«Se ti rompi la mano» disse Mamma Guenna «ti stecco e ti metto l’unguento; ma se mi rompi la parete, ti scortico come un salmone!»
Mat batté le palpebre; si guardò il pugno, le nocche scorticate. Non si era nemmeno accorto d’avere preso a pugni la parete.
La donna gli prese la mano e la tastò con cautela. «Niente di rotto» borbottò dopo un poco. Lo scrutò in viso. «Si direbbe che ti stiano a cuore. Una delle tre, almeno. Mi spiace, Mat Cauthon.»
«Non dispiacerti» replicò Mat. «Ora so dove si trovano. Non mi resta che portarle via da lì.» Trasse di tasca le ultime due corone d’oro andorane e la costrinse a prenderle. «Per le medicine di Thom e per le informazioni sulle ragazze» disse. D’impulso, le diede un bacio sulla guancia e le sorrise. «E questo per me.»
Sorpresa, Mamma Guenna si toccò la guancia: pareva non sapere se guardare le monete o Mat. «Portarle via, dici. Così, semplicemente. Fuori della Pietra.» Gli conficcò fra le costole il dito, duro come spuntone d’albero. «Mi ricordi mio marito, Mat Cauthon. Era un pazzo testardo che avrebbe navigato nel cuore d’una burrasca e avrebbe anche riso. Penso quasi che potresti riuscirci.» Notò gli stivali infangati, forse per la prima volta. «Ho impiegato sei mesi per insegnargli a non sporcare di fango la casa. Se porterai davvero fuori di lì quelle ragazze, quella che hai in mente avrà il suo bel daffare a insegnarti.»
«Sei l’unica che potrebbe riuscirci» rispose Mat, con un sorriso che divenne più ampio alla sua occhiataccia. Portarle fuori. Non doveva fare altro. Portarle fuori della Pietra della maledetta Tear. Thom tossì di nuovo. Lui non poteva entrare nella Pietra, in quello stato. Ma come impedirglielo? «Mamma Guenna» riprese «posso lasciare da te il mio amico? Mi sembra troppo malato per tornare alla locanda.»
«Cosa?» latrò Thom. Cercò d’alzarsi; tossiva tanto da non riuscire a parlare. «Non sono... così malridotto, ragazzo! Credi che... entrare nella Pietra... sia come... entrare nella cucina di tua madre? Credi di arrivare... anche solo alle porte... senza di me?» Si aggrappò alla spalliera: la tosse gli impedì di alzarsi del tutto.
Mamma Guenna gli mise la mano sulla spalla e lo spinse di nuovo a sedere, con facilità, come se avesse a che fare con un bambino. Thom la guardò, sorpreso.
«Mi prenderò cura di lui, Mat Cauthon» disse la donna.
«No!» gridò Thom. «Non puoi farmi... una cosa simile! Non puoi... lasciarmi... con questa vecchia...» Solo la mano della donna gli impedì di piegarsi in due per la tosse.
Mat gli sorrise. «Conoscerti è stato un piacere, Thom.»
Mentre usciva in fretta, si scoprì a domandarsi perché avesse detto una frase del genere. Maledizione, Thom non sarebbe certo morto. La donna l’avrebbe tenuto in vita, a costo di trascinarlo fuori della tomba, fra strilli e calci, tirandolo per i baffi. Sì, ma chi avrebbe tenuto in vita lui?
Più avanti, la Pietra di Tear si stagliava sulla città, fortezza impenetrabile assediata cento volte, pietra su cui cento eserciti si erano rotti i denti. E lui doveva entrarci, in qualche modo. E portarne fuori tre donne. In qualche modo.
Con una risata che gli attirò anche gli sguardi dei tetri passanti, tornò alla Mezzaluna Bianca, fregandosene del fango e del caldo afoso. Sentiva nella testa i dadi rotolare.
53
Un flusso di Spirito
Nel tornare verso la Stella, fra le ombre della sera, Perrin s’infilò la giubba. Una sana stanchezza gli appesantiva braccia e spalle; oltre al normale lavoro, mastro Ajala gli aveva fatto fare un grosso pezzo ornamentale, tutto volute e arabeschi, da mettere al cancello nuovo di un lord di campagna. Perrin si era divertito a fare un pezzo così bello.
«Pensavo che gli occhi gli sarebbero schizzati dalla testa, fabbro, quando hai detto che non avresti fatto quel lavoro, se era per un Sommo Signore» disse Zarine.
Perrin la guardò in tralice: le ombre le nascondevano il viso. Anche per lui le ombre esistevano, un po’ meno fitte che per gli altri. Mettevano in rilievo gli alti zigomi di Zarine, addolcivano la forte curva del naso. Perrin non riusciva a farsi un’idea, su di lei. Anche se Moiraine e Lan insistevano ancora che non si allontanassero dalla locanda, avrebbe voluto che Zarine trovasse qualcosa da fare, oltre a guardarlo lavorare. Per qualche ragione si sentiva impacciato, se pensava che lei lo osservasse. Più d’una volta aveva sbagliato colpo di martello, tanto che mastro Ajala l’aveva guardato con una ruga di perplessità. Davanti alle ragazze si sentiva sempre impacciato, soprattutto se quelle gli sorridevano; ma Zarine poteva anche fare a meno di sorridere. Le bastava guardarlo. Perrin si domandò ancora una volta se fosse lei, la donna bellissima da cui Min l’aveva messo in guardia. Meglio se era lei il falco, si disse. Il pensiero lo sorprese a tal punto da farlo incespicare.
«Non voglio che un mio lavoro finisca nelle mani dei Reietti» replicò. La guardò, con occhi che brillavano del colore dell’oro. «Se era per un Sommo Signore, come sapevo a quale di loro era destinato?» Zarine rabbrividì. «Non volevo spaventarti, Fai.. Zarine.»
Lei sorrise, convinta senza dubbio che lui non potesse vederla. «Farai ancora in tempo ad abbassare la cresta, contadino. Hai mai pensato di farti crescere la barba?»
Era già brutto, si disse Perrin, che lo pigliasse sempre in giro, ma la metà delle volte non la capiva nemmeno!
Mentre arrivavano alla porta della locanda, incontrarono Moiraine e Lan che giungevano dalla parte opposta. Moiraine indossava il mantello di lino con l’ampio cappuccio che le nascondeva il viso. La luce della sala comune formava sul lastrico pozze giallastre. Due carrozze passarono rumorosamente; in vista c’erano forse dieci persone che rincasavano in fretta per la cena; la via era in massima parte popolata d’ombre. La bottega del tessitore era sbarrata. Passate le carrozze, scese il silenzio.
«Rand è a Tear» annunciò la voce gelida dell’Aes Sedai, uscendo dal cappuccio come da una caverna.
«Ne sei certa?» domandò Perrin. «Non ho sentito parlare di nessun avvenimento insolito. Niente nozze, niente pozzi prosciugati di colpo.» Vide la confusione di Zarine. Moiraine non si era sbottonata con la ragazza e lui neppure. Tenere a freno la lingua di Loial era stato più difficile.
«Non ascolti le voci, fabbro?» disse Lan. «Negli ultimi quattro giorni ci sono stati tanti matrimoni quanti negli ultimi sei mesi. E tanti omicidi quanti in un anno intero. Oggi una bambina è caduta dalla balconata d’una torre. Da cento passi d’altezza, sul lastricato. Si è rialzata ed è corsa dalla madre, senza neppure un graffio. La Prima di Mayene, “ospite” nella Pietra dall’autunno scorso, ha appena annunciato che si sottometterà al volere dei Sommi Signori, mentre solo ieri diceva che avrebbe preferito veder bruciare tutte le sue navi, anziché vedere un lord tairenese mettere piede in città. Non si sono spinti fino a torturarla e poi quella donna ha una volontà di ferro; non ti viene il dubbio che possa essere opera di Rand? Fabbro, Tear ribolle da cima a fondo come il contenuto d’un calderone.»
«Lo sapevo anche senza sentire le voci» disse Moiraine. «Perrin, hai sognato Rand, ieri notte?»
«Sì» ammise Perrin. «Era nel Cuore della Pietra e impugnava quella spada...» Sentì Zarine cambiare posizione, accanto a lui. «Ma sono talmente preoccupato per lui che non c’è da stupirsi se lo sogno. Non ho avuto che incubi, la notte scorsa.»
«Un tipo alto?» disse Zarine. «Con capelli rossicci e occhi grigi? Che impugna una spada così luminosa da fare male agli occhi? In una sala piena di grandi colonne di granito rosso? Fabbro, dimmi che non è il tuo sogno!»
«Vedi?» disse Moiraine. «Oggi ho sentito parlare cento volte di questo stesso sogno. Tutti fanno sogni... evidentemente Be’lal non si preoccupa di schermare i propri... ma questo è il più frequente.» Rise all’improvviso: una risata bassa, argentina, simile al tintinnio di campanelle. «La gente dice che è il Drago Rinato. Dice che giunge. Lo bisbiglia timorosamente negli angoli, ma lo dice.»