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«Ma, Madre...»

«Ti farò sapere! Potete andare, bambine. Le speranze della Torre sono riposte in voi. Tornate in camera vostra e riposate un poco. Non dimenticate d’avere appuntamento con Sheriam e con le pentole sporche.»

15

Il Grigio

Fuori dello studio dell’Amyrlin Seat, Egwene e Nynaeve incontrarono soltanto qualche cameriera impegnata a sbrigare commissioni. Egwene fu contenta di vedere qualcuno: a un tratto quei corridoi, pur con arazzi e bassorilievi, le parevano caverne. Caverne pericolose.

Nynaeve procedeva a grandi passi e di tanto in tanto si dava strattoni alla treccia; Egwene si affrettò a raggiungerla. Non voleva restare da sola.

«Nynaeve, se l’Ajah Nera è ancora qui e se solo sospetta cosa facciamo... Non parlavi sul serio, vero, quando hai detto che dobbiamo comportarci come se fossimo già legate ai Tre Giuramenti? Non voglio che mi uccidano, se posso impedirlo servendomi del Potere.»

«Se quelle sono ancora qui, appena ci vedranno, sapranno cosa facciamo.» Pareva preoccupata. «O ci riterranno una minaccia e la situazione sarebbe identica.»

«Perché una minaccia? Nessuno si sente minacciato da persone a cui può dare ordini. Da persone che devono pulire pentole e girare spiedi tre volte al giorno. Per questo l’Amyrlin ci ha messo a lavorare nelle cucine. In parte, almeno.»

«Forse l’Amyrlin non ha riflettuto a fondo» rispose Nynaeve, con aria assorta. «O forse ha riflettuto e per noi ha progetti ben diversi da quelli che ci ha esposto. Rifletti, Egwene. Liandrin non avrebbe cercato d’allontanarci dalla Torre, se non ci avesse considerate una minaccia. Non riesco a immaginare quale, ma non vedo neppure come il nostro allontanamento potesse cambiare la situazione. Se qui ci sono ancora Sorelle dell’Ajah Nera, di sicuro la penseranno come Liandrin, sospettino o no cosa facciamo.»

Egwene deglutì. «Non ci avevo pensato» ammise. «Luce santa, quanto mi piacerebbe essere invisibile! Nynaeve, se ci cercano ancora, rischierò di farmi quietare, pur di non farmi uccidere, o peggio, dagli Amici delle Tenebre. E non credo che ti lascerai catturare, qualsiasi cosa tu abbia detto all’Amyrlin.»

«Ero sincera» rispose Nynaeve. Parve strapparsi dalle riflessioni e rallentò il passo. Una novizia dai capelli chiarissimi, che portava un vassoio, le sorpassò in fretta. «Ero veramente sincera, Egwene, dalla prima all’ultima parola» proseguì Nynaeve, appena la novizia si fu allontanata. «Esistono altri modi per difenderci. Se non esistessero, le Aes Sedai sarebbero uccise ogni volta che lasciano la Torre. Non ci resta che scoprire questi sistemi, ragionandoci sopra, e sfruttarli.»

«Alcuni già li conosciamo.»

«Sono pericolosi.»

Egwene aprì bocca per replicare che erano pericolosi solo per chi le avesse assalite, ma Nynaeve proseguì: «C’è il rischio che diventino troppo piacevoli. Quando stamattina ho scatenato contro quei Manti Bianchi tutta la mia collera... Mi è piaciuto troppo. È troppo pericoloso.» Con un brivido allungò di nuovo il passo.

Egwene la raggiunse. «Parli come Sheriam» disse. «Non l’avevi mai fatto. Ti sei sempre ribellata. Perché ora accetti limitazioni che forse ci toccherà ignorare per restare vive?»

«Cosa ricaveremmo, a farci espellere dalla Torre? Quietate o no, quale vantaggio avremmo?» Abbassò il tono di voce, come se parlasse tra sé. «Posso farlo. Devo farlo, se voglio restare qui quanto basta per imparare. E devo imparare, se voglio...» All’improvviso parve rendersi conto d’esprimere a voce i propri pensieri. Scoccò a Egwene un’occhiata dura. «Lasciami riflettere. Per favore, fai silenzio e lasciami riflettere.»

Egwene si zittì, ma dentro di sé ribolliva di domande. Quale motivo particolare aveva Nynaeve per voler apprendere più di quanto la Torre Bianca potesse insegnarle? Che cosa voleva fare? Perché le nascondeva le proprie intenzioni? “Segreti” si disse. “Abbiamo imparato a tenere troppi segreti, da quando siamo venute alla Torre. Anche l’Amyrlin ha segreti per noi. Luce santa, cosa farà per Mat?"

Nynaeve l’accompagnò fino ai quartieri delle novizie, anziché deviare per quelli delle Ammesse. Le balconate erano deserte e nei risalire le rampe a chiocciola non incontrarono nessuno.

Davanti alla stanza di Elayne, Nynaeve si fermò, bussò una volta, aprì la porta e guardò dentro. Lasciò che la porta si richiudesse da sola e andò alla stanza successiva, quella di Egwene. «Non c’è ancora» disse. «Devo parlare a tutt’e due.»

Egwene l’afferrò per le spalle e la costrinse a fermarsi. «Cosa...» Si sentì tirare i capelli, pungere l’orecchio. Scorse una confusa sagoma nera passarle davanti al viso e urtare rumorosamente la parete; l’attimo dopo, si sentì spingere a terra da Nynaeve, contro la ringhiera della balconata.

Distesa a occhi sbarrati, Egwene fissò l’oggetto caduto davanti alla porta: un dardo di balestra. Alcuni capelli erano impigliati nei quattro robusti rebbi intesi per trapassare armature. Con mano tremante Egwene si toccò l’orecchio e la piccola scalfittura bagnata da una goccia di sangue. Se non si fosse fermata proprio in quel momento, si disse, il dardo l’avrebbe centrata in piena testa e probabilmente avrebbe ucciso anche Nynaeve. «Sangue e ceneri!» ansimò. «Sangue e ceneri, maledizione!»

«Non imprecare» l’ammonì Nynaeve, ma senza troppa convinzione. Scrutava fra le colonnine di pietra bianca verso il lato più lontano delle balconate. Era circondata da un alone. Aveva attinto a Saidar.

Anche Egwene cercò di attingere l’Unico Potere, ma sulle prime non ci riuscì per la troppa fretta. Per la fretta e per immagini che continuavano a intrufolarsi nel vuoto, immagini della sua stessa testa spaccata come melone troppo maturo da un pesante dardo che proseguiva e trafiggeva Nynaeve. Trasse un respiro profondo e ritentò; finalmente nel nulla si librò la rosa che si aprì alla Vera Fonte e lei fu inondata dal Potere.

Rotolò sulla pancia per scrutare dalla ringhiera, accanto a Nynaeve. «Vedi niente?» domandò. «Lo vedi? Lo colpirò con un fulmine!» Sentiva il fulmine formarsi, premere per essere scagliato. «È un uomo, vero?» Non riusciva a immaginare un uomo che si recasse nei quartieri delle novizie, ma trovava impossibile raffigurarsi una donna che portasse in giro per la Torre una balestra.

«Non lo so» rispose Nynaeve, con voce piena di collera trattenuta. «Ho creduto di scorgere... Sì! Laggiù!»

Egwene sentì il Potere pulsare nell’altra; poi vide che Nynaeve si rialzava senza fretta e si ripuliva la veste, come se non avesse altre preoccupazioni.

Egwene la fissò. «Cosa? Cos’hai fatto? Nynaeve?»

«Dei cinque Poteri» disse Nynaeve, come se le tenesse una lezione «Aria è ritenuto da molti il meno utile. Cosa molto lontana dal vero.» Ridacchiò a denti stretti. «Ti ho detto che esistevano altri sistemi per difenderci. Ho usato Aria, per imprigionarlo. Se è un uomo: non ho visto con chiarezza. Un trucco che una volta l’Amyrlin usò su di me, senza immaginare, credo, che vedessi come faceva. Allora, hai intenzione di rimanere distesa qui per tutto il giorno?»

Egwene si alzò e si affrettò a raggiungerla alla curva della balconata. Poco più avanti, dopo la curva, c’era un uomo: indossava giubba e brache marroni, ordinarie. Dava loro la schiena, in equilibrio su di un piede, con l’altro a mezz’aria, come bloccato mentre correva. Avrebbe avuto l’impressione di trovarsi a bagno nella melassa, eppure era trattenuto semplicemente dall’aria resa solida. Egwene ricordava quel trucco dell’Amyrlin, ma non credeva di riuscire a ripeterlo. A Nynaeve invece bastava vedere una cosa una sola volta, per copiarla... quando riusciva a incanalare il Potere, naturalmente.

Si avvicinarono allo sconosciuto. Per la sorpresa, Egwene lasciò andare il Potere: dal petto dell’uomo sporgeva l’elsa di un pugnale. Il viso era flaccido, la morte già velava gli occhi socchiusi. Nynaeve allentò la presa che lo imprigionava e l’uomo si accasciò sul pavimento della balconata.