Verin Sedai, bassa e grassoccia, vestita completamente di marrone, pareva cavalcare immersa nei propri pensieri; si era tirata sugli occhi il cappuccio fin quasi a nascondere il viso; procedeva all’avanguardia, ma lasciava che fosse il cavallo a stabilire l’andatura. Apparteneva all’Ajah Marrone e di solito le Sorelle di questa Ajah s’interessavano più della conoscenza che del mondo. Egwene, però, non era sicura che Verin mantenesse dalle cose terrene il distacco che voleva far credere: mettendosi con loro, era sprofondata fino alla cintola nelle faccende mondane.
Elayne, dell’età di Egwene e pure lei novizia, ma bionda e con occhi azzurri mentre Egwene era bruna, cavalcava più indietro, accanto alla barella su cui giaceva Mat, privo di conoscenza. Vestiva lo stesso grigio di Egwene e di Nynaeve e teneva d’occhio Mat, preoccupata come tutti: erano ormai tre giorni che Mat non riprendeva conoscenza. Il tipo magro, dai capelli lunghi, che cavalcava dall’altro lato della barella, pareva guardare da tutte le parti senza darlo a vedere; per la concentrazione, le rughe gli risaltavano sul viso.
«Hurin» disse Egwene; Nynaeve annuì. Tutt’e due rallentarono per farsi raggiungere dalla barella. Verin continuò a procedere al piccolo trotto.
«Hurin, senti qualcosa?» domandò Nynaeve. Elayne alzò gli occhi, attenta.
Sotto lo sguardo delle tre, l’altro si mosse a disagio sulla sella e si strofinò il naso. «Guai» rispose, conciso e riluttante al tempo stesso. «Penso, forse... guai.»
Un tempo acchiappaladri per il re dello Shienar, non aveva i capelli rasati a ciuffo come i soldati shienaresi, tuttavia portava alla cintura una corta spada e un frangilama ammaccato per l’uso. Possedeva una sorta di talento che gli consentiva di fiutare i malfattori, in particolare coloro che avevano commesso atti di violenza.
Due volte, durante il viaggio, aveva suggerito, dopo meno di un’ora, di abbandonare il villaggio dove si erano fermati. La prima volta, loro tre si erano opposte, dicendo d’essere troppo stanche; ma, prima che la notte terminasse, il locandiere e due suoi compari avevano tentato di assassinarle nel sonno. Erano semplici ladri, non Amici delle Tenebre, e volevano solo impossessarsi dei cavalli e del contenuto delle bisacce e dei fagotti. Ma il resto del villaggio era al corrente della faccenda: a quanto pareva, i forestieri erano considerati selvaggina di cui è lecita la caccia. Egwene e gli altri erano stati costretti a fuggire per sottrarsi a una marmaglia che brandiva manici d’ascia e forconi. La seconda volta, appena ricevuto l’avvertimento di Hurin, Verin aveva ordinato di riprendere il viaggio.
Ma Hurin era sempre diffidente, se parlava all’Aes Sedai o alle altre. Si mostrava più spigliato con Mat, quando quest’ultimo era ancora in grado di parlare; con lui scherzava e giocava a dadi, se le donne non erano nei pressi. Egwene pensava che si sentisse a disagio, praticamente da solo con un’Aes Sedai e con tre donne prossime a diventarlo.
«Che sorta di guai?» domandò Elayne.
«Fiuto...» iniziò Hurin. Subito si bloccò e saettò lo sguardo da una donna all’altra. «Una semplice sensazione» riprese. «Un... un presentimento. Ho visto delle tracce, ieri e oggi. Molti cavalli. Venti o trenta da questa parte, venti o trenta da quest’altra. Mi hanno messo una pulce nell’orecchio. Tutto qui. Ma dico che si tratta di guai.»
Tracce? Egwene non le aveva notate.
«Non c’era niente di preoccupante, in quelle tracce» disse Nynaeve, brusca. «Erano vecchie di giorni. Perché pensi che siano guai?»
«Lo penso, ecco» rispose Hurin lentamente, come se volesse aggiungere altro. Abbassò gli occhi, si strofinò il naso e inspirò a fondo. «Da molto tempo non vediamo un villaggio» borbottò. «Chissà quali notizie di Falme ci hanno preceduto. Forse non troveremo la buona accoglienza che ci aspettiamo. Penso che questi uomini possano essere briganti, assassini. Bisognerebbe diffidare, penso. Se Mat stesse bene, andrei avanti in ricognizione; ma forse è meglio che non vi lasci da sole.»
Nynaeve inarcò il sopracciglio. «Credi che non riusciremmo a badare a noi stesse?»
«A cosa ti servirà l’Unico Potere, se ti uccidono prima che tu possa usarlo?» replicò Hurin, a occhi bassi, come se parlasse al pomo della sella. «Chiedo scusa, ma penso che... che cavalcherò a fianco di Verin Sedai per un poco.» Diede di tallone e avanzò al galoppo, prima che una di loro potesse replicare.
«Questa è una sorpresa» disse Elayne, mentre Hurin rallentava a poco distanza dall’Aes Sedai. Verin parve non accorgersi della presenza di Hurin, più di quanto non s’accorgesse del resto; e lui parve lieto d’essere ignorato. «Da quando abbiamo lasciato Capo Toman» soggiunse Elayne «si è sempre tenuto il più possibile lontano da Verin. La guarda come se avesse paura delle sue parole.»
«Rispettare le Aes Sedai non significa avere paura di loro» disse Nynaeve. E soggiunse, con riluttanza: «Di noi.»
«Se prevede guai, dovremmo mandarlo in ricognizione» disse Egwene. Inspirò a fondo e guardò negli occhi le altre due. «In caso di guai, possiamo difenderci meglio di quanto non ci difenderebbe lui con cento soldati ad aiutarlo.»
«Ma lui non lo sa» disse Nynaeve, in tono piatto. «E non sarò certo io a dirglielo. Né voi due.»
«Immagino benissimo la reazione di Verin» disse Elayne, ansiosa. «Mi piacerebbe avere un’idea di quanto ne sa. Se l’Amyrlin scoprisse cosa abbiamo fatto, forse neppure mia madre potrebbe aiutarmi. Non so nemmeno se ci proverebbe.» La madre di Elayne era la regina dell’Andor. «Non ha imparato molto, prima di lasciare la Torre Bianca, per quanto si sia comportata come se fosse Sorella a tutti gli effetti.»
«Non possiamo fare assegnamento su Morgase» disse Nynaeve. «Lei è a Caemlyn e noi saremo a Tar Valon. No, forse siamo già nei guai fino al collo, perché siamo andate via di nascosto, e non importa cosa abbiamo riportato. Sarà meglio mostrare umiltà e non attirare ancora l’attenzione.»
In altri momenti, Egwene avrebbe riso all’idea di Nynaeve che si fingesse umile. Persino Elayne avrebbe avuto maggiore successo. Ma ora non si sentiva portata a ridere. «E se Hurin ha ragione?» domandò. «Se ci assalgono? Non può difenderci contro venti o trenta uomini; e saremmo bell’e morte, se aspettassimo che Verin intervenga. Non dicevi che senti arrivare una tempesta, Nynaeve?»
«Sul serio?» domandò Elayne. Scosse la testa, con un agitare di riccioli rossodorati. «Verin non sarà contenta, se...» Lasciò perdere. «Le piaccia o no, forse dovremo farlo.»
«Farò ciò che andrà fatto» dichiarò Nynaeve, brusca «se ci sarà qualcosa da fare; e voi due fuggirete, all’occorrenza. Forse nella Torre tutte parlano del vostro potenziale, ma non crediate che non vi quieteranno tutt’e due, se l’Amyrlin Seat o il Consiglio della Torre lo riterranno necessario.»
Elayne deglutì con forza. «Se dovessero quietarci per questo» disse con voce debole «quieteranno anche te. Dovremmo scappare insieme e agire insieme. Hurin ha già avuto ragione, in precedenza. Se vogliamo vivere, per trovarci nei guai nella Torre, dovremo... dovremo fare ciò che andrà fatto.»
Egwene rabbrividì. Quietata. Tagliata fuori da Saidar, la metà femminile della Vera Fonte. Poche Aes Sedai erano state sottoposte a questa punizione, tuttavia c’erano crimini per cui la Torre esigeva che la colpevole fosse quietata. Le novizie avevano l’obbligo d’imparare il nome di ogni Aes Sedai che fosse stata quietata e il crimine commesso.
Lei percepiva sempre la Fonte, appena fuori vista, come il sole di mezzodì alle spalle. Spesso non afferrava niente, quando si protendeva verso Saidar, ma voleva toccarlo. Più lo toccava, più lo voleva, sempre, anche se Sheriam Sedai, Maestra delle Novizie, aveva spiegato i pericoli che comportava il desiderio smodato della sensazione trasmessa dall’Unico Potere Essere tagliate fuori da Saidar, continuare a sentirne la presenza, ma non poterlo più toccare...