Mentre passava sotto l’ampio arco, sorrise e quasi tornò indietro. All’improvviso aveva ricordato un particolare e aveva avuto un’idea che lo attirava molto di più del pensiero di varcare le porte del palazzo. Anche se il grassone non fosse stato di servizio.
Cercò la Benedizione della Regina e si perdette due volte; alla fine trovò l’insegna raffigurante un uomo in ginocchio davanti a una donna dai capelli rossodorati, con una corona di rose d’oro, che gli teneva sulla testa la mano. La locanda era un largo edificio di pietra, a tre piani, con alte finestre fin sotto il tetto di tegole rosse. Mat vi girò intorno e andò al cortile della stalla, dove un tizio dal viso da cavallo, in veste di cuoio che difficilmente poteva essere più duro della sua stessa pelle, prese le redini del castrone. Mat credette di ricordare il nome dello stalliere: sì, Ramey.
«È passato un mucchio di tempo, Ramey» disse, gettandogli un marco d’argento. «Ti ricordi di me, vero?»
«Non...» cominciò Ramey; poi colse il brillio d’argento dove s’era aspettato rame, tossì e cambiò il cenno in una via di mezzo tra saluto militare e inchino. «Be’, sì, certo, padrone» proseguì. «Scusami. Mi era uscito di mente. Non ho buona memoria, per le persone. Per i cavalli, sì. Li conosco bene, i cavalli. Hai un bell’animale, padrone. Lo tratterò bene, stai tranquillo.» Parlò tutto d’un fiato, senza permettere a Mat di dire una parola; poi portò in fretta il castrone nella stalla, prima d’essere costretto a ricordare il nome di Mat.
Con una smorfia agra Mat prese sottobraccio il grosso rotolo di fuochi d’artificio e si mise in spalla il resto del bagaglio. “Quello lì non mi distinguerebbe dalle unghie dei piedi di Artur Hawkwing” pensò. Un uomo tozzo e muscoloso sedeva sopra un barile capovolto accanto alla porta della cucina e grattava con gentilezza l’orecchio a un gatto bianco e nero accovacciato sul suo ginocchio. L’uomo esaminò Mat, con occhi dalle palpebre pesanti, notando soprattutto il bastone dalla punta ferrata, ma non smise di grattare il gatto. Mat ebbe l’impressione di conoscerlo, ma non riuscì a ricordare il nome. Senza dire niente, varcò la porta; nemmeno l’uomo disse niente. “Non c’è motivo che si ricordino di me” pensò Mat. “Probabilmente ogni giorno qualche maledetta Aes Sedai viene a cercare qualcuno."
In cucina, due cuoche e tre sguattere si muovevano velocemente fra spiedi e fornelli, agli ordini di una donna tonda con i capelli a crocchia e un lungo mestolo che usava per indicare i vari lavori. Mat era sicuro di ricordarla: si chiamava Coline. Che nome, per una donna così grossa! Ma tutti la chiamavano Cuoca.
«Bene, Cuoca» esordì «sono tornato e non è trascorso nemmeno un anno.»
La donna lo scrutò un momento e annuì. «Mi ricordo di te» disse. Mat cominciò a sorridere. «Eri insieme con quel giovane principe, vero?» proseguì la donna. «Quello che assomigliava tutto a Tigraine, la Luce ne illumini la memoria. Sei il suo domestico, vero? Allora torna qui, il giovane principe?»
«No» rispose Mat, brusco. Luce santa, un principe! «Non credo che verrà, in questo periodo; e non credo che ti piacerebbe, se venisse.» La donna protestò, dicendo quant’era bello ed elegante il giovane principe...
"Maledizione” pensò Mat “ci sarà una donna che non vada in brodo di giuggiole per Rand e non faccia gli occhi dolci appena lo si nomina? Sai come strillerebbe, se sapesse cosa fa Rand adesso!" Si rifiutò di lasciarla continuare. «C’è mastro Gill?» domandò. «E Thom Merrilin?»
«In biblioteca» rispose la donna, sbuffando. «Di’ a Basel Gill, quando lo vedi, che bisogna ripulire quei tubi di scarico. Oggi stesso, bada bene.» Notò qualcosa che una cuoca faceva all’arrosto di manzo e ancheggiò da quella parte. «Piano, piano, bambina» disse. «Renderai la carne troppo dolce, se ci metti tutto quell’arrath.» Parve essersi già dimenticata di Mat.
Mat scosse la testa e andò in cerca della biblioteca, di cui non si ricordava. Non ricordava neppure che Coline fosse la moglie di mastro Gill; ma se mai aveva sentito una donna mandare ordini al marito, il tono era proprio quello. Una graziosa cameriera dai grandi occhi scuri ridacchiò come una sciocca e lo indirizzò in fondo al corridoio accanto alla sala comune.
Entrato nella biblioteca, Mat si bloccò, sorpreso. Negli scaffali contro le pareti c’erano più di trecento libri, e altri sui tavolini: in vita sua non aveva mai visto tanti libri in un unico posto. Notò, sopra un tavolino accanto alla porta, una copia rilegata in pelle dei Viaggi di Jaim Farstrider. Aveva sempre avuto l’intenzione di leggerlo (Rand e Perrin gli raccontavano sempre episodi tratti da quel libro); ma, a quanto pareva, non riusciva mai a leggere i libri che gli interessavano.
Basel Gill, dal viso rubicondo, e Thom Merrilin fumavano la pipa, seduti a un tavolino, davanti a un gioco di sassolini. Un gatto calicò, acciambellato sopra un altro tavolo, accanto a un bussolotto di legno per dadi, li guardava giocare. Mat non vide da nessuna parte il manto da menestrello, perciò immaginò che Thom avesse già preso una stanza.
«Ti sei sbrigato prima di quanto credessi, ragazzo» disse Thom, senza togliersi di bocca la pipa. Si tirò un baffo, studiando dove deporre il sassolino sul tavoliere quadrettato. «Basel, ti ricorderai di Mat Cauthon.»
«Me ne ricordo» disse il grasso locandiere, scrutando il gioco. «Era ammalato, se non sbaglio, l’ultima volta che ci siamo visti. Spero che ora tu stia meglio, ragazzo.»
«Sto meglio» rispose Mat. «Non ricordi altro? Solo che ero ammalato?»
Mastro Gill fece una smorfia nel vedere la mossa di Thom e si tolse di bocca la pipa. «Considerando con chi te ne sei andato, ragazzo, e considerando la situazione attuale, forse è meglio non ricordare altro.»
«Le Aes Sedai non vanno tanto per la maggiore, vero?» replicò Mat, posando i bagagli sopra un’ampia poltrona e appoggiando allo schienale il bastone; ne occupò un’altra, lasciando penzolare dal bracciolo la gamba. «A quanto pare, le Guardie del Palazzo pensano che la Torre Bianca abbia rapito Elayne.» Thom guardò a disagio il rotolo di fuochi d’artificio, poi la pipa accesa; borbottò qualcosa e riprese lo studio della partita.
«Non esattamente» disse Gill. «Ma l’intera città sa che l’Erede è scomparsa dalla Torre. Thom dice che è tornata, ma qui ancora nessuno sa niente. Forse Morgase è stata informata, ma tutti, fino all’ultimo mozzo di stalla, camminano in punta di piedi, per non rischiare la testa. Lord Gaebril l’ha trattenuta dal mandare davvero qualcuno dal carnefice, ma non giurerei che prima o poi Morgase non lo faccia. Di sicuro lui non ha calmato la collera di Morgase verso Tar Valon. Anzi, penso che l’abbia peggiorata.»
«Morgase ha un nuovo consigliere» spiegò Thom, con voce asciutta. «A Gareth Bryne non piaceva, perciò Gareth è stato confinato nelle sue proprietà a guardare le pecore far lana. Basel, metti un sassolino o no?»
«Un momento, Thom. Un momento. Voglio metterlo bene.» Strinse fra i denti il cannello della pipa e guardò, pensieroso, il tavoliere, mandando sbuffi di fumo.
«Così la regina ha un consigliere che non ama Tar Valon» disse Mat.
«Be’, questo spiega il comportamento delle guardie, quando ho detto da dove venivo.»
«In questo caso» disse Gill «puoi considerarti fortunato d’essertela cavata senza qualche osso rotto. Cioè, se si trattava delle nuove guardie. Gaebril ha sostituito con uomini di sua scelta metà delle Guardie di Caemlyn e non è impresa da poco, considerando che è qui da pochissimo tempo. Corre voce che Morgase possa maritarlo.» Allungò la mano per posare un sassolino, la ritrasse, scosse la testa. «I tempi cambiano. La gente cambia. Troppi cambiamenti, per me. Divento vecchio, immagino.»
«Si direbbe che vuoi farci diventare vecchi tutt’e due, prima di fare la mossa» brontolò Thom. Il gatto si stiracchiò e gli si accostò per farsi grattare la schiena. «Parlare tutto il giorno non ti farà trovare quella buona. Perché non ammetti d’avere perso, Basel?»