Egwene non volle darle la soddisfazione di domandare dove, allora.
«Dove, allora?» domandò Elayne, perplessa. «Se mi facessi riconoscere, ammesso di convincere qualcuno, con queste vesti e senza scorta, sarei la benvenuta nella maggior parte delle Case nobili e probabilmente nella Pietra stessa, visti i buoni rapporti fra Caemlyn e Tear; ma prima di sera tutta la città lo saprebbe. Se escludiamo le locande, non riesco a pensare ad altri posti, Nynaeve. A meno che tu non voglia andare in qualche fattoria di campagna. Ma da lì non le troveremmo mai.»
Nynaeve lanciò un’occhiata a Egwene. «Lo saprò quando lo vedrò» rispose. «Lasciatemi guardare.»
Elayne guardò, perplessa, dall’una all’altra. «"Non tagliarti le orecchie perché non ti piacciono i tuoi orecchini"» borbottò, citando un proverbio.
Egwene si concentrò sulla via: non le avrebbe dato la soddisfazione di mostrarsi incuriosita!
In giro non c’era molta gente, a confronto di Tar Valon. Forse molti erano scoraggiati dal fango. Passavano carri e carretti, per la maggior parte trainati da buoi dalle ampie corna; il carrettiere procedeva a fianco del veicolo e si serviva di un lungo pungolo di un legno chiaro e screziato. Non si vedevano né carrozze, né portantine. Anche in queste vie aleggiava l’odore di pesce e non pochi passanti portavano sulla schiena ceste piene di pesce Le botteghe non parevano prospere; nessuna esibiva merci all’esterno e di rado qualcuno vi entrava. Avevano insegne (l’ago e la pezza di stoffa dei sarti, il coltello e le forbici dei venditori di arnesi da taglio, il telaio dei tessitori e così via) ma molte erano scrostate. Le poche locande avevano insegne in condizioni altrettanto cattive e non parevano fare più affari delle botteghe. Le case ammassate fra locande e botteghe spesso avevano tetti cui mancava una lastra d’ardesia o alcune tegole. Questa zona di Tear era povera. E a giudicare dal viso delle persone, pochi avevano ancora ambizioni di miglioramento. Si muovevano, lavoravano, ma ormai si erano rassegnati. Ben pochi degnarono di un’occhiata tre donne a cavallo dove ogni altro andava a piedi.
Gli uomini portavano brache a sbuffo, strette alla caviglia. Pochi indossavano la giubba, di tipo lungo e scuro, attillato intorno al petto e svasato sotto la cintola. C’erano più scarpe basse che stivali, ma abbondavano anche quelli che camminavano scalzi malgrado il fango. Molti non portavano né giubba né camicia e avevano brache sorrette da una larga fascia, a volte colorata e spesso lurida. Alcuni portavano larghi cappelli di paglia, di forma conica, e pochi un berretto di stoffa inclinato da una parte. Gli abiti femminili avevano collo alto fino al mento e arrivavano alla caviglia. Molte donne portavano un corto grembiule di colore chiaro, a volte due o tre, di dimensioni decrescenti, l’uno sull’altro; molte portavano un cappello di paglia come gli uomini, ma di colore intonato a quello dei grembiuli.
Guardando una donna, Egwene capì come chi calzava scarpe basse se la cavava col fango. La donna aveva piccole zeppe di legno legate alle suole, che la tenevano sollevata di una spanna dal fango, e camminava come se avesse i piedi saldamente piantati per terra. Dopo, Egwene notò che altri, uomini e donne, portavano un simile aggeggio. Anche alcune donne andavano in giro scalze, ma erano meno numerose degli uomini.
Egwene si domandava quale bottega vendesse quelle zeppe, quando a un tratto Nynaeve spinse il morello in un vicolo fra una lunga casa a due piani e la parete di pietra d’una bottega di vasaio. Egwene scambiò un’occhiata con Elayne, che si strinse nelle spalle; non sapeva dove andasse Nynaeve, né per quale motivo avesse imboccato il vicolo (alla prima occasione gliene avrebbe dette quattro) ma neppure intendeva separarsi da lei.
Il vicolo sbucò in un cortiletto chiuso dagli edifici circostanti. Nynaeve era già smontata e aveva legato le redini a un fico, dove il cavallo non sarebbe arrivato alle verdure che crescevano nell’orticello grande metà cortile. Una fila di pietre formava un sentiero fino alla porta posteriore. Nynaeve andò alla porta e bussò.
«Come mai ci fermiamo qui?» domandò Egwene, suo malgrado.
«Non hai visto le erbe nella vetrina?» rispose Nynaeve. Bussò di nuovo.
«Erbe?» si stupì Elayne.
«Una Sapiente» spiegò Egwene, smontando e legando Nebbia accanto al morello. “Gaidin non è nome adatto a un cavallo” si disse. “Crede forse che non sappia perché l’ha chiamato così?" E soggiunse: «Nynaeve ha trovato una Sapiente, o una Cercatrice, o come le chiamano da queste parti.»
Una donna socchiuse l’uscio quanto bastava a dare con diffidenza un’occhiata. Sulle prime Egwene pensò che fosse grassa; ma poi la donna spalancò il battente. Era senz’altro ben imbottita, ma, a giudicare dal modo di muoversi, possedeva buoni muscoli. Pareva robusta come comare Luhhan... e a Emond’s Field certuni sostenevano che Alsbet Luhhan fosse forte come il marito. Non era vero, ma neppure molto lontano dal vero.
«Come posso aiutarvi?» domandò la donna, con una cadenza simile a quella dell’Amyrlin. Aveva capelli grigi, acconciati in grossi riccioli che le cadevano ai lati del viso, e portava tre grembiuli di diverse tonalità di verde, ognuno un poco più scuro del sottostante. «Chi di voi ha bisogno di me?»
«Io» rispose Nynaeve. «Mi occorre un rimedio contro la nausea. E forse ne ha bisogno anche una delle altre due. Cioè, se siamo venute nel posto giusto.»
«Non sei di Tear» disse la donna. «Dagli abiti dovevo capirlo subito. Mi chiamano Mamma Guenna. Mi chiamano anche Sapiente, ma sono abbastanza vecchia da non fidarmene per calafatare una giunzione. Entrate e vi darò qualcosa contro la nausea.»
Si trovarono in una linda cucina, non molto vasta, con pentole di rame alle pareti, erbe e salsicce appese al soffitto. Alcune alte credenze di legno chiaro avevano ante impagliate con una sorta d’erba a stelo lungo. Il tavolo era di legno raschiato fino a sembrare bianco; il dorso delle sedie aveva intagli floreali. Una pentola di zuppa di pesce, dall’odore, sobbolliva sul fornello di pietra, insieme con un bricco a becco che cominciava a fumare. Nel camino non c’era fuoco, cosa per cui Egwene fu contenta: il fornello aumentava abbastanza il caldo, anche se Mamma Guenna non pareva farci caso. Sulla mensola del camino c’era una serie di piatti; altri erano ordinatamente impilati su scaffali ai lati. Il pavimento pareva appena spazzato.
Mamma Guenna chiuse la porta e si diresse alle credenze. «Quale infuso mi darai?» le domandò Nynaeve. «Foglia catenella? O genziana?»
«Te lo preparerei, se avessi l’una o l’altra» rispose Mamma Guenna; frugò sugli scaffali e prese un barattolo di pietra. «Di recente non ho avuto tempo di spigolare erbe, quindi ti darò un infuso di foglie di malvaccione bianco.»
«Non lo conosco» disse lentamente Nynaeve.
«Funziona come la foglia catenella, ma ha una punta d’amaro che a molti non piace.» Mise in una teiera azzurra pizzichi di foglie secche e si spostò accanto al focolare per aggiungere acqua calda. «Allora sei dell’arte? Siediti.» Indicò il tavolo, con la mano che reggeva due tazze smaltate d’azzurro, prese dalla mensola del camino. «Sedetevi e facciamo due chiacchiere. Chi è l’altra che soffre di nausea?»
«Io sto bene» disse con indifferenza Egwene, prendendo una sedia. «Tu hai la nausea, Caryla?» L’Erede scosse la testa, forse con una punta d’esasperazione.
«Non importa.» La donna versò a Nynaeve una tazza di liquido scuro e si sedette di fronte a lei. «Ne ho preparato a sufficienza per due, ma il tè di malvaccione bianco si conserva più a lungo del pesce salato. Più invecchia, più fa bene, ma diventa anche più amaro. È una gara fra quanto soffri di nausea e quanto sopporti il saporaccio. Bevi, ragazza.» Dopo un momento riempì la seconda tazza e bevve un sorso. «Vedi? Non t’avvelena.»
Nynaeve sorseggiò la bevanda, con una smorfia per il gusto cattivo. Però quando posò la tazza, era rasserenata. «È appena amarognolo» disse. «Senti, Mamma Guenna, ne avremo ancora per molto, di pioggia e fango?»