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Appena fu abbassata la rampa all’estremità della chiatta, guidò Stepper sul molo, dietro Moiraine e Lan. La gigantesca sagoma della Pietra di Tear si alzava lontano sulla sinistra, in ombra, tanto da sembrare una montagna, malgrado lo stendardo sul punto più alto. Perrin non voleva guardare la Pietra, ma era impossibile guardare la città e non vederla. “Sarà già qui?" si domandò. “Luce santa, se ha già provato a entrare lì dentro, potrebbe essere già morto." Allora tutta quella fatica sarebbe andata sprecata.

«Cosa dovremmo trovare qui?» domandò Zarine, dietro di lui. Non aveva smesso di fare domande: solo, non le rivolgeva più all’Aes Sedai o al Custode. «Illian ci ha mostrato dei Grigi e la Caccia Furiosa. Cos’ha, Tear, che... che qualcuno vuole impedirvi di trovare, con tanto accanimento?»

Perrin si guardò intorno: a quanto pareva, i portuali indaffarati a trasbordare le merci non avevano udito. Era sicuro che avrebbe fiutato la paura, se qualcuno avesse udito. Tenne a freno la risposta pepata che gli era venuta sulla punta della lingua. Zarine aveva una lingua ancora più svelta e più tagliente.

«Vorrei che tu fossi meno ansiosa, Faile» rombò Loial. «A quanto pare, credi che sia facile come a Illian.»

«Facile?» brontolò Zarine. «Facile! Loial, abbiamo rischiato la morte due volte in una sola notte. Illian sarebbe bastata da sola a una ballata sui Cercatori. A te sembra facile?»

Perrin fece una smorfia. Avrebbe voluto che Loial non chiamasse Zarine col nome che lei si era scelto: era un costante promemoria del fatto che secondo Moiraine, Zarine fosse il falco di cui aveva parlato Min. E induceva Perrin a domandarsi se fosse lei, la donna bellissima da cui Min l’aveva messo in guardia. “Almeno” pensò “ancora non mi sono imbattuto nello sparviero. Né in un Tuatha’an armato di spada. E se quest’ultima non è la cosa più bizzarra di tutte, sono un mercante di lana!"

«Smettila di fare domande, Zarine» disse, montando in sella a Stepper. «Quando Moiraine deciderà di rivelartelo, scoprirai per quale motivo siamo qui.» Cercò di non guardare la Pietra.

Zarine si girò verso di lui. «Non credo che tu sappia il motivo, fabbro» replicò. «Per questo non vuoi dirmelo. Perché non sai niente. Ammettilo, contadino.»

Con un sospiro Perrin lasciò il molo, dietro Moiraine e Lan. Zarine, si disse, non replicava in tono tagliente a Loial, quando l’Ogier si rifiutava di rispondere alle domande. Forse cercava di costringere anche lui a chiamarla Faile. Non ci sarebbe mai riuscita.

Moiraine aveva legato dietro la sella il manto di tela cerata, sopra il fagotto d’aspetto innocente che conteneva lo stendardo del Drago; malgrado il caldo, aveva indosso il mantello di lino azzurro che aveva portato a Illian, il cui ampio cappuccio le nascondeva il viso. Si era appesa al collo, mediante una cordicella, l’anello col Gran Serpente. Tear, aveva spiegato; non proibiva la presenza delle Aes Sedai, ma solo l’uso del Potere; però i Difensori della Pietra tenevano attentamente d’occhio ogni donna che portasse l’anello. E lei voleva passare inosservata, durante questa visita a Tear.

Due giorni prima, Lan aveva riposto nelle bisacce della sella il manto dal colore cangiante, appena era stato chiaro che chiunque avesse inviato i Segugi Neri (Sammael, pensò Perrin con un brivido e cercò di togliersi di mente quel nome) non aveva continuato l’inseguimento. Come a Illian, anche a Tear il Custode non aveva fatto concessioni al caldo: teneva abbottonata fino al collo la giubba grigioverde.

Perrin aveva la giubba per metà sbottonata e il collo della camicia aperto. Forse Tear era un po’ più fresca di Illian, ma pur sempre calda come l’estate nei Fiumi Gemelli e l’umidità dell’aria dopo la pioggia faceva sembrare più intenso il caldo. Il cinturone con l’ascia era appeso al pomo della sella. L’arma era a portata di mano, in caso di necessità, e lui si sentiva meglio, se non la teneva addosso.

Notò con sorpresa il fango della prima via che imboccarono. Solo i villaggi e i paesotti avevano vie di terra battuta, ma Tear era una delle grandi città. La gente pareva non badare al fango e molti giravano scalzi. Per un poco Perrin osservò una donna che camminava su piccole zeppe di legno e si domandò come mai non le usassero tutti. Le brache a sbuffo degli uomini parevano più fresche di quelle attillate che indossava lui, ma si sarebbe sentito uno sciocco, se le avesse provate. S’immaginò vestito a quel modo, con un cappello di paglia per giunta, e ridacchiò.

«Cosa ci trovi di buffo, Perrin?» domandò Loial. Aveva le orecchie penzoloni, tanto che i ciuffi in cima si confondevano con i capelli, e guardava con aria preoccupata la gente per strada. «Queste persone hanno un’aria... sconfitta, Perrin. Non erano così, l’ultima volta che sono stato a Tear. Neppure la gente che ha lasciato tagliare il proprio boschetto merita d’avere quest’aria.»

Perrin cominciò a osservare le facce e si accorse che Loial aveva ragione. In troppi visi mancava qualcosa. La speranza, forse. La curiosità. La gente si limitava a dare un’occhiata al gruppetto a cavallo... e solo per togliersi di mezzo. L’Ogier, in sella a un cavallo grosso come quelli da tiro, non attirava più attenzione di Lan o di Perrin.

Varcate le porte delle alte mura grigie, sorvegliate da soldati con occhi duri, che portavano il pettorale sopra la giubba rossa dalle ampie maniche con polsini bianchi e l’elmo rotondo con la cresta, le vie divennero lastricate. Anziché brache a sbuffo, i soldati avevano brache attillate, infilate in stivali alti al ginocchio. Guardarono con disapprovazione la spada di Lan e sfiorarono la propria; fissarono l’ascia e il lungo arco di Perrin; tuttavia, malgrado le occhiate attente e preoccupate, conservavano un’aria di sconfitta, come se non ci fosse più niente per cui impegnarsi.

All’interno delle mura, gli edifici erano più grandi e più alti, ma per la maggior parte rispecchiavano quelli all’esterno. I tetti parevano un po’ bizzarri a Perrin, in particolare quelli a punta; ma lui, da quando aveva lasciato il villaggio, aveva visto tetti di moltissime fogge e si domandò solo che tipo di chiodi adoperassero per le tegole. In certi posti la gente non le inchiodava affatto.

Palazzi e grandi edifici parevano posti a caso fra quelli più piccoli e più comuni: a volte, un edificio tutto torri e cupole vagamente quadrate, circondato ai lati da ampie vie, era fronteggiato, dall’altra parte della strada, da botteghe, locande, abitazioni. Un enorme palazzo con il fronte a colonne quadrate di marmo, ampie quattro passi per lato, e cinquanta gradini per arrivare ai battenti di bronzo alti cinque braccia, era stretto fra una bottega di panettiere e una di sarto.

Qui un maggior numero di uomini portava giubbe e brache come quelle dei soldati, ma di colori più vivaci e senza pettorale; alcuni avevano perfino la spada. Nessuno girava scalzo. Le vesti femminili, sia di seta sia di lana, erano spesso più lunghe e più scollate, scoprivano le spalle e perfino il petto. Per le vie giravano sia portantine e carrozze tirate da cavalli sia carretti trainati da buoi e carri coperti. Tuttavia su troppe facce si leggeva un senso di sconfitta.

La locanda scelta da Lan, la Stella, si trovava fra una bottega di tessitore e una di fabbro, separate da stretti vicoli. La bottega di fabbro era di pietra grigia non lavorata; quella di tessitore e la locanda erano di legno, ma la Stella contava quattro piani e aveva anche finestrelle sul tetto spiovente. Il rumore di telai era soffocato dal clangore di magli.