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«Per me non significa niente» disse piano Moiraine. «Perrin, perché hai corrugato la fronte?»

Perrin non se n’era accorto. «Pensavo all’Aiel di Remen. Ha detto che, quando la Pietra cadrà, gli Aiel lasceranno la Triplice Terra. Ossia il Deserto, giusto? Ha detto che era una profezia.»

«Ho letto ogni parola delle Profezie del Drago, in ogni traduzione» disse piano Moiraine. «Non vi si fa cenno agli Aiel. Noi brancoliamo nel buio, mentre Be’lal tesse le sue reti e la Ruota intesse il Disegno intorno a noi. Ma è la Ruota, o Be’lal, a intessere gli Aiel? Lan, devi trovare in fretta il modo d’entrare nella Pietra. Tutt’e due.»

«Come ordini, Aes Sedai» rispose il Custode, ma con tono più caldo che formale. Uscì dalla stanza. Moiraine fissò il tavolo, pensierosa, con occhi velati.

Zarine si avvicinò a guardare Perrin, piegando di lato la testa. «Cosa intendi fare, fabbro?» domandò. «A quanto pare, a noi tocca aspettare e osservare, mentre loro vanno all’avventura. Non che me ne lamenti, però.»

Perrin non fu molto convinto dell’ultima asserzione. «Per prima cosa» rispose «vado a mangiare un boccone. Poi rifletterò su di un martello.»

Tra sé, soggiunse: “E cercherò di capire che cosa provo nei tuoi riguardi, Falco".

51

Esche per la rete

Nynaeve credette di scorgere con la coda dell’occhio, in fondo alla via assolata, un uomo alto dai capelli rossicci, con un ampio mantello marrone; si girò a scrutare da sotto la tesa del cappello di paglia azzurra avuto in prestito da Ailhuin, ma un carro trainato da buoi ormai le bloccava la visuale. Passato il carro, non si vedeva nessuno. Nynaeve era quasi sicura che l’uomo intravisto per un attimo portasse sulla schiena un astuccio per flauto e che indossasse vesti certamente non tairenesi. Non poteva essere Rand, si disse; continuava a sognarlo, certo; ma questo non significava che dalla Piana di Almoth fosse già arrivato a Tear.

Un uomo scalzo, che procedeva frettolosamente portando sulla schiena una cesta da cui sporgeva la coda a mezzaluna di una decina di grossi pesci, all’improvviso inciampò e cadde, catapultando sopra la propria testa pesci dalle squame argentee. Finì carponi nel fango e restò a guardare i pesci caduti dalla cesta: erano rimasti dritti, col muso conficcato nel fango, e formavano un cerchio. Anche alcuni passanti fissarono a bocca aperta la scena. L’uomo si alzò lentamente, senza accorgersi del fango che lo imbrattava. Si tolse di spalla la cesta e si mise a raccogliere i pesci, scuotendo la testa e borbottando tra sé.

Nynaeve rimase sorpresa; ma doveva sbrigarsela con quel ladrone dalla faccia bovina, fermo davanti a lei sulla soglia della bottega con tagli sanguinolenti di carne appesi ai ganci alle sue spalle. Si tirò la treccia e fissò il bottegaio.

«Va bene, la prendo» disse, aspra. «Ma se vendi a prezzo così alto un taglio di carne così misero, non mi avrai più come cliente.»

Il bottegaio si strinse placidamente nelle spalle e prese le monete; poi avvolse il pezzo d’arrosto di montone, pieno di grasso, nel panno che Nynaeve tolse dal cestino appeso al braccio. Nynaeve mise nel cestino l’involto e lanciò al bottegaio un’occhiataccia, ma lui non si scompose minimamente.

Nynaeve si girò per allontanarsi... e rischiò di cadere. Ancora non si era abituata agli alti zoccoli: continuavano a incollarsi al terreno fangoso e lei non capiva come facessero gli altri a procedere normalmente. Si augurò che il sole asciugasse presto le vie, ma aveva l’impressione che nel Maule il fango fosse più o meno permanente.

A passi cauti si diresse verso la casa di Ailhuin, brontolando sottovoce. I prezzi erano esagerati; la qualità, scadente: ma nessuno pareva preoccuparsi, né gli acquirenti, né i venditori. Provò un senso di sollievo, nel passare accanto a una donna che inveiva contro un bottegaio, agitando un frutto ammaccato, giallo rossastro (Nynaeve non sapeva che frutto fosse: lì avevano parecchi frutti e verdure di cui non aveva mai sentito parlare) e gridando a tutti di guardare quali rifiuti vendesse quell’uomo; ma il bottegaio la guardava stancamente e non si prendeva neppure la briga di ribattere.

C’era una certa scusa per i prezzi alti (Elayne aveva spiegato che i topi mangiavano le granaglie tenute in magazzino perché nel Cairhien nessuno poteva acquistarle e che dalla Guerra Aiel la produzione di grano cairhienese era scesa notevolmente) ma niente scusava il modo in cui chiunque pareva pronto a distendersi per terra e aspettare la morte. Nei Fiumi Gemelli lei aveva visto la grandine distruggere i raccolti, le cavallette divorare ogni cosa, la linguanera uccidere le pecore e la macchiarossa far avvizzire il tabacco, cosicché non c’era niente da vendere ai mercanti di Baerlon Ricordava due anni di fila in cui c’era stato ben poco da mangiare, a parte minestrone di bietole e d’orzo vecchio, e i cacciatori erano fortunati a portare a casa un coniglio pelleossa; ma, dopo i colpi della malasorte, la gente dei Fiumi Gemelli si rimboccava le maniche e tornava a lavorare. I tairenesi avevano avuto una sola brutta annata e inoltre le pescherie e gli altri commerci parevano floridi. Nynaeve avrebbe dovuto mostrare un po’ di pazienza nei loro riguardi, ecco il guaio. Invece non ne aveva. I tairenesi erano gente bizzarra con consuetudini bizzarre: accettavano con indifferenza ciò che a lei metteva paura... perfino Ailhuin e Sandar. Doveva trovare il modo di portare un po’ di pazienza.

Ma se la portava per loro, perché non per Egwene? Accantonò questo pensiero. La ragazza si comportava malissimo, ribatteva ai suggerimenti più ovvi, obiettava alle proposte più ragionevoli. Anche quand’era chiaro che cosa andava fatto, Egwene voleva essere convinta. Nynaeve non era abituata a convincere le persone, soprattutto quelle a cui aveva cambiato i pannolini. Il fatto che fosse di soli sette anni più anziana di Egwene non contava.

"Tutta colpa di quei brutti sogni” si disse. “Non capisco cosa significano; ora li fa pure Elayne; anche questo è incomprensibile; e intanto Sandar non dice niente, se non che cerca ancora. Sono così frustrata che... che mi metterei a sputare!" Si tirò la treccia e trasalì per il dolore. Almeno aveva convinto Egwene a non usare più il ter’angreal, a tenerlo nella borsa, anziché sempre a contatto con la pelle. Se nel Tel’aran’rhiod c’era l’Ajah Nera... Non voleva pensare a questa possibilità.

«Le distruggerò» borbottò. «Vendermi come una pecora! Darmi la caccia come se fossi un animale! Stavolta sono il cacciatore, non il coniglio! Quella Moiraine! Se non fosse mai venuta a Emond’s Field, avrei insegnato a Egwene quanto bastava. E per Rand... per Rand avrei fatto qualcosa.» Sapeva benissimo che le ultime due asserzioni erano false e questo non le fu d’aiuto; anzi, peggiorò il suo umore. Odiava Moiraine quasi quanto Liandrin e l’Ajah Nera, forse quanto i Seanchan.

Girò l’angolo e Juilin Sandar fu costretto a balzare di lato per non farsi travolgere. Per quanto abituato agli zoccoli, rischiò di cadere e solo grazie al bastone non finì con la faccia nel fango. Quel legno chiaro con sporgenze anulari si chiamava bambù, aveva scoperto Nynaeve, ed era più robusto di quanto non sembrasse.

«Signora... ah... signora Maryim» disse Sandar, riprendendo l’equilibrio. «Cercavo... proprio te.» Le rivolse un sorriso breve, nervoso. «Sei in collera? Perché mi guardi in questo modo?»

Nynaeve smise di corrugare la fronte. «Non ce l’avevo con te, mastro Sandar. Il macellaio... Non importa. Perché mi cercavi?» Trattenne il fiato. «Le hai trovate?»

Sandar si guardò intorno, come se sospettasse che i passanti tendessero l’orecchio. «Sì» disse. «Sì. Devi venire con me. Le altre aspettano. E Mamma Guenna.»

«Come mai sei così nervoso? Non ti sarai fatto scoprire? Cosa ti ha spaventato?»

«No! No, signora. Non mi... non mi sono fatto scoprire.» Saettò di nuovo lo sguardo, si avvicinò, ridusse la voce a un bisbiglio pressante. «Le donne che cerchi sono nella Pietra! Ospiti di un Sommo Signore! Il Sommo Signore Samon! Perché dici che sono ladre? Il Sommo Signore Samon!»