Andarsene diventava di minuto in minuto l’idea migliore. Mat si lasciò scivolare goffamente dal letto e, stringendosi ancora nella coperta, barcollò fino all’armadio. Gli stivali erano sul ripiano inferiore; il mantello pendeva da un piolo, sotto la cintura con la borsa e il fodero con il coltello. Un semplice coltello di campagna, con lama robusta, ma pericoloso come qualsiasi stiletto elegante. Il resto degli abiti — due resistenti giubbe di lana, tre paia di brache, cinque o sei camicie di lino e la biancheria — era stato spazzolato o lavato a seconda della necessità e ripiegato per bene sui ripiani laterali. Mat tastò la borsa: il contenuto era ammucchiato su di un ripiano, insieme con la roba tolta dalle tasche.
Spinse da parte una piuma di falco rosso, un sasso levigato e screziato di cui gli erano piaciuti i colori, il rasoio e il coltello da tasca, col manico d’osso; sciolse la corda d’arco, tenuta di scorta e usata per legare la borsa, e vide che in questo caso la sua memoria era stata fin troppo buona.
«Due marchi d’argento e qualche monetina di rame» brontolò. «Con questi soldi non andrò molto lontano.» Un tempo gli sarebbe parsa una piccola fortuna, prima però di lasciare Emond’s Field.
Si chinò a guardare in fondo al ripiano. Dov’erano? Cominciò a temere che le Aes Sedai li avessero gettati via, come avrebbe fatto sua madre, se li avesse trovati. Poi sentì un’ondata di sollievo. Proprio in fondo, dietro la scatola con l’occorrente per accendere il fuoco e il gomitolo di corda per le trappole, trovò i due astucci di cuoio per i dadi.
Gli astucci produssero un acciottolio, mentre lui li prendeva; ma Mat li aprì ugualmente. Tutto era a posto. Cinque dadi intagliati con i simboli per il gioco delle corone e cinque marcati con punti. Questi ultimi servivano per un certo numero di giochi, ma pareva che il gioco più diffuso fosse quello delle corone. Con i dadi, si disse Mat, i suoi due marchi si sarebbero moltiplicati quanto bastava per portarlo lontano da Tar Valon. Dalle Aes Sedai e anche da Selene.
Udì un colpo perentorio alla porta, subito seguito dal rumore del battente che si apriva. Si girò di scatto e vide entrare l’Amyrlin Seat e la Custode degli Annali. Le avrebbe riconosciute anche senza l’ampia stola a strisce dell’Amyrlin e la stretta stola azzurra della Custode. Le aveva viste una volta sola, molto lontano da Tar Valon; ma non poteva dimenticare le due Aes Sedai ai vertici della gerarchia.
L’Amyrlin inarcò le sopracciglia vedendolo lì fermo, con la coperta sulle spalle, la borsa e i dadi in mano. «Non credo che ti serviranno, figliolo, ancora per un poco» disse, ironica. «Posa quella roba e torna a letto, prima di cadere lungo e disteso.»
Mat esitò, irrigidì la schiena; ma le sue ginocchia scelsero proprio quel momento per vacillare e le due Aes Sedai lo guardavano come se leggessero ogni suo pensiero di ribellione. Seguì il loro consiglio e si avvolse nella coperta. Si distese dritto come un’asse, senza sapere bene cos’altro avrebbe potuto fare.
«Come ti senti?» domandò vivacemente l’Amyrlin, toccandogli la testa. A Mat venne la pelle d’oca. L’Amyrlin aveva fatto uso dell’Unico Potere? O bastava il semplice tocco di un’Aes Sedai a provocargli quella sensazione di gelo?
«Bene» rispose. «Sono pronto ad andare per la mia strada. Dico addio a Egwene e a Nynaeve e mi tolgo dai piedi. Voglio dire... e me ne vado... ah... Madre.» Moiraine e Verin non badavano al suo modo d’esprimersi, ma lei era l’Amyrlin Seat, in fin dei conti.
«Sciocchezze» disse l’Amyrlin. Tirò accanto al letto la poltrona dall’alto schienale e si accomodò. Si rivolse a Leane: «Gli uomini non ammettono mai d’essere ammalati, finché non stanno tanto male da raddoppiare il lavoro delle donne. Poi sostengono che presto staranno bene, con identico risultato.»
La Custode diede un’occhiata a Mat e annuì. «Sì, Madre; però costui non può sostenere di stare bene: si regge a stento in piedi. Almeno ha mangiato tutto ciò che c’era sul vassoio.»
«Sarei stata sorpresa se avesse lasciato tante briciole da far gola a un canarino. Se non sbaglio, ha ancora fame.»
«Gli farò portare una crostata, Madre. O qualche focaccia.»
«No, credo che ora abbia mangiato il massimo che può trattenere. Se rimette tutto, non gli farà bene.»
Mat la guardò di storto. Secondo lui, se uno si ammalava, diventava invisibile per le donne, a meno che non dovessero proprio parlare con lui. E poi, gli toglievano almeno dieci anni, lo trattavano come un ragazzino. Sua madre, le sue sorelle, Nynaeve e l’Amyrlin Seat si comportavano tutte allo stesso modo.
«Non ho affatto fame» dichiarò. «Sto benissimo. Se mi lasci vestire, ti dimostro quanto sto bene. Uscirò di qui prima che te ne accorgi.» Ora tutt’e due lo guardavano. Mat si schiarì la voce. «Ah... Madre» soggiunse.
L’Amyrlin sbuffò. «Hai mangiato un pasto per cinque e per un bel po’ di tempo ne mangerai ancora tre o quattro al giorno, come quello, altrimenti morirai di fame. Sei stato appena Guarito da un legame col male che uccise ogni uomo, donna e bambino di Aridhol; in quasi duemila anni d’attesa, non si è affatto indebolito. Ti stava uccidendo, con la stessa certezza con cui ha ucciso loro. Non è come avere nel pollice una spina di pesce, ragazzo. Nel tentativo di salvarti, noi stesse abbiamo rischiato di ucciderti.»
«Non ho fame» ribatté Mat, testardo. Ma fu smentito dal rumoroso brontolio dello stomaco.
«Non ho sbagliato a giudicarti, la prima volta che t’ho visto» disse l’Amyrlin. «Ero sicura che saresti schizzato via come un martin pescatore spaventato, se pensavi che cercassero di trattenerti. Ho fatto bene a prendere precauzioni.»
Mat guardò con diffidenza le due donne. «Precauzioni?» disse. Loro gli restituirono lo sguardo, serene. Mat provò l’impressione che i loro occhi lo inchiodassero al letto.
«Ho appena trasmesso alle guardie ai ponti il tuo nome e la tua descrizione» disse l’Amyrlin. «E anche ai responsabili del porto. Non ti costringerò a stare nella Torre; ma non lascerai Tar Valon, finché non starai bene davvero. Se ti venisse in mente di nasconderti nella città, alla fine la fame ti farebbe uscire. Altrimenti, ti troveremmo noi, prima che tu muoia di fame.»
«Perché hai tanta voglia di tenermi qui?» domandò Mat. Gli parve di udire la voce di Selene: “Vogliono usarti". «Perché ti preoccupi se muoio di fame? Posso nutrirmi da solo.»
L’Amyrlin ridacchiò senza tanta allegria. «Con due marchi d’argento e qualche moneta di rame, figliolo? Dovresti avere davvero una gran fortuna a dadi, per comprare tutto il cibo di cui avrai bisogno nei prossimi giorni. Non Guariamo le persone perché poi sprechino la nostra fatica quando hanno ancora bisogno di cure. Inoltre, forse la Guarigione sarà ancora necessaria.»
«Ancora? Hai detto d’avermi Guarito. Perché dovrei averne ancora bisogno?»
«Figliolo, hai tenuto per mesi quel pugnale. Credo che abbiamo estirpato ogni traccia, ma se ci fosse sfuggito anche il più piccolo frammento, per te sarebbe fatale E chissà quali saranno gli effetti dovuti al prolungato contatto con il pugnale. Fra sei mesi, un anno, potresti rimpiangere di non avere a portata di mano un’Aes Sedai che ti Guarisca di nuovo.»
«Vuoi che resti qui un anno?» replicò Mat, incredulo, alzando la voce. Leane si agitò e gli scoccò un’occhiata penetrante, ma l’Amyrlin non si scompose.
«Forse non così a lungo, figliolo, ma quanto basta a essere sicuri. Di certo interessa anche a te. Faresti vela in una barca, senza sapere se il calafataggio terrà o se qualche tavola non sia marcia?»
«Non ho avuto molto a che fare con le barche» borbottò Mat. Forse era vero, si disse. Le Aes Sedai non mentivano mai. Tuttavia c’erano troppi se e ma, nel suo caso. «Manco da casa da parecchio, Madre» proseguì. «Mio padre e mia madre mi riterranno morto.»