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«Su, su» disse Joiya Byir, con un sorriso smentito dagli occhi. «Non sopporto domande e imprecazioni.» Aveva anche il tono di una nonna «Parlerai solo se interrogata.»

«T’avevo detto che la ragazza non avrebbe smesso di lottare, no?» commentò Liandrin. Si rivolse a Nynaeve. «Ti serva da lezione. Se proverai a darci fastidio, sarai trattata allo stesso modo.»

Nynaeve avrebbe voluto aiutare Egwene, ma si lasciò spingere nella via Anzi, le obbligò a spingerla: era un misero modo per ribellarsi, per rifiutarsi di cooperare, ma l’unico disponibile al momento.

Nella via c’era pochissima gente, come se tutti avessero deciso che era meglio trovarsi da un’altra parte: i pochi passanti percorrevano in fretta il lato opposto, senza un’occhiata alla lucida carrozza ferma dietro un attacco di sei cavalli bianchi, con lunghe piume alla briglia Il postiglione era vestito come i soldati, ma non portava pettorale né spada; un secondo vetturino, vedendole uscire, aprì la portiera e Nynaeve riuscì a scorgere l’emblema che vi era dipinto: un pugno dal guanto argenteo che stringeva fulmini a zigzag.

Immaginò che fosse l’emblema del Sommo Signore Samon (di sicuro un Amico delle Tenebre, se trafficava con l’Ajah Nera) ma poi notò l’uomo che, al loro apparire, cadde in ginocchio nel fango. «Maledizione a te, Sandar, perché...» iniziò. S’interruppe con un sobbalzo, colpita alla schiena da un oggetto invisibile che aveva la consistenza d’un randello.

Joiya Byir sorrise con aria di rimprovero e agitò il dito. «Cerca di mostrare rispetto, bambina, o finirai col perdere quella tua linguaccia.»

Liandrin rise. Afferrò per i capelli Sandar e gli alzò la testa. Lui la guardò, con gli occhi d’un segugio fedele... o d’un cagnaccio che si aspetti un calcio. «Non essere così dura con questo uomo» disse a Nynaeve. Riuscì a rendere simile a “cane” la parola “uomo". «Abbiamo dovuto.. convincerlo... perché ubbidisse. Ma io sono bravissima a convincere, vero?» Rise di nuovo.

Sandar rivolse a Nynaeve uno sguardo confuso. «Ho dovuto farlo, Maryim» disse. «Ho... dovuto.»

Liandrin gli torse i capelli e lui tornò a guardarla, riprendendo l’espressione del cane ansioso.

Luce santa, si domandò Nynaeve, che cosa gli avevano fatto? E che cosa avrebbero fatto a loro tre?

Insieme con Elayne fu spinta rudemente nella carrozza, con Egwene inerte in mezzo a loro, testa ciondoloni; Liandrin e Rianna si accomodarono sul sedile opposto, guardando nella direzione di marcia. Erano ancora circondate dal bagliore di Saidar. Per il momento Nynaeve si disinteressò di dove andassero le altre: voleva toccare Egwene, confortarla, ma non poteva muovere muscolo al di sotto del collo, se non per tremare. Flussi di Aria avvolgevano lei e le altre due, come strati di coperte ben strette. La carrozza si mise in moto, con continui scossoni, malgrado le molle di cuoio.

«Se le avete fatto male...» disse Nynaeve. Ma vedeva benissimo che le avevano fatto male: perché non diceva quel che pensava in realtà? «Se l’avete uccisa, non sarò tranquilla finché non sarete abbattute come cani selvaggi.»

Rianna le lanciò un’occhiata velenosa. Liandrin si limitò a sbuffare. «Non essere completamente idiota, selvatica» replicò. «Ci servite vive. Le esche morte non pigliano niente.»

Esche? Per che cosa? Per chi?

«L’idiota sei tu, Liandrin! Credi che siamo sole? Noi tre, semplici Ammesse? Siamo noi l’esca, Liandrin. E tu sei caduta nella trappola come un fagiano bello grasso.»

«Non dirglielo!» esclamò subito Elayne; Nynaeve batté le palpebre, prima di capire che Elayne cercava di corroborare la sua montatura. «Se ti fai prendere la mano dalla collera, finirai per rivelare cose che loro non devono sapere! Devono portarci nella Pietra. Devono...»

«Sta’ zitta!» sbottò Nynaeve, brusca. «Sei tu che devi tenere a freno la lingua!» Elayne riuscì a sembrare imbarazzata, sotto i lividi. Lasciamole rimuginare un poco, si disse Nynaeve.

Ma Liandrin si limitò a sorridere. «Quando avrai finito di fare da esca, ci dirai ogni cosa. Non vedrai l’ora di rivelare tutto. Dicono che un giorno sarai molto forte, ma mi assicurerò che mi ubbidirai sempre, ancora prima che il Sommo Padrone Be’lal faccia piani su di te. Ha mandato a chiamare dei Myrddraal. Tredici Myrddraal.» Le ultime due parole furono una risata sulle labbra a boccio di rosa.

Nynaeve si sentì torcere le viscere. Un Reietto! Rimase sconvolta. “Il Tenebroso e tutti i Reietti sono imprigionati a Shayol Ghul” recitò tra sé. “Imprigionati dal Creatore nel momento della creazione." Ma la preghiera non l’aiutava: sapeva fin troppo bene quanto ormai non corrispondesse alla realtà. Poi capì appieno il senso delle parole di Liandrin. Tredici Myrddraal. E tredici Sorelle dell’Ajah Nera. Udì l’urlo di Elayne, prima di rendersi conto d’urlare anche lei e di strattonare inutilmente gli invisibili legami. Era impossibile dire se fossero più forti le loro urla di disperazione o le risate di Liandrin e di Rianna.

52

In cerca di cure

Seduto scompostamente sullo sgabello nella stanza di Thom, Mat fece una smorfia nell’udire che l’amico tossiva di nuovo. Come potevano continuare le ricerche, si disse, se Thom stava tanto male da non reggersi in piedi? Subito si vergognò di quel pensiero: pur sapendo d’essere ammalato, Thom era stato assiduo quanto lui nelle ricerche, giorno e notte. Ma lui aveva prestato troppo poca attenzione alla tosse di Thom. Il cambiamento del tempo, dalla pioggia continua al caldo afoso, non gli aveva giovato.

«Vieni, Thom» disse. «Secondo Lopar, poco lontano da qui c’è una Medicona. Così chiamano le Sapienti, qui... Medicone. A Nynaeve non piacerebbe di certo!»

«Non ho bisogno... di medicine disgustose... cacciate in gola con la forza, ragazzo» replicò Thom. Si premette sulla bocca il pugno, nel vano tentativo di bloccare la tosse. «Continua le ricerche. Dammi solo... qualche ora... di letto... e ti raggiungo.» Per i colpi di tosse si piegò in due, fin quasi a toccare con la testa le ginocchia.

«Devo fare io tutto il lavoro, mentre tu te la godi a letto?» ribatté Mat, in tono scherzoso. «Cosa vuoi che trovi, senza di te? Hai scoperto tu la maggior parte del poco che abbiamo appreso.» Non era proprio esatto: la gente parlava liberamente sia davanti ai dadi sia davanti a una coppa di vino offerta a un menestrello. Più liberamente, se il menestrello non era afflitto da una tosse così brutta da far temere il contagio. Mat cominciava a pensare che la tosse di Thom non sarebbe passata da sola. Se il vecchio caprone gli fosse morto fra le braccia, con chi avrebbe giocato a sassolini? «E poi» riprese «la tua maledetta tosse mi tiene sveglio anche nell’altra stanza.»

Senza badare alle proteste, tirò in piedi Thom. Notò con sorpresa che doveva sorreggerlo di peso. Malgrado il caldo umido, Thom non volle togliersi il mantello. Mat sì era sbottonato completamente la giubba e teneva aperti collo e polsi della camicia, ma lasciò che il vecchio caprone facesse come voleva. Nessuno, nella sala comune, alzò gli occhi, mentre lui e Thom uscivano nel pomeriggio afoso.

Il locandiere aveva dato semplici indicazioni, ma quando furono alle porte della città e si trovarono davanti al fango del Maule, Mat ebbe quasi voglia di cercare un’altra Medicona. Di sicuro non mancavano, in una città così grande. Sentendo Thom tossire, si decise. Con una smorfia avanzò nel fango, portando quasi di peso il menestrello.

Dalle indicazioni avute, pensava che la prima sera, arrivando dal molo, erano passati davanti alla casa della Medicona; quando vide la casa stretta e lunga con fasci di erbe appesi alle finestre, accanto alla bottega da vasaio, ne fu sicuro. Ricordò che Lopar aveva detto di passare dalla porta posteriore, ma era stufo d’infangarsi.

E di sentire puzza di pesce, pensò, guardando con una ruga gli uomini scalzi che sciaguattavano nel fango, portando in spalla ceste di pesce. Nella via c’erano anche tracce di cavalli, che cominciavano a sparire sotto le impronte di piedi e di carri tirati da buoi. Cavalli che tiravano un carro o forse una carrozza. Al di qua e al di là delle mura di Tear, Mat aveva visto soltanto buoi, alle stanghe di carri e carretti (nobili e mercanti erano orgogliosi dei loro cavalli di razza e non li avrebbero mai impiegati come animali da tiro) però non aveva più visto carrozze, da quando avevano lasciato la parte della città circondata da mura.