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«Hai perso» disse con calma Mat. Se la fortuna arrivava a questo punto, pensò, forse valeva la pena spingerla un poco. Una vocina gli disse di riflettere, ma era troppo stanco per darle retta. «Penso che la tua fortuna sia in calando, Comar. Se hai fatto del male a quelle ragazze, è finita del tutto.»

«Non le ho neppure trovate...» cominciò Comar, fissando ancora i dadi; poi alzò di scatto la testa: era impallidito. «Come fai a conoscere il mio nome?»

"Ancora non le ha trovate” pensò Mat. “Fortuna, dolce fortuna, stammi vicino." «Torna a Caemlyn, Comar. Riferisci a Gaebril che non le hai trovate. Riferiscigli che sono morte. Digli una cosa qualsiasi, ma lascia Tear stanotte stessa. Se ti vedo di nuovo, ti uccido.»

«Chi sei?» domandò, a disagio, Comar. «Chi...» In un attimi sguainò la spada e fu in piedi.

Mat spinse contro di lui il tavolo, capovolgendolo, e afferrò il bastoni. Aveva dimenticato quanto fosse massiccio Comar. Questi gli spinse addosso il tavolo. Mat cadde sulla sedia e solo per un pelo non lasciò andare il bastone, mentre Comar toglieva di mezzo il tavolo e faceva un affondo Mat scattò con i piedi contro lo stomaco dell’altro, per fermarne lo slancio, mosse goffamente il bastone, appena in tempo per deviare la spada. Ma per il contraccolpo perdette la presa e si ritrovò a stringere il polso dell’avversario, con la lama a due dita dal viso. Con un grugnito rotolò all’indietro e spinse in alto le gambe, con tutte le sue forze. Comar sbarrò gli occhi e volò al di sopra di Mat; cadde con uno schianto sul tavolo, a faccia in su. Mat cercò d’afferrare il bastone, ma quando lo impugnò, vide che Comar non si era mosso.

Disteso sul tavolo, a gambe divaricate, penzolava con la testa sul pavimento. Gli avventori seduti a quel tavolo, ora in piedi, si tenevano a distanza di sicurezza; si torcevano le mani e si guardavano nervosamente l’un altro. Un brusio di preoccupazione, non il frastuono che Mat s’aspettava, riempiva la sala.

Comar aveva a portata di mano la spada, ma non si mosse. Però fisso Mat, quando questi allontanò con un calcio la spada e si chinò su di lui. Probabilmente aveva la schiena spezzata!

«T’avevo detto di andartene, Comar» lo apostrofò Mat. «La tua fortuna si è esaurita.»

«Idiota» mormorò Comar. «Credi... che fossi... l’unico... a cercarle? Non vivranno... fino a...» Tenne gli occhi fissi su Mat e la bocca aperta, ma non disse altro. Non avrebbe detto più niente.

Mat lo guardò, cercò con la forza del pensiero di cavare altre parole dal cadavere. “Chi, maledizione?" pensò. “Chi sono, gli altri? La mia fortuna: Maledizione, che fine ha fatto la mia fortuna?" Si accorse che il locandiere lo tirava freneticamente per il braccio.

«Devi andartene. Vattene, prima che arrivino i Difensori. Mostrerò loro i dadi. Dirò che è stato un forestiero, un uomo alto. Con capelli rossi e occhi grigi. Nessuno ne soffrirà. Un uomo che ho sognato ieri notte. Un uomo che non esiste. Nessuno mi contraddirà. Con quei dadi ha preso soldi a tutti. Ma tu devi andartene. Vattene!» Nella sala, ognuno guardava di proposito da un’altra parte.

Mat si lasciò staccare dal cadavere e spingere fuori della locanda. Thom lo aspettava sotto la pioggia: lo prese per il braccio e zoppicò in fretta nella via, tirandoselo dietro. Mat aveva il cappuccio penzoloni sulla schiena: la pioggia gli inzuppava i capelli e gli colava sul viso e sul collo, ma lui non se ne accorgeva. Thom continuava a guardarsi alle spalle, scrutando la via.

«Dormi in piedi, ragazzo? Non parevi addormentato, là dentro. Su, forza. I Difensori arresteranno ogni forestiero nel raggio di due vie, non importa quale descrizione dia loro il locandiere.»

«La fortuna» borbottò Mat. «Ho capito. I dadi. La mia fortuna funziona meglio, se gli eventi sono casuali. Come per i dadi. Non ha molto effetto sulle carte. Né sulle partite a sassolini. Troppi schemi fissi. Dev’essere casuale. Come per trovare Coman. Ho smesso di esaminare ogni locanda. Sono entrato per caso in quella lì. Thom, per trovare in tempo Egwene e le altre, devo cercarle senza seguire schemi.»

«Di cosa parli? Quell’uomo è morto. Se le ha già uccise... Be’, le hai vendicate. In caso contrario, le hai salvate. Maledizione, ti decidi a camminare più svelto? I Difensori non tarderanno molto e non sono gentili come le Guardie della Regina.»

Mat si liberò il braccio e aumentò il passo, incerto, trascinandosi il bastone dalla punta ferrata. «Si è lasciato scappare di non averle ancora trovate» disse. «Ma ha ammesso di non essere il solo a cercarle. Thom, gli credo. Lo guardavo negli occhi e diceva la verità. Devo trovarle, Thom. E ora non so neppure chi dà loro la caccia. Devo trovarle.»

Soffocando col pugno un grosso sbadiglio, Thom mise a Mat il cappuccio. «Non stanotte, ragazzo» disse. «Ho bisogno di sonno. E tu pure.»

Mat era fradicio. I capelli gli sgocciolavano sul viso. Aveva la testa intontita. Per mancanza di sonno, capì dopo un momento. E capì quanto fosse stanco, se doveva pensarci per rendersene conto. «D’accordo, Thom» disse. «Ma ricomincio a cercarle, appena fa giorno.» Thom annuì e tossì; sotto la pioggia, tornarono alla Mezzaluna Bianca.

L’alba s’approssimava. Mat si strappò dal letto e con Thom si dispose a frugare ogni locanda dentro le mura di Tear. Senza una meta fissa, si lasciò portare dove l’umore e la svolta seguente lo menavano, senza cercare le locande e tirando in aria una moneta per decidere se entrare o no. Per tre giorni e tre notti seguì questa tecnica; e per tre giorni e tre notti la pioggia continuò senza respiro, a volte con i tuoni, a volte in silenzio, ma sempre a dirotto.

La tosse di Thom peggiorò: il menestrello fu costretto a smettere di suonare il flauto e di raccontare storie, ma non volle portare in giro l’arpa, con quel tempaccio; tuttavia insistette per partecipare alle ricerche e la gente chiacchierava sempre con un menestrello. Da quando aveva iniziato quella ricerca casuale, Mat fu ancora più fortunato ai dadi, ma si fermava in una locanda o taverna solo il tempo necessario a vincere qualche moneta. Nessuno dei due apprese qualcosa di utile. Voci di guerra con Illian. Voci d’invasione di Mayene. Voci d’invasione dall’Andor, voci del Popolo del Mare che bloccava i commerci, voci del ritorno degli eserciti di Artur Hawkwing. Voci della venuta del Drago. Le persone con cui Mat giocava erano tetre come le voci correnti; parevano cercare quelle più sinistre e credere a tutte. Ma Mat non udì neppure un bisbiglio che potesse condurlo a Egwene e ali le altre. Nessun locandiere aveva visto donne corrispondenti alla loro descrizione.

Mat cominciò a fare brutti sogni, dovuti senza dubbio alla preoccupazione. Egwene, Nynaeve, Elayne e un tizio dai capelli bianchi e corti con una giubba dalle maniche a sbuffo, a righe, come quella di Comar, che rideva e intesseva intorno alle tre ragazze una rete. Solo, a volte era Moiraine, la persona per cui intesseva la rete; e a volte impugnava invece una spada di cristallo, una spada che brillava come il sole di mezzodì, appena lui la toccava. A volte era Rand a impugnare la spada. Per qualche motivo Mat fece parecchi sogni su Rand.

Era sicuro che dipendesse dal fatto che non dormiva a sufficienza, chi mangiava solo quando per caso se ne ricordava; ma non intendeva fermarsi. Aveva fatto una scommessa, si ripeteva, e doveva vincerla. E intendeva vincerla, a costo di rimetterci la pelle.

50

Il martello

Sotto il caldo sole del pomeriggio, il traghetto attraccò a Tear. Sulle pietre del molo, da cui si levavano vapori, c’erano pozze di pioggia e a Perrin l’aria parve umida come a Illian: odorava di pece, di legno, di canapa (più a meridione, lungo il fiume, Perrin vedeva dei cantieri navali) di spezie, di ferro, d’orzo, di profumi, di vini, di cento altri aromi che lui non riusciva a districare dal miscuglio, per la maggior parte provenienti dai magazzini alle spalle dei moli. Se per un poco il vento soffiava da tramontana, Perrin sentiva anche odore di pesce, che però svaniva, non appena il vento cambiava di nuovo. Non fiutò alcun odore d’animali da cacciare. Proiettò la mente alla ricerca di lupi, prima di rendersene conto e di chiuderla di scatto. Di recente gli accadeva con troppa frequenza. Non c’erano lupi, ovviamente, in una città come Tear. Perrin desiderò di non sentirsi così... così solo.