«Non ammetto mai la sconfitta» ribatté Gill, duro. «Posso ancora batterti, Thom.» Posò nell’intersezione di due linee un sassolino bianco. «Stai a vedere.» Thom sbuffò.
Da quel che vedeva, Mat pensò che Gill non avesse molte probabilità di vittoria. «Mi basterà evitare le guardie e mettere in mano a Morgase la lettera di Elayne» disse. “Soprattutto se assomigliano a quello stupido ciccione” pensò. “Chissà se ha detto a tutti che sono un Amico delle Tenebre!"
«Non l’hai consegnata?» tossì Thom. «Credevo che fossi ansioso di liberartene.»
«Hai una lettera dell’Erede?» esclamò Gill. «Thom, perché non me l’hai detto?»
«Scusami, Basel» borbottò Thom. Lanciò a Mat un’occhiataccia. «Il ragazzo è convinto che qualcuno cerchi d’ucciderlo a causa della lettera, allora ho pensato di lasciar parlare lui. A quanto pare, la cosa non lo preoccupa più.»
«Che tipo di lettera?» domandò Gill. «L’Erede torna a casa? E lord Gawyn? Spero che tornino. Si parla davvero di guerra contro Tar Valon. Come se qualcuno potesse essere tanto stupido da fare guerra alle Aes Sedai. Se vuoi il mio parere, tutto è collegato a quelle voci pazzesche di Aes Sedai che aiutavano un falso Drago da qualche parte a occidente di qui e usavano come arma il Potere. Anche così, non vedo come questo fatto possa spingere qualcuno a fare guerra alle Aes Sedai; anzi, al contrario.»
«Sei sposato con Coline?» domandò Mat.
Mastro Gill trasalì. «La Luce me ne guardi!» esclamò. «La locanda sarebbe sua, quest’ora. Se fosse mia moglie...! Cosa c’entra, con la lettera dell’Erede?»
«Niente» rispose Mat. «Ma hai continuato così a lungo che pensavo avessi dimenticato le tue stesse domande.» Gill emise un verso strozzato e Thom scoppiò a ridere. Mat non diede al locandiere il tempo di replicare. «La lettera è sigillata» disse. «Elayne non mi ha detto cosa c’è scritto.» Thom lo guardava in tralice e si lisciava i baffi: cosa credeva, che avrebbe confessato d’averla aperta? «Ma non penso che torni a casa. Vuole davvero diventare Aes Sedai, secondo me.» Raccontò il tentativo di consegnare la lettera, smussando alcuni spigoli che non occorreva si risapessero.
«I nuovi» disse Gill. «L’ufficiale, almeno, pare uno di loro. Ci scommetterei. Non sono meglio dei banditi, per la maggior parte. Aspetta il pomeriggio, ragazzo, quando cambieranno le guardie alla porta. Fai subito il nome dell’Erede e abbassa un poco la cresta, nel caso il tuo interlocutore sia uno degli uomini di Gaebril. Nocche sulla fronte, non avrai difficoltà.»
«Non ci penso nemmeno, maledizione. Non lecco i piedi a nessuno. Neanche a Morgase. Stavolta non mi avvicinerò neppure alle guardie.» Ma gli sarebbe piaciuto sapere quali voci avesse diffuso il ciccione. Gli altri due lo fissarono come se fosse impazzito.
«E come conti d’entrare nel Palazzo Reale senza passare davanti alle Guardie?» domandò Gill. Sgranò gli occhi, come per un ricordo improvviso. «Luce santa, non vorrai... Ragazzo, avrai bisogno della fortuna del Tenebroso, per non lasciarci la pelle!»
«Cosa t’è venuto in mente, Basel?» disse Thom. «Mat, quale sciocca bravata hai escogitato?»
«La fortuna è dalla mia, mastro Gill» disse Mat. «Tu pensa a farmi trovare un buon pasto, quando torno.» Nell’alzarsi, prese il bussolotto e lanciò i dadi accanto al tavoliere. Il gatto balzò giù dal tavolo, inarcò la schiena e soffiò contro di lui. I cinque dadi si fermarono: tutti segnavano “uno". Gli Occhi del Tenebroso.
«Questo punteggio può essere il migliore o il peggiore» disse Gill. «Dipende dal gioco, no? Ragazzo, secondo me hai intenzione di giocare un gioco pericoloso. Perché non prendi i dadi e vai nella sala comune a perdere qualche monetina? Hai l’aria del tipo a cui piace giocare. Provvederò io a far giungere la lettera a chi di dovere.»
«Coline vuole che tu pulisca gli scarichi» disse Mat; mentre il locandiere batteva le palpebre e borbottava tra sé, si rivolse a Thom: «Non c’è molta diversità, se mi becco una freccia nel tentativo di consegnare la lettera o un coltello nella schiena durante l’attesa. Le probabilità sono le stesse: sei a favore e mezza dozzina contro. Thom, pensa solo a farmi preparare quel pasto.» Gettò sul tavolo davanti a Gill un marco d’oro. «Fai mettere in una stanza il mio bagaglio, locandiere. Se la moneta non basta, te ne darò altre. Maneggia con prudenza il rotolo di tela cerata: a Thom fa venire la tremarella.»
Nell’uscire, udì Gill dire a Thom: «Ho sempre pensato che quel ragazzo fosse un furfante. Come si è procurato quelle monete d’oro?»
"Vinco sempre, ecco come” pensò Mat, torvo. “Mi basta vincere ancora una volta, poi ho chiuso con Elayne e con la Torre Bianca. Devo vincere ancora una volta."
46
Un messaggio dall’Ombra
Tornando a piedi alla Città Interna, Mat non era affatto sicuro che il piano avrebbe funzionato. Avrebbe avuto successo, se quello che gli avevano detto era vero... ma proprio di questo dubitava. Evitò la piazza ovale davanti al palazzo e costeggiò il vasto edificio, lungo vie piene di curve, che seguivano il contorno delle colline. Le cupole dorate del palazzo scintillavano e parevano deriderlo, tenendosi fuori portata. Mat aveva fatto quasi il giro completo, quando vide ciò che cercava: un erto pendio fittamente coperto di bassi cespugli in fiore, che dalla via portava a un muro di pietra scabra e bianca. Diversi rami fronzuti sporgevano dal muro e più in là si vedeva la cima di altri alberi: un giardino del Palazzo Reale.
"Un muro fatto per sembrare roccia a strapiombo” pensò Mat “e un giardino dall’altro lato. Forse Rand diceva il vero."
Con aria indifferente diede un’occhiata alla via e vide che in quel momento non c’era nessuno. Doveva fare in fretta: le curve della via non permettevano di vedere lontano e in qualsiasi momento poteva giungere qualcuno. Si arrampicò carponi per il pendio, senza badare a quanti fiori rovinava. La scabra pietra del muro forniva appigli a volontà e consentiva l’arrampicata anche a chi calzasse stivali.
Erano stati negligenti a fare un muro così facile da scalare, si disse. Per un istante ricordò quando, con Rand e Perrin, era andato al di là delle Colline Sabbiose fino al limitare delle Montagne delle Nebbie. Al ritorno a Emond’s Field, si erano beccati le legnate di chiunque riusciva a mettere loro le mani addosso (lui più degli altri, perché tutti avevano immaginato che l’idea fosse stata sua) ma per tre giorni avevano scalato i dirupi, dormito sotto il cielo, mangiato uova rubate dai nidi di crestarossa e grassi galli cedroni abbattuti con una freccia o con un colpo di fionda e conigli presi con le trappole, sempre ridendo perché non avevano paura che quelle montagne portassero sfortuna e c’era la prospettiva di trovare qualche tesoro. Da quella spedizione aveva riportato a casa una pietra bizzarra con l’impronta della testa di un grosso pesce e una lunga penna d’aquila delle nevi e una pietra bianca che pareva scolpita a forma d’orecchio umano. A lui pareva un orecchio, anche se Rand e Perrin non erano della stessa idea, e Tam al’Thor aveva detto che poteva anche essere un orecchio.
Sentì scivolare le dita infilate in un solco poco profondo, spostò l’equilibrio del corpo, perdette l’appiglio del piede sinistro. Con un ansito, riuscì appena a reggersi alla cima del muro e a tirarsi su a braccia. Per un momento rimase disteso sul colmo del muro e riprese fiato: non sarebbe stata una gran caduta, ma sufficiente a rompersi la testa. Era stato davvero sciocco a mettersi a fantasticare. Anche sulle montagne aveva corso il rischio di lasciarci la pelle, per lo stesso motivo. Comunque, era probabile che sua madre avesse già buttato via tutte quelle cose. Diede un’occhiata a destra e a sinistra per accertarsi che nessuno l’avesse visto (in basso, il tratto di via era sempre deserto) e si lasciò cadere nel giardino.
Era un giardino ampio, con vialetti lastricati, tratti erbosi fra gli alberi, fitte pergole. E fiori dappertutto. Bianchi, sui peri; bianchi e rosa, sui meli. C’erano rose d’ogni colore, girasoli giallo vivo, Glorie di Emond viola e altri fiori che non conosceva. Alcuni parevano addirittura finti. Una pianta aveva bizzarri fiori scarlatti e dorati che sembravano uccelli; un’altra pareva un girasole, ma con fiori di due piedi di diametro e gambi alti come un Ogier.