia gli aveva cancellato una parte di ricordi. A volte vedeva una locanda, con i piani superiori che sporgevano rispetto a quello inferiore e l’insegna che cigolava alla brezza, e la ricordava, ma non ricordava altre cose visibili da quel punto. Cento passi di strada gli tornavano all’improvviso alla memoria, mentre i tratti precedente e seguente restavano per lui misteriosi come dadi ancora nel bussolotto.
Anche con quei buchi nella memoria, era sicuro di non essere mai stato nella Città Interna e neppure nel Palazzo Reale (quello non l’avrebbe proprio dimenticato!) però non aveva bisogno di ricordare la strada. Le vie della Città Nuova (ricordò a un tratto questo nome: si riferiva alla parte di Caemlyn che aveva meno di duemila anni) andavano in tutte le direzioni, ma i viali principali conducevano tutti alla Città Interna. Le guardie alla porta non fermavano nessuno.
All’interno delle mura c’erano edifici che non avrebbero sfigurato a Tar Valon. Le vie curve risalivano alture e rivelavano snelle torri i cui muri a piastrelle scintillavano di cento colori o giardini disposti secondo disegni visibili dall’alto o vedute di pianure ondulate e foreste al di là della città. In pratica non importava quale via avrebbe preso: tutte portavano a spirale verso la sua meta, il Palazzo Reale dell’Andor.
In breve Mat si ritrovò ad attraversare la smisurata piazza ovale antistante il Palazzo, diretto alle alte porte dorate. Il candido Palazzo dell’Andor, con le snelle torri e le scintillanti cupole dorate, le alte logge e gli intricati bassorilievi, non sarebbe stato di certo fuori posto fra le meraviglie di Tar Valon. Il foglio d’oro che rivestiva una sola cupola, si disse Mat, gli avrebbe consentito di vivere nel lusso per un anno intero.
Nella piazza la folla era meno numerosa, come se quella zona fosse riservata alle grandi occasioni. Una decina di Guardie stava di sentinella alle porte: i soldati tenevano l’arco inclinato contro la piastra pettorale e avevano il viso nascosto dalle sbarre d’acciaio della visiera dell’elmo brunito. Un ufficiale tracagnotto, con il mantello rosso scostato per mettere in mostra il nodo di treccia d’oro sulla spalla, andava su e giù lungo la fila e scrutava ogni soldato come se pensasse di scoprire ruggine o polvere.
Mat fermò il cavallo e sfoggiò un sorriso. «Buon giorno a te, capitano» disse.
L’ufficiale si girò, lo fissò da sotto la visiera, con occhi infossati, piccoli e lucenti: pareva un grasso topo in gabbia. Era più anziano di quanto Mat non s’aspettasse (di sicuro tanto anziano da meritare qualche nodo in più sulla spallina) e grasso, più che robusto. «Cosa vuoi, contadino?» domandò l’ufficiale, con voce aspra.
Mat inspirò a fondo. “Far colpo” si disse. “Impressiona questo stupido, così non mi farà aspettare tutto il giorno. Non voglio ricorrere al documento dell’Amyrlin per evitare che mi prendano a calci." «Vengo da Tar Valon» rispose. «Dalla Torre Bianca. Porto una lettera...»
«Tu vieni da Tar Valon, contadino?» L’ufficiale scoppiò a ridere, con la pancia scossa dalle convulsioni; ma poi smise di colpo, come se un coltello avesse tagliato di netto la risata, e lo guardò di traverso. «Non vogliamo lettere da Tar Valon, vagabondo, ammesso che tu ne abbia una! La nostra buona regina, la Luce la illumini, non accetterà parola dalla Torre Bianca, finché non le sarà restituita l’Erede. Non ho mai sentito che un messaggero della Torre portasse giubba e brache da campagnolo. Mi sembra chiaro che hai in mente qualche trucco e forse pensi di rimediare qualche moneta, con la storia della lettera; ma sarai fortunato se non finirai in cella! Se vieni da Tar Valon, torna laggiù a dire che la Torre restituisca l’Erede, prima che veniamo a prenderla! Se cerchi monete, sparisci, prima che ti faccia picchiare fino a sputare l’anima! In ogni caso, stupido d’un babbeo, fila via!»
Finalmente Mat riuscì a intervenire. «La lettera è di pugno dell’Erede, capitano» disse in fretta. «Viene da...»
«Non t’ho detto di sparire, furfante?» gridò il grassone. Era rosso quasi come la giubba. «Sparisci, avanzo di fogna! Conto fino a dieci; se non te ne sei andato, ti arresto perché con la tua presenza insudici la piazza! Uno! Due!»
«Sai contare addirittura fino a dieci, stupido trippone?» sbottò Mat. «Ti ho detto che Elayne ha mandato...»
«Guardie!» gridò l’ufficiale, ora paonazzo. «Arrestate questo Amico delle Tenebre!»
Mat esitò un istante, convinto che nessuno prendesse sul serio una simile accusa; ma la Guardie si lanciarono su di lui, tutt’e dodici. Allora Mat girò il cavallo e galoppò davanti a loro, inseguito dalle grida del grassone. Il cavallo non era da corsa, ma distanziò facilmente i soldati a piedi. Lungo le vie, la gente si scansava e agitava il pugno alle sue spalle e imprecava come l’ufficiale.
"Stupido” pensò Mat, riferendosi a quest’ultimo; poi aggiunse un altro “stupido” per sé. “Dovevo solo dire il suo maledetto nome come prima cosa! ‘Elayne, Erede dell’Andor, manda questa lettera a sua madre, la regina Morgase.’ Luce santa, chi avrebbe immaginato che la pensano a questo modo, su Tar Valon?" Dai ricordi dell’ultima visita, le Aes Sedai e la Torre Bianca venivano subito dopo la regina Morgase, nella simpatia delle Guardie. “Maledizione, Elayne poteva avvisarmi!" pensò ancora; poi, con riluttanza, ammise: “Anch’io potevo farle qualche domanda, però".
Prima di raggiungere le porte ad arco che immettevano nella Città Nuova, mise al passo il cavallo. Non credeva che le guardie del palazzo lo inseguissero ancora ed era sciocco attirare l’attenzione di quelle alla porta, varcandola al galoppo; ma queste guardie non lo guardarono nemmeno, come quando era entrato.