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«Con questo tempaccio?» gli gridò in risposta Thom. La pioggia gli colava sul viso, ma lui preferiva riparare gli strumenti, anziché la faccia..

«Comar potrebbe avere lasciato Caemlyn prima di noi. Se aveva un! buon cavallo, invece dei nostri ronzini, potrebbe essersi imbarcato ad Aringill un giorno prima di noi e non so quanto abbiamo ricuperato con, quell’idiota di Derne.»

«È stato un viaggio rapido» ammise Thom. «Il Rondone fa onore al nome.»

«Comunque, Thom, pioggia o non pioggia, devo trovarlo prima che lui trovi Egwene e Nynaeve e Elayne.»

«Qualche ora non fa molta differenza, ragazzo. Ci sono centinaia di locande, in una città come Tear. E ce ne saranno altre centinaia fuori delle mura, alcune così piccole da avere solo una decina di stanze, così piccole da passarci davanti senza vederle.» Si calò maggiormente il cappuccio, borbottando fra sé. «Occorreranno settimane, per visitarle tutte. Ma le stesse settimane occorreranno a Comar. Possiamo passare la notte al riparo sotto un tetto: puoi scommettere fino all’ultima moneta che Comar non andrà in giro sotto questa pioggia.»

Mat scosse la testa. Una piccola locanda con una decina di stanze. Prima di lasciare Emond’s Field, l’edificio più grande che avesse visto era la locanda Fonte di Vino: dubitava che Bran al’Vere avesse da affittare più di dieci stanze. Egwene alloggiava, con la famiglia e le sorelle, nelle stanze anteriori del primo piano. A volte lui pensava che sarebbe stato meglio se nessuno di loro avesse mai lasciato Emond’s Field. Ma di sicuro Rand se ne sarebbe dovuto andare e probabilmente Egwene sarebbe morta, se non fosse andata a Tar Valon. Ora forse sarebbe morta perché c’era andata. Lui non pensava che sarebbe tornato alla fattoria: vacche e pecore non giocano certo a dadi. Ma Perrin aveva ancora la possibilità di tornare a casa. Gli augurò di tornare, finché era in tempo. Si scosse. Era uno sciocco! Perché avrebbe voluto tornare? Pensò al letto e scacciò l’idea. Non ancora.

Tre fulmini ramificati striarono il cielo e lanciarono una cruda luce su di una casetta che pareva avere ciuffi d’erba appesi alle finestre e su di una bottega ben chiusa che dall’insegna con ciotole e piatti apparteneva di certo a un vasaio. Con uno sbadiglio, Mat ingobbì le spalle e cercò di staccare più in fretta dal fango gli stivali.

«Credo di poter scartare questa parte della città, Thom» gridò. «Tutto questo fango e la puzza di pesce. Te le vedi, Nynaeve e Egwene, addirittura Elayne, decidere di fermarsi qui? Alle donne piacciono le cose pulite e ordinate, Thom, e profumate.»

«Può darsi ragazzo» borbottò Thom; si mise a tossire. «Saresti sorpreso nello scoprire cosa sopportano le donne. Ma può darsi.»

Tenendo chiuso il lembo del mantello per non far bagnare i fuochi d’artificio, Mat allungò il passo. «Andiamo, Thom. Voglio trovare Comar o le ragazze, stanotte stessa. O l’uno o le altre. Thom lo seguì, tossendo di tanto in tanto.»

Varcarono le ampie porte della città, prive di guardie, sotto quella pioggia, e Mat si ritrovò con sollievo a camminare su pietre da pavimentazione. Neanche cinquanta passi più avanti c’era una locanda: dalle finestre della sala comune provenivano luce e musica. Anche Thom, malgrado la zoppia, percorse in fretta quegli ultimi cinquanta passi.

La Mezzaluna Bianca aveva un proprietario la cui corporatura rendeva attillata anche sotto la cintola la lunga giubba azzurra, a differenza della maggior parte degli avventori accomodati intorno ai tavoli su sedie dal basso schienale. Le brache a sbuffo, legate alla caviglia, sopra scarpe basse, secondo Mat bastavano a contenere due persone, una per gamba. Le cameriere indossavano vesti scure, accollate, e grembiulini bianchi. Fra i due focolari di pietra, un tizio martellava sul dulcimero. Thom gli diede un’occhiata critica e scosse la testa.

Il grasso locandiere, Cavan Lopar, fu più che contento d’affittare due stanze. Guardò con una smorfia gli stivali infangati, ma si rasserenò nel vedere le monete d’argento (l’oro cominciava a scarseggiare) di Mat e il mantello multicolore di Thom. Quest’ultimo disse che, dietro un piccolo compenso, avrebbe tenuto spettacolo per qualche sera e il triplo mento di Lopar tremolò di piacere. Il locandiere non sapeva niente di un uomo robusto con una striscia bianca nella barba, né di tre donne corrispondenti alla descrizione di Mat. Il giovane lasciò in camera tutto il bagaglio, tranne mantello e bastone, quasi senza guardare se nella stanza c’era un letto (avrebbe dormito volentieri, ma non voleva pensarci); divorò una ciotola di piccante zuppa di pesce e uscì sotto la pioggia. Vide con sorpresa che Thom lo seguiva.

«Credevo che volessi stare all’asciutto» disse.

Thom accarezzò la custodia del flauto, che teneva ancora sotto il mantello, mentre aveva lasciato in camera il resto. «La gente parla più facilmente con i menestrelli, ragazzo. Forse verrò a sapere cose che a te nessuno direbbe. Neppure a me piace che facciano del male a quelle tre ragazze.»

Cento passi più avanti, sul lato opposto della via, c’era un’altra locanda e una terza duecento passi più in là; e poi, altre ancora. Mat le esaminava ed entrava il tempo sufficiente perché Thom facesse svolazzare il mantello raccontasse una storia e accettasse una coppa di vino, mentre lui faceva domande su di un uomo alto con una striscia bianca nella barbetta e su tre donne. Vinse ai dadi qualche moneta, ma, come Thom, non apprese niente. Notò con piacere che a ogni locanda il menestrello beveva solo qualche sorso di vino; sulla nave Thom era stato praticamente astemio, ma Mat non era sicuro che non avrebbe ripreso a bere, appena giunti a Tear. Dopo una ventina di sale comuni, Mat si sentiva le palpebre di piombo. La pioggia era un po’ diminuita, ma cadeva ancora a goccioloni e l’aria si era rinfrescata. Il cielo mostrava il grigiore che precede l’alba.

«Ragazzo» borbottò Thom «se non torniamo alla Mezzaluna Bianca, mi addormento qui sotto la pioggia.» Si fermò a tossire. «Ti sei accorto che abbiamo saltato tre locande? Sono così stanco che non riesco a pensare. Segui uno schema di cui non mi hai parlato?»

Mat fissò con vista annebbiata un uomo alto, col mantello, che più avanti girava in fretta l’angolo. “Luce santa, sono proprio stanco!" pensò. “La vista comincia a farmi brutti scherzi. Rand è a cinquecento leghe da qui e gioca a fare il maledetto Drago!"

«Cosa?» disse poi. «Tre locande?» Si trovavano quasi davanti a un’altra locanda, la Coppa d’Oro, secondo l’insegna che cigolava al vento. Il disegno della coppa non assomigliava affatto a un bussolotto per dadi, ma Mat decise di fare comunque un tentativo. «Ancora una, Thom» disse. «Se non troviamo nessuno, andiamo a letto.» Il letto gli pareva più desiderabile d’una partita a dadi con posta di cento marchi d’oro al colpo, ma si costrinse a entrare.

Fatti due passi nella sala comune, lo vide. Indossava una giubba verde a righe azzurre lungo le maniche a sbuffo, ma era Comar, con la barbetta ben curata e la striscia bianca sul mento e tutto il resto. Sedeva in una di quelle bizzarre sedie dal basso schienale, a un tavolo in fondo alla sala: scuoteva il bussolotto con i dadi e sorrideva all’uomo seduto di fronte a lui. Quest’ultimo indossava giubba lunga e brache larghe e non sorrideva: fissava le. monete sul tavolo, come se rimpiangesse di non averle più nel borsellino. Accanto a Comar c’era un altro bussolotto.

Comar capovolse il bussolotto di cuoio e si mise a ridere ancora prima che i dadi si fermassero. «Chi è il prossimo?» disse ad alta voce, ramazzando la puntata. Aveva già davanti a sé una considerevole pila di monete d’argento. Rimise i dadi nel bussolotto e li agitò. «Ci sarà qualcuno che vuol tentare la fortuna.» Pareva che nessuno ne avesse voglia, ma lui continuò a scuotere i dadi e a ridere.

Il locandiere era facile da individuare, anche se a Tear non pareva ci fosse la consuetudine di portare il grembiule: aveva una giubba della stessa sfumatura d’azzurro di tutti gli altri locandieri con cui Mat aveva parlato. Era grassoccio, ma poco più della metà di Lopar e con un solo doppio mento; seduto a un tavolo, lustrava con furia boccali di peltro e lanciava a Comar occhiate velenose, ma solo quando quest’ultimo non guardava. Anche altri avventori guardavano in cagnesco Comar, quando lui era girato.