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«Come mai voi due siete divenuti privilegiati?» domandò a un tratto Min. «Addirittura vi ha chiesto se volevate andare! A me non ha fatto la cortesia di chiedere.»

Loial scosse la testa. «Secondo me, ha chiesto perché sapeva che cosa avremmo risposto. Moiraine pare in grado di leggere la mente, a Perrin e a me; tu invece per lei sei un libro chiuso.»

Min parve addolcirsi un poco. «Sai quanto me ne viene!» replicò, squadrandoli dal basso in alto: Perrin la superava di tutta la testa e Loial torreggiava su di lei. «Vado anch’io dove vuole lei, come voi due agnellini. Per un poco te la sei cavata bene, Perrin. Le tenevi testa come se t’avesse venduto una giubba che si apriva lungo le cuciture.»

«Le ho tenuto testa, vero?» disse Perrin, meravigliato. Non se n’era reso conto, in realtà. «Non è stato difficile come credevo.»

«Hai avuto fortuna» rombò Loial. «"Irritare un’Aes Sedai è come cacciare la testa in un nido di vespe."»

«Loial» disse Min «devo parlare a Perrin. Da solo. Ti dispiace?»

«Oh, no, certo.» Allungò il passo alla sua andatura normale e in un attimo fu avanti a loro, prendendo di tasca la pipa e la borsa di tabacco.

Perrin guardò Min, diffidente. La ragazza si mordeva il labbro, pareva riflettere sulle parole da usare. «Vedi mai qualcosa intorno a lui?» domandò Perrin, indicando con un cenno l’Ogier.

Min scosse la testa. «Funziona solo con gli esseri umani, credo. Ma ho visto delle cose intorno a te e dovrei informarti.»

«Ti ho già detto che non voglio sapere...»

«Non essere più testone del necessario. Le ho viste là dentro, appena hai detto che saresti andato con loro. Di sicuro hanno a che fare con il viaggio. O almeno con la tua decisione di partecipare.»

Perrin esitò un momento. «Cos’hai visto?» domandò poi, con riluttanza.

«Un Aiel in gabbia» rispose subito Min. «Un Tuatha’an con la spada. Un falco e uno sparviero, appollaiati sulle tue spalle. Due femmine, credo. E tutto il resto, naturalmente. Il solito. Tenebre che turbinano intorno a te e...»

«Lascia perdere il resto!» la interruppe Perrin. Si grattò la testa, riflettendo. Quelle immagini per lui non avevano senso. «Hai idea di cosa significhino?» domandò poi. «Le nuove immagini, cioè.»

«No, ma sono importanti. Le cose che vedo sono sempre importanti. Svolte nella vita delle persone, o eventi predestinati. Sono sempre importanti.» Esitò un attimo, scrutandolo. «Ancora una cosa» disse poi, lentamente. «Se incontri una donna... la donna più bella che tu abbia mai visto... scappa!»

Perrin batté le palpebre. «Hai visto una donna bellissima? Perché dovrei scappare da una donna?»

«Non puoi accettare un consiglio e basta?» replicò lei, irritata. Diede un calcio a un sasso e lo guardò rotolare giù per il pendio.

A Perrin non piaceva saltare alle conclusioni... uno dei motivi per cui la gente lo riteneva tardo di mente; però, mettendo insieme tante piccole cose dette da Min negli ultimi giorni, anche lui arrivava a una conclusione sorprendente. Si fermò di colpo, cercando le parole giuste. «Ah... Min, sai che mi sei simpatica. Mi piaci, però... Ah, non ho sorelle, ma se ne avessi una... voglio dire, tu saresti...» S’interruppe, mentre lei alzava la testa a guardarlo, con sopracciglia aggrottate e sulle labbra una traccia di sorriso.

«Perché, Perrin, devi sapere che ti amo» disse. Rimase a guardarlo muovere le labbra senza emettere suono, poi soggiunse, parlando lentamente e con cura: «Come un fratello, grosso zoticone dalla testa di legno! L’arroganza degli uomini non cessa mai di stupirmi. Pensate d’essere al centro di tutto e l’oggetto del desiderio di ogni donna.»

Perrin si sentì arrossire. «Non ho mai... non ho...» Si schiarì la voce. «Cos’hai visto, di quella donna?»

«Segui solo il mio consiglio» rispose Min. Cominciò a scendere verso il ruscello, a passi rapidi. «Se dimentichi tutto il resto» gli gridò, girando solo la testa «ricorda almeno il mio consiglio!»

Perrin la fissò, pensieroso (una volta tanto, gli parve che i suoi pensieri si riordinassero rapidamente) e la raggiunse in un paio di passi. «Tu ami Rand, vero?»

Min emise un verso strozzato e gli diede un’occhiata di scancio. Però non rallentò il passo. «Forse non sei tanto zuccone, in fin dei conti» borbottò. L’attimo dopo, soggiunse quasi tra sé: «Sono legata a lui come una doga alla botte. Ma non posso vedere se mai ricambierà il mio amore. E non sono la sola, ad amarlo.»

«Egwene lo sa?» domandò Perrin. Rand e Egwene erano in pratica fidanzati fin da bambini; per parlare di promessa di matrimonio, mancava soltanto che si fossero inginocchiati davanti alla Cerchia delle Donne del villaggio. Ma lui non era sicuro di quanto fosse ancora attuale questa situazione.

«Lo sa» rispose Min, asciutta. «Ma non cambia niente, per nessuna delle due.»

«E Rand? Lo sa anche lui?»

«Oh, certo» replicò lei, amara. «Gliel’ho detto, no? “Rand, ho visto la tua aura e a quanto pare dovrò innamorarmi di te. Devo anche dividerti con altre, e questo non mi piace, ma è così." Sei uno zuccone meraviglioso, Perrin Aybara.» Si passò rabbiosamente la mano sugli occhi. «Potessi essere con lui, gli sarei d’aiuto, lo so. In qualche modo. Luce santa, se muore, non so se potrò sopportarlo.»

«Ascolta, Min» disse Perrin, a disagio. «Farò il possibile, per aiutarlo. Te lo prometto. Per te la cosa migliore è davvero andare a Tar Valon. Laggiù sarai al sicuro.»

«Al sicuro?» Min assaporò la parola, come se cercasse di scoprirne il significato. «Credi che Tar Valon sia un luogo sicuro?»

«Se non c’è sicurezza a Tar Valon, non ce n’è da nessuna parte.»

Min tirò su col naso, rumorosamente; poi, senza dire altro, andarono a prepararsi alla partenza insieme con gli altri.

7

Giù dalle montagne

La discesa dalle montagne fu faticosa, ma più scendevano, meno Perrin aveva bisogno del mantello foderato di pelliccia. Giorno dopo giorno, lasciavano i residui dell’inverno ed entravano nella primavera. Sparite le ultime tracce di neve, erbe e fiori di campo cominciavano a coprire i prati d’altura. Gli alberi diventavano più frequenti, più ricchi di foglie, e fra i rami cinguettavano allodole e pettirossi. E c’erano lupi. Non si facevano mai vedere (neppure Lan riferì d’averne scorti) ma Perrin sapeva della loro presenza. Teneva la mente chiusa ai loro pensieri, ma di tanto in tanto un formicolio lieve come solletico di piuma gli ricordava che i lupi erano lì intorno.

Lan trascorreva in ricognizione la maggior parte del tempo: in sella a Mandarb, il suo destriero morello, esplorava la pista e seguiva le tracce di Rand; gli altri seguivano i segni che il Custode lasciava per loro: sassolini disposti a forma di freccia, o un graffio leggero sulla parete rocciosa di un passo che si biforcava. Girare da questa parte. Attraversare quel valico. Risalire questi tornanti, seguire questa pista di cervi, questa direzione fra gli alberi e poi giù lungo uno stretto ruscello, anche se niente indicava che qualcuno fosse mai passato da lì. Tranne i segni di Lan: un ciuffo d’erbacce legate in un modo per indicare di deviare a sinistra, legate in un altro per deviare a destra: un ramo piegato; un mucchietto di sassi per anticipare una salita difficile più avanti, due foglie infilate in una spina per indicare una ripida discesa. A Perrin pareva che il Custode usasse centinaia di segni; e Moiraine li conosceva tutti. Lan tornava di rado, tranne quando si accampavano, per conferire con Moiraine, a bassa voce, lontano dal fuoco. Al levar del sole, quasi sempre era già partito da qualche ora.

Ogni giorno Moiraine era la prima a montare in sella, mentre il cielo orientale si tingeva di rosa. L’Aes Sedai non sarebbe scesa da Aldieb, la sua bianca giumenta, fino a notte e anche dopo; ma Lan, svanita la luce, si rifiutava di seguire le tracce.