Выбрать главу

Lan e gli altri affidarono i cavalli a garzoni di stalla, perché li portassero nel cortile posteriore, ed entrarono nella locanda. Dalla cucina provenivano odori di pesce, in forno o in brodo, e di montone arrosto. Gli avventori della sala comune indossavano tutti giubba attillata e brache a sbuffo. Secondo Perrin, gente più ricca (era sicuro che gli uomini in giubbe dai colori vivaci e le donne dalle vesti di seta e spalle scoperte fossero tutti ricchi o nobili) non avrebbe resistito al frastuono continuo. Forse proprio per questo Lan aveva scelto la Stella.

«Come faremo a dormire con questo fracasso?» brontolò Zarine.

«Niente domande» rispose Perrin, con un sorriso. Per un momento pensò che lei volesse mostrargli la lingua.

Il locandiere era un tizio dal viso tondo, con un principio di calvizie, lunga giubba azzurra e ampie brache; salutò con un inchino, tenendo la mani intrecciate sul florido ventre. Aveva in faccia quell’aria di stanca rassegnazione, «La Luce splenda su di te, signora: benvenuta» sospirò. «La Luce splenda su di voi, padroni: benvenuti.» Trasalì un poco nel notare gli occhi gialli di Perrin e si rivolse a Loial. «La Luce splenda su di te, amico Ogier: benvenuto. Da più di un anno non vedo a Tear uno della tua razza. Lavoravano nella Pietra e alloggiavano lì, naturalmente; ma un giorno li ho visti per strada.» Terminò con un altro sospiro, incapace di trovare la curiosità per domandarsi come mai un altro Ogier fosse venuto a Tear... o ciascuno degli altri, per questo.

Il locandiere, che si chiamava Jurah Haret, li accompagnò di persona nelle loro stanze. Evidentemente, per la veste di seta e il modo in cui Moiraine teneva nascosto il viso, uniti alla faccia dura di Lan e alla sua spada, ritenne che l’Aes Sedai fosse una dama accompagnata dalla scorta e quindi meritevole delle sue personali attenzioni. Considerò Perrin una sorta di domestico e fu in dubbio su Zarine; mentre Loial, in fin dei conti, era un Ogier. Chiamò dei servitori perché unissero due letti per Loial e per i pasti offrì a Moiraine una stanza riservata. Moiraine accettò con buona grazia.

Si mantennero insieme per tutto il cerimoniale, formando un piccolo corteo nei corridoi superiori, finché Haret, con un inchino e un sospiro, non li lasciò, fuori della stanza di Moiraine. Le pareti erano d’intonaco bianco e Loial sfiorava il soffitto del corridoio.

«Che tipo odioso» borbottò Zarine, spazzolandosi furiosamente le sottane. «Credo che mi abbia preso per la tua domestica, Aes Sedai. Non lo sopporto!»

«Attenta alla lingua» disse piano Lan. «Se usi quel nome dove la gente può udire, lo rimpiangerai, ragazza.»

Zarine parve sul punto di discutere, ma lo sguardo gelido di Lan, se non raffreddò l’occhiata di fuoco, le bloccò la lingua.

Moiraine non badò a loro. Con sguardo assente stropicciò il mantello come se si pulisse le mani. Neppure se ne accorgeva, pensò Perrin.

«Come faremo a trovare Rand?» domandò. Ma ritenne che l’Aes Sedai non avesse udito. «Moiraine?»

«Restate nei pressi della locanda» disse lei, dopo un momento. «Tear può rivelarsi pericolosa, per chi non conosce le abitudini locali. Qui il Disegno può essere lacerato» soggiunse a bassa voce, come se parlasse tra sé. Riprese il tono normale. «Lan, vediamo cosa ci riesce di scoprire senza attirare l’attenzione. Voi restate nei pressi della locanda!»

«"Restate nei pressi della locanda"» disse Zarine, rifacendo il verso a Moiraine, appena l’Aes Sedai e il Custode furono scomparsi giù per la scala. Ma parlò a bassa voce, in modo che non udissero. «Questo Rand. È quello che hai chiamato il...» Se assomigliava a un falco, in quel momento era un falco a disagio. «E siamo a Tear, dove nel Cuore della Pietra è conservata la... E le Profezie dicono che... Maledizione, ta’veren, è davvero una storia in cui mi piacerebbe trovarmi?»

«Non è una storia, Zarine» rispose Perrin. Per un momento si sentì disperato quanto pareva esserlo il locandiere. «La Ruota ci intesse nel Disegno. Tu hai scelto di annodare ai nostri il tuo filo: ormai è troppo tardi per disfare il nodo.»

«Luce santa!» brontolò Zarine. «Adesso parli proprio come lei!»

Perrin la lasciò in compagnia di Loial e andò a posare i bagagli: la stanza aveva un letto basso, comodo ma piccolo, come la gente di città riteneva adatto a un servitore, un lavabo, uno sgabello e alcuni pioli infissi nella parete a intonaco, assai screpolato. Quando uscì, non vide Zarine e Loial. Si sentiva chiamare dal clangore di martello sull’incudine.

A Tear aveva visto tante di quelle cose bizzarre, che entrò con vero sollievo nella bottega di fabbro. Il pianterreno era un unico, vasto locale privo di parete di fondo, sostituita da una grande porta a due battenti spalancata sul cortile per la ferratura di cavalli e di buoi, completo d’imbracatura per questi ultimi. I magli erano nei supporti, pinze di vario genere e formato pendevano dai puntoni scoperti delle pareti, coltelli per zoccoli e altri utensili da maniscalco erano ordinatamente disposti su banchi di legno, insieme con scalpelli e incudini dai corni sottili e stampi e tutti gli attrezzi del mestiere. Alcuni bidoni contenevano barre di ferro e d’acciaio di vario spessore. Cinque ruote per molare, di differente grana, erano sparse sul pavimento di terra battuta, insieme con sei incudini e tre forge dalle pareti di pietra, munite di mantici, anche se una sola conteneva braci ardenti. Barili per la tempra erano a portata di mano.

In quel momento il fabbro batteva un ferro arroventato stretto fra pesanti pinze. Aveva occhi celesti e brache ampie, ma la lunga veste di cuoio sul torace nudo e il grembiule non differivano molto da quelli che Perrin e mastro Luhhan indossavano a Emond’s Field. Le braccia e le spalle muscolose parlavano di anni trascorsi a lavorare metalli. Altre vesti e grembiuli erano appesi alla parete, come se il fabbro avesse degli apprendisti, assenti al momento. Il fuoco della forgia e il ferro incandescente avevano odore di casa.

Il fabbro si girò per rimettere fra le braci il pezzo in lavorazione e Perrin si accostò a manovrare per lui il mantice. Il fabbro gli diede un’occhiata ma non protestò. Perrin alzò e abbassò il manico del mantice, con colpi lenti, costanti, sempre uguali, mantenendo le braci alla giusta temperatura. Il fabbro tornò a lavorare il ferro rovente, stavolta sull’estremità arrotondata dell’incudine. Perrin pensò che volesse fare un raschietto per barili. Il martello mandò colpi secchi, rapidi.

«Apprendista?» disse il fabbro, senza alzare gli occhi dal lavoro. Non aggiunse altro.

«Sì» rispose Perrin, con altrettanta semplicità.

Il fabbro continuò a lavorare per un poco; faceva davvero un raschietto per pulire l’interno di barili di legno. Di tanto in tanto rivolgeva a Perrin un’occhiata, lo soppesava. Posò il martello solo per il tempo necessario a prendere un barra corta e quadrata e a metterla in mano a Perrin. «Vediamo cosa sai fare» disse; poi riprese il lavoro.

Senza pensarci, Perrin si avvicinò a una incudine dall’altra parte della forgia; batté contro lo spigolo il pezzo grezzo e ne trasse un bel rumore. L’acciaio non era rimasto nel forno a combustione lenta tanto a lungo da assorbire una grande quantità di carbone. Perrin lo cacciò quasi interamente fra le braci, assaggiò l’acqua di due barili per vedere qual era salata (il terzo conteneva olio d’oliva), si tolse giubba e camicia, prese una veste di cuoio e un grembiule.

Girandosi, vide che il fabbro, sempre a testa china sul lavoro, annuiva e sorrideva. Ma sapersi muovere in una fucina, si disse, non significava essere abili nel lavoro: l’abilità doveva ancora dimostrarla.

Prese due martelli, un paio di pinze piatte dal manico lungo, un tagliolo affilato e tornò all’incudine; intanto la barra d’acciaio era diventata; rosso scuro, tranne che nella piccola parte rimasta fuori delle braci. Perrin azionò il mantice e guardò il colore dell’acciaio schiarirsi fino a un giallo chiaro assai vicino al bianco. Allora con le pinze afferrò la barra, la posò, sull’incudine e prese il più pesante dei due martelli. Circa dieci libbre, calcolò, e con un manico più lungo di quanto la maggior parte della gente, poco pratica della lavorazione dei metalli, avrebbe ritenuto necessario. Perrin lo impugnò quasi in fondo: il metallo rovente a volte mandava scintille e lui aveva visto le cicatrici sulle mani del fabbro di Roundhill, un tipo assai negligente.