«Quasi strillò l’ultima frase. Aveva il viso imperlato di sudore.»
Nella Pietra, con un Sommo Signore! Come le avrebbero raggiunte? Nynaeve dominò con uno sforzo l’impazienza. «Sta’ tranquillo» disse, per consolarlo. «Sta’ tranquillo, mastro Sandar. Possiamo spiegare tutto, per tua completa soddisfazione.» Luce santa, se fosse corso alla Pietra e avesse detto al Sommo Signore che loro cercavano quelle donne... «Vieni con me a casa di Mamma Guenna. Joslyn, Caryla e io ti spiegheremo tutto. Veramente. Vieni.»
Sandar annuì a disagio e le camminò a fianco, adeguando il passo a quello molto più lento di lei, impacciata dagli zoccoli. Aveva l’aria di chi vorrebbe mettersi a correre.
Alla casa di Mamma Guenna, Nynaeve andò subito sul retro: non aveva mai visto nessuno usare la porta principale, neppure Ailhuin stessa. Ora i cavalli erano legati a una staccionata di bambù, ben lontano dai fichi e dalle verdure, mentre le selle e i finimenti erano conservati in casa. Per una volta Nynaeve non si fermò ad accarezzare il muso di Gaidin e a dirgli che era un bravo cavallo, più assennato di colui dal quale aveva preso il nome. Sandar si fermò a grattare via col bastone il fango dagli zoccoli, ma Nynaeve entrò subito in casa.
Ailhuin Guenna era seduta in una delle sedie dall’alto schienale: braccia lungo i fianchi, occhi sporgenti per la collera e la paura, si dibatteva furiosamente senza muovere muscolo. Nynaeve non ebbe bisogno di percepire il sottile intreccio di Aria, per capire che cos’era accaduto. Luce santa erano state scoperte! Maledizione a Sandar!
Fu invasa dalla collera, che abbatté le mura interiori che di solito la tenevano lontano dal Potere: lasciò cadere il cesto e fu un bianco boccio di nerospino, si aprì ad abbracciare Saidar, si aprì... Ebbe l’impressione di sbattere contro un altro muro, un muro di vetro trasparente: percepiva la Vera Fonte, ma il muro fermava qualsiasi cosa, tranne il desiderio di farsi riempire dall’Unico Potere.
Il cesto urtò il pavimento e rimbalzò; la porta alle spalle di Nynaeve si aprì e lasciò entrare Liandrin, seguita da una donna dai capelli neri con una striatura bianca sopra l’orecchio sinistro. Le due indossavano lunghe vesti di seta, dai colori accesi e dall’ampia scollatura. Erano circondate dal bagliore di Saidar.
Liandrin si lisciò le pieghe della veste rossa e sorrise, con quelle sue labbra a boccio di rosa in un viso da bambola. Aveva un’aria divertita. «Lo capisci, vero, selvatica?» cominciò. «Non hai...»
Nynaeve la colpì sulla bocca, più forte che poteva. Luce santa, pensò, doveva filarsela. Colpì con un manrovescio Rianna, con tanta forza da sbatterla a sedere per terra. Di sicuro avevano preso le altre, si disse; ma se riusciva a raggiungere la porta, ad allontanarsi tanto da non essere schermata da loro, poteva fare qualcosa. Diede uno spintone a Liandrin e la scostò dalla porta. Se solo fosse sfuggita alla schermatura...
Fu assalita da tutte le parti, con colpi simili a pugni e randellate. Né Liandrin, con un rivolo di sangue che le colava dalla bocca ora contratta in una smorfia torva, né Rianna, con le veste verde in disordine, avevano alzato la mano. Nynaeve sentiva il flusso di Aria che s’intesseva intorno a sé, così come sentiva i colpi. Cercò ancora di arrivare alla porta, ma si rese conto d’essere caduta sulle ginocchia; capì che i colpi non sarebbero cessati, invisibili bastoni e pugni che le colpivano le spalle, i seni, le gambe, la testa. Con un gemito cadde sul fianco e si raggomitolò, nel tentativo di ripararsi. “Luce santa” gridò fra sé “ci ho provato! Egwene! Elayne! Ci ho provato! Non strillerò! Maledizione, potete picchiarmi a morte, ma non manderò un grido!"
I colpi smisero, ma Nynaeve non riuscì a smettere di tremare. Si sentiva piena di lividi e di ammaccature dalla testa ai piedi.
Liandrin si accoccolò accanto a lei, braccia intorno alle ginocchia, con fruscio di seta contro seta. Si era ripulita dal sangue la bocca. Aveva lo sguardo duro e aveva perso l’aria divertita. «Forse sei troppo stupida per capire quando sei sconfitta, selvatica» disse. «Hai combattuto selvaggiamente quasi quanto quell’altra sciocca, quella Egwene. A momenti impazziva. Dovete imparare a sottomettervi. Lo imparerete, eccome!»
Nynaeve rabbrividì, cercò di nuovo di toccare Saidar: non che ci sperasse realmente, ma doveva pur fare qualcosa. Malgrado il dolore, si protese... e urtò l’invisibile schermo. Ora Liandrin aveva di nuovo negli occhi una luce di divertimento, la torva allegria d’una bambina cattiva che strappa le ali a una farfalla.
«Questa, almeno, non ci serve a niente» disse Rianna, in piedi accanto a Ailhuin. «Le fermerò il cuore.» Gli occhi di Ailhuin parvero schizzare dalle orbite.
«No!» replicò, brusca, Liandrin, girando la testa di scatto, con un ondeggiare di treccioline color miele. «Sei sempre pronta a uccidere. Solo il Sommo Signore può servirsi dei morti.» Sorrise alla donna bloccata da legami invisibili. «Hai visto i soldati che ci hanno accompagnate, vecchia. Sai chi ci aspetta nella Pietra. Il Sommo Signore Samon non sarà contento, se racconterai cos’è accaduto oggi in casa tua. Se terrai a freno la lingua, vivrai e forse un giorno lo servirai di nuovo. Se parlerai, servirai soltanto il Sommo Signore delle Tenebre, da dentro la tomba. Cosa scegli?»
All’improvviso Ailhuin fu in grado di muovere la testa. Scosse i ricci grigi, mosse le labbra. «Non... non dirò niente» balbettò, avvilita. Diede a Nynaeve un’occhiata piena d’imbarazzo e di vergogna. «Se parlassi, cosa concluderei? Un Sommo Signore avrebbe la mia testa alzando semplicemente il sopracciglio. Cosa concluderei, ragazza? Cosa?»
«Fai bene» disse stancamente Nynaeve. «So che ci aiuteresti, se fosse possibile.»
Rianna gettò indietro la testa e scoppiò a ridere. Ailhuin si accasciò, libera; ma rimase lì seduta a fissarsi le mani in grembo.
Liandrin e Rianna tirarono in piedi Nynaeve e la spinsero verso la parte anteriore della casa. «Se ci procuri fastidi» disse con voce dura Rianna «ti costringerò a cavarti la pelle da sola e a ballare a ossa nude.»
Nynaeve ebbe voglia di ridere: quali fastidi poteva procurare? Era schermata dalla Vera Fonte. Dolorante per le percosse, si reggeva a stento in piedi: una sua qualsiasi reazione sarebbe stata bloccata come capriccio di bambina. Ma i lividi sarebbero passati, maledizione, e loro avrebbero fatto ancora qualche passo falso. E allora...
Nella parte anteriore della casa c’erano altre persone: due robusti soldati in elmo e pettorale sulla giubba rossa dalle ampie maniche, col viso imperlato di sudore e gli occhi sbarrati per la paura; c’era Amiqa Nagoyin, snella e graziosa, collo lungo e pelle chiara, aria innocente d’una ragazza che raccolga fiori; e c’era Joiya Byir, con espressione amichevole malgrado le guance lisce d’una donna che abbia lavorato a lungo col Potere, quasi il viso di una nonna, anche se l’età non le aveva ingrigito i capelli né riempito di rughe la pelle. I suoi occhi grigi le davano l’aria della matrigna delle storie, quella che uccideva i figli di primo letto del marito. Le due donne erano circondate dal bagliore di Saidar.
Elayne era in piedi fra loro: aveva un occhio chiuso, una guancia gonfia, un labbro spaccato, una manica penzoloni. «Mi spiace, Nynaeve» disse con voce impastata, come se le dolesse la mascella. «Quando le abbiamo viste, era troppo tardi.»
Egwene era accasciata per terra, quasi irriconoscibile per il viso pieno di lividi. Mentre entravano Nynaeve e le altre due, un soldato si caricò in spalla Egwene, che rimase inerte come sacco d’orzo mezzo vuoto.
«Cosa le avete fatto?» ringhiò Nynaeve. «Maledizione, cosa.» Una mano invisibile la colpì sulla bocca, con tanta forza da farle sbarrare gli occhi per un momento.