Perrin vide che tutti fissavano lui... tutti quelli ancora in piedi. Loial, appoggiato stancamente al bastone. Gli shienaresi, che avevano trasportato lì i caduti. Moiraine, con Lan al fianco, china su di un ferito. Perfino l’Aes Sedai guardava dalla sua parte. Gli alberi incendiati, simili a gigantesche torce, mandavano una luce ondeggiante. Dappertutto c’erano carcasse di Trolloc. Gli shienaresi caduti erano più numerosi dei superstiti e fra di loro erano disseminati i corpi dei fratelli lupi. Troppi...
Perrin si rese conto d’avere di nuovo voglia di ululare. Frenetico, eresse uno sbarramento al contatto con i lupi. Filtrarono ugualmente immagini, emozioni, mentre lui cercava di bloccarle. Alla fine, però, riuscì a non sentirle, a non sentire la loro sofferenza, la loro rabbia, il desiderio di dare la caccia ai Deformi... Si scosse. Sentiva bruciare come fuoco la ferita alla schiena; la spalla lacerata gli doleva come se l’avessero martellata sopra l’incudine. I piedi scalzi, graffiati e scorticati, gli pulsavano dolorosamente. Dappertutto c’era puzzo di sangue. Puzzo di Trolloc e di morte.
«Sto... sto bene, Min.»
«Hai combattuto valorosamente, fabbro» disse Lan. Alzò sopra la testa la spada ancora bagnata di sangue. «Tai’shar Manetheren! Tai’shar Andor!» Vero Sangue del Manetheren. Vero Sangue dell’Andor.
Gli shienaresi ancora in piedi — pochi davvero — alzarono le armi e gli fecero eco: «Tai’shar Manetheren! Tai’shar Andor!»
Loial annuì. «Ta’veren» disse.
Perrin abbassò gli occhi, imbarazzato. Lan l’aveva salvato da domande alle quali non voleva rispondere, ma gli aveva attribuito un onore che non meritava. Gli altri non avevano capito. Perrin si domandò che cosa avrebbero detto, se avessero saputo la verità. Min gli venne più vicino.
«Leya è morta» le mormorò lui. «Non ho potuto... L’avevo quasi raggiunta!»
«Non avrebbe fatto differenza» disse lei, piano. «Lo sai anche tu.» Si sporse a esaminargli la schiena e fece una smorfia. «Ci penserà Moiraine. Dov’è possibile, usa l’Arte della Guarigione.»
Perrin annuì. Per il sangue rappreso si sentiva la schiena appiccicosa fino alla cintola, ma se ne accorgeva appena, malgrado il dolore. “Luce Santa” pensò “a momenti non tornavo indietro. Non posso permettere che accada di nuovo. Non lo permetterò. Mai più! “
Quando era con i lupi, però, che differenza! Non doveva preoccuparsi che gli estranei lo temessero solo perché era grande e grosso. Nessuno lo riteneva tardo di mente solo perché cercava d’usare cautela. I lupi si conoscevano l’un l’altro, anche se non si erano mai incontrati: in mezzo a loro, lui era semplicemente un altro lupo.
No! Serrò le mani sul manico dell’ascia. No! Sobbalzò, nell’udire all’improvviso la voce di Masema.
«Era un segno» disse lo shienarese, rigirandosi per indirizzarsi a tutti. Aveva sangue sulle braccia e sul petto, zoppicava; ma aveva negli occhi il fervore di sempre. «Un segno per confermare la nostra fede. Perfino i lupi sono venuti a combattere per il Drago Rinato. Nell’Ultima Battaglia, il Drago chiamerà anche le belve della foresta perché combattano al nostro fianco. È un segno che ci sprona a proseguire. Solo gli Amici delle Tenebre non si uniranno a noi.» Due shienaresi annuirono.
«Chiudi la maledetta bocca, Masema!» replicò, brusco, Huno. Pareva indenne, ma combatteva già i Trolloc quando Perrin non era ancora nato. Eppure traballava per la stanchezza: solo l’occhio dipinto pareva fresco. «Proseguiremo quando il Drago ce lo dirà, maledizione, non prima! E voi, maledetti contadini dal cervello di pecora, cercate di ricordarlo!» Diede un’occhiata alla fila crescente di uomini curati da Moiraine... pochi riuscivano anche solo a stare seduti, persino dopo che lei aveva terminato... e scosse la testa. «Almeno avremo abbondanza di maledette pelli di lupo per tenere al caldo i feriti.»
«No!» intervenne Perrin, con una veemenza che stupì gli shienaresi. «Hanno combattuto per noi. Li seppelliremo con i nostri morti.»
Huno corrugò la fronte e aprì bocca, come per discutere, ma Perrin puntò su di lui gli occhi gialli. Fu lo shienarese a distogliere per primo lo sguardo e ad annuire.
Perrin si schiarì la voce, imbarazzato, mentre Huno ordinava agli shienaresi di raccogliere i lupi. Min lo guardava a occhi socchiusi, come le accadeva quando vedeva l’aura di qualcuno.
«Dov’è Rand?» le domandò Perrin.
«Là fuori nel buio» rispose Min, indicando con un cenno il pendio più in alto, senza staccare lo sguardo da lui. «Non vuole parlare con nessuno. Se ne sta seduto e scaccia chiunque gli si avvicini.»
«Con me parlerà» disse Perrin. Min lo seguì, protestando che doveva prima farsi Guarire da Moiraine. Chissà che cosa vedeva, si domandò Perrin, quando guardava lui; ma in realtà non voleva saperlo.
Rand sedeva per terra, appena fuori del cerchio di luce degli alberi in fiamme, con la schiena contro il tronco d’una stenta quercia. Fissava il vuoto e teneva le braccia intorno al petto, le mani sotto la giubba rossa, come se avesse freddo. Non parve accorgersi di loro. Min si sedette accanto a lui, ma Rand non si mosse, neppure quando lei gli mise la mano sul braccio.
Perfino lì Perrin sentiva puzzo di sangue e non solo del proprio. «Rand» cominciò; ma l’altro lo interruppe.
«Sai cos’ho fatto durante lo scontro?» Con lo sguardo remoto, parve rivolgersi alla notte. «Niente! Niente di utile. All’inizio mi sono proteso verso la Vera Fonte, ma non potevo toccarla, non potevo afferrarla. Poi, quando finalmente sono riuscito ad afferrarla, volevo bruciarli tutti, Trolloc e Fade. Ma sono riuscito soltanto a incendiare qualche albero.» Scosse la testa in una muta risata; poi si fermò, con una smorfia di dolore. «Saidin mi ha riempito fino a darmi l’impressione di scoppiare come fuoco d’artificio. Dovevo incanalarlo da qualche parte, liberarmene prima che mi riducesse in cenere; volevo far crollare la montagna e travolgere i Trolloc. A momenti ci provavo. Questa è stata la mia battaglia. Non contro i Trolloc: contro me stesso. Per trattenermi dal seppellire tutti sotto la montagna.»
Min rivolse a Perrin un’occhiata penosa, quasi a chiedere aiuto.
«Li abbiamo sistemati noi, Rand» disse Perrin. Rabbrividì al pensiero dei numerosi feriti, più in basso. E dei morti. «Non abbiamo avuto bisogno del tuo intervento.»
Rand appoggiò la testa contro l’albero e chiuse gli occhi. «Ho percepito il loro arrivo» mormorò. «Ma non sapevo cos’erano. Fanno lo stesso effetto della contaminazione di Saidin. E Saidin è sempre lì, mi chiama, mi attira. Quando ho capito la differenza, Lan dava già l’allarme. Se potessi controllare Saidin, avrei dato l’allarme prima che s’avvicinassero troppo. Ma la metà delle volte, quando riesco a toccarlo davvero, non so neppure cosa faccio. Il suo flusso mi porta via e basta. Però avrei potuto dare l’allarme.»
Perrin si mosse, a disagio. «Abbiamo avuto un avvertimento sufficiente» disse, col tono, lo sapeva, di chi cerca di convincersi da solo. Anche lui avrebbe potuto dare l’allarme, se avesse parlato con i lupi. I lupi sapevano che nelle montagne c’erano Trolloc e Fade. Avevano cercato di dirglielo. Ma se non avesse tenuto i lupi fuori della propria mente, si disse, forse ora sarebbe corso via con loro. C’era stato un uomo, Elias Machera, che parlava pure lui con i lupi. Elias stava sempre con loro, eppure ricordava d’essere un uomo. Ma non gli aveva detto come faceva e Perrin non lo vedeva da molto tempo.
Il rumore di stivali sui sassi annunciò l’arrivo di due persone e una folata d’aria ne portò a Perrin l’odore. Ma lui badò bene a non fare il nome di Lan e Moiraine, finché i due non furono tanto vicino che qualsiasi occhio normale li avrebbe scorti.
Il Custode teneva il braccio sotto quello dell’Aes Sedai, quasi cercasse di sorreggerla senza farglielo capire. Moiraine aveva occhi stanchi e reggeva una statuetta d’avorio scurito dal tempo, raffigurante una donna: Perrin riconobbe l’angreal, un residuo dell’Epoca Leggendaria, che permetteva alle Aes Sedai d’incanalare più Potere di quanto riuscissero senza altri aiuti. Il fatto che lo adoperasse per Guarire era un segno di quanto fosse stanca.